È partita nel corso del week end la campagna vaccinale contro la
polio a Gaza, nel corso di una tregua che dovrebbe essere garantita da
Israele proprio per permettere di somministrare il vaccino a più di
640mila bambini. Le code testimoniano la grande partecipazione della
popolazione gazawi. Ma al di là dell'urgente risposta al ritorno della polio, la
situazione sanitaria nella striscia è drammatica sotto tutti i punti di
vista.
Da un recente Rapporto dell’agenzia
per la protezione ambientale delle Nazioni Unite (UNEP), pubblicato
a giugno scorso, sulla situazione ambientale e i rischi per la salute nella striscia
di Gaza emergono dati raccapriccianti: da dati satellitari è
stimato che le bombe abbiano distrutto il 37% delle abitazioni e
ne abbiano danneggiate gravemente il 27%, producendo 39
milioni di tonnellate di detriti di varia natura, circa 107 kg per ogni
metroquadro di territorio, con un gravissimo inquinamento di terreni e acque. I
sistemi idrici, di trattamento dei rifiuti e igienico-sanitari vengono
definiti distrutti o prevalentemente inattivi, con la conseguenza
che si aggrava di giorno in giorno la situazione ambientale e crescono a
dismisura i rischi per la salute, nell’immediato e sul medio e lungo tempo.
La lettura del rapporto UNEP, che ha come titolo “Impatti ambientali del
conflitto in Gaza – Valutazione preliminare”, lascia atterriti: se è
possibile, la crudezza dei numeri stampati è anche più forte e
tragica delle immagini passate giornalmente dai media.
L’ambiente della striscia di Gaza era già in condizioni difficili prima del
7 ottobre, con una forte pressione sugli ecosistemi a causa dell’alta densità
di popolazione, di conflitti ricorrenti, delle condizioni di deprivazione
socio-economica, in un’area vulnerabile ai cambiamenti climatici.
Distruzione ambientale e rischi per la salute
Le distruzioni recenti e in corso ad opera delle forze armate israeliane
hanno praticamente annullato tutti gli sforzi fatti per migliorare i
sistemi di gestione ambientale, specie per dotare la popolazione di
impianti di desalinizzazione dell'acqua, di trattamento delle acque reflue, di
sviluppo di sistemi a energia solare e per il ripristino della zona umida
costiera di Wadi Gaza.
Le macerie contengono materiali e sostanze pericolose: ordigni
inesplosi, rifiuti di ogni genere, amianto, polveri, che comportano rischi per
la salute umana per esposizioni che più si protraggono nel tempo e più
produrranno gravi danni all’ambiente e alla salute. Per questa, ragione è
fondamentale abbreviare il tempo per la rimozione, il risanamento, la
ricostruzione.
A seguito della chiusura dei cinque impianti di trattamento delle
acque reflue, le acque non depurate, che contengono agenti patogeni
e sostanze chimiche pericolose, inquinano i terreni, le acque dolci e
costiere, e le spiagge, dove cercano di sopravvivere oltre 2 milioni di
palestinesi. Acque e terreni sono contaminati anche dai metalli pesanti
che sono nei pannelli solari distrutti, e dalle numerose sostanze chimiche
contenute nelle munizioni esplose, da aggiungere ai rischi degli ordigni
inesplosi, che sono particolarmente gravi per i bambini.
Il sistema di gestione dei rifiuti è collassato, 5 impianti di
trattamento su 6 sono gravemente danneggiati: il rapporto UNEP riporta che, già
alla fine del 2023, 1.200 tonnellate al giorno di rifiuti si accumulavano
intorno ai campi e ai rifugi.
Pur in assenza di dati di monitoraggio, l’aria è valutata gravemente
inquinata dagli incendi e dalle combustioni a cielo aperto di legna,
plastica e rifiuti.
In questo quadro aumentano a dismisura i rischi di ogni tipo di
malattia, che siano acute, croniche, infettive, assai difficili da
prevedere e su cui poco possono fare i presidi sanitari d’urgenza tenuti
coraggiosamente in piedi dalle ONG, mentre c’è bisogno di riorganizzare un
sistema sanitario che sia in grado di affrontare gli impatti della guerra.
Naturalmente al primo posto ci sono i presidi per la cura e riabilitazione,
ma sarà importante anche ricostruire la capacità di rilevamento di dati
ambientali e sulla di salute della popolazione, indispensabili per la
comprensione della situazione e la programmazione di un sistema sanitario in
grado di rispondere alle criticità principali post-belliche.
I rischi sono già realtà
Il poliovirus di tipo 2 rilevato a luglio in liquami
provenienti dai siti di Khan Younis e Deir Al- Balah e il primo caso confermato
di poliomielite in un bambino di 10 mesi non vaccinato a Deir Al- Balah, sono
eventi gravissimi, che non accadevano da 25 anni.
Il caso viene presentato in modo superficiale, alludendo al potere
risolutivo di una campagna di vaccinazione affidata alla somministrazione per
bocca del vaccino Sabin (OPV, basato su virus Polio vivi attenuati), da
effettuarsi in una situazione densa di difficoltà, e non priva di
rischi. Infatti, esiste una probabilità, seppure bassa, di effetti
collaterali del vaccino OPV (in Italia è in uso un piano di 4 dosi di vaccino
inattivato di tipo Salk) e tra i fattori di rischio riconosciuti per lo
sviluppo di casi gravi di poliomielite ci sono lo stato di gravidanza,
l’immunodeficienza, la presenza di ferite o lesioni, condizioni fin troppo frequenti
in questo periodo.
La situazione richiede un intervento su larga scala per la
vaccinazione urgente, ma ha bisogno di un piano più complesso che
contempli richiami vaccinali e attenzione anche agli adulti, che possono
infettarsi, sebbene con più bassa probabilità, per via oro-fecale o per
contatto con ammalati o portatori sani.
In estrema sintesi, nessun ecosistema è risparmiato dalle
conseguenze dirette e indirette della distruzione bellica, gli ambienti
marini e costieri, i terreni coltivabili e l’aria. Oltre alle enormi perdite
umane dirette, gli effetti sulla salute oggi visibili sono solo la punta
dell’iceberg, e ciò che accadrà in seguito è solo approssimativamente stimabile
in assenza di un ritorno alla pace.
Il rapporto UNEP conclude con l’appello “al cessate il fuoco per salvare
vite umane e ripristinare l'ambiente, per consentire ai palestinesi di iniziare
a riprendersi dal conflitto e ricostruire le loro vite e i loro mezzi di
sussistenza a Gaza. Un'analisi ambientale, che comprenda la valutazione della
contaminazione da munizioni e degli altri inquinamenti legati al conflitto,
dovrebbe essere parte integrante della pianificazione della ripresa e della
ricostruzione.”
- Ne avevamo parlato anche qui su Il Bo Live a inizio agosto: Striscia di Gaza: un'emergenza (anche)
sanitaria
“Cambiano gli scenari di guerra ma non
cambia la sostanza e la smisurata ipocrisia di chi rifiuta la colpa o non si
assume responsabilità
Nel libro di Tiziano Terzani “Lettere contro la guerra”, di recente ristampa, è scritto: “Che
differenza c’è fra l’innocenza di un bambino morto nel World Trade Center e
quella di uno morto sotto le nostre bombe a Kabul? La verità è che quelli di
New York sono i «nostri» bambini, quelli di Kabul invece, come gli altri
100.000 bambini afghani che, secondo l’UNICEF, moriranno quest’inverno se non
arrivano subito dei rifornimenti, sono i bambini «loro». E quei bambini
«loro» non ci interessano più.”
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