mercoledì 25 agosto 2021

Brasile: il genocidio delle popolazioni indigene - Leonardo Boff

  

Il disprezzo che l’attuale presidente brasiliano mostra nei confronti delle popolazioni indigene è noto. Li considera sub-persone e il 1 dicembre 2018 ha dichiarato in modo esplicito: «Il nostro progetto per l’indigeno è di farlo diventare come noi». E si è spinto oltre: «Non ci sarà un centimetro delimitato per una riserva indigena o per un quilombola (discendente di africani deportati come schiavi nelle piantagioni e fuggiti nella foresta, ndr)».

L’atto più perverso è la mancata approvazione della Proposta di Emendamento Costituzionale (PEC) che dovrebbe portare alle popolazioni indigene l’acqua da bere, gli aiuti di base contro il Covid-19. Questa mancata approvazione era ed è un obiettivo di morte. Eppure, nel mese di giugno, una manifestazione pacifica di varie etnie svoltasi a Brasilia è stata accolta con repressione, proiettili di gomma e gas lacrimogeni. C’è nei confronti degli indigeni un abbandono totale, fino al punto che 163 popoli di diverse etnie sono stati contaminati e ci sono stati 1.070 morti.

Un conoscitore della storia dell’Amazzonia, Evaristo Miranda, autore del libro Cuando el Amazonas corría hacia el Pacífico (Vozes 2007) ci dice: «Una cosa è certa: la più antica e permanente presenza umana in Brasile è in Amazzonia. Per circa 400 generazioni diversi gruppi umani hanno occupato, discusso, esplorato e trasformato i territori amazzonici per le loro risorse alimentari. Hanno sviluppato una grande gestione del bosco, rispettandone l’unicità, modificandone l’habitat in modo da stimolare quei vegetali utili per l’uso umano. Gli indigeni e la giungla si sono evoluti insieme in una profonda reciprocità». E l’antropologo Viveiros de Castro precisa: «L’Amazzonia che vediamo oggi è il risultato di secoli di intervento sociale, così come le società che vi abitano sono il risultato di secoli di convivenza con l’Amazzonia» (in Tempo e Presença, 1992, p. 26).

Nell’interno della giungla, con le sue centinaia di gruppi etnici, si venne formando sin dal 1100, prima dell’arrivo degli invasori portoghesi, uno spazio immenso (quasi un impero) della tribù Tupí-Guaraní che comprendeva territori che andavano dai contrafforti andini, formando il Rio delle Amazzoni, ai bacini dei fiumi Paraguay e Paraná, raggiungendo territori delle pampas gauchas sino al nordest del Brasile. «In questa forma – afferma Miranda – praticamente tutta la giungla brasiliana era stata conquistata dai popoli tupí-guaraní» (op. cit., 92-93).
Nel Brasile pre-cabralino (cioè prima dell’arrivo del portoghese Pedro álvares Cabral, ndr) c’erano circa 1.400 tribù, il 60% delle quali nella regione amazzonica. Parlavano lingue di 40 ceppi suddivisi in 94 diverse famiglie, che hanno portato l’antropologa Berta Ribeiroa ad affermare che «da nessuna parte sulla Terra è esistita una varietà linguistica simile a quella osservata nel Sudamerica tropicale» (Amazonia urgente, 1990 p. 75). Oggi, data la decimazione delle popolazioni indigene perpetrata nella storia passata e recentemente dai garimpeiros (i cercatori d’oro), e da chi era impegnato nelle attività estrattive (il più delle volte illegali), sono rimaste solo 274 lingue. Ciò significa che sono state perse più di mille lingue (85%) e, con loro, le conoscenze ancestrali, le loro visioni del mondo e le loro forme specifiche di comunicazione. È stato un impoverimento irreparabile per il patrimonio culturale dell’umanità.

Fra le tante tragedie che hanno portato alla scomparsa di intere etnie, vale la pena ricordarne una che pochi conoscono. Don Juan VI, che alcuni ammirano, in una lettera reale del 13 maggio 1808 ordinò di condurre una guerra ufficiale contro gli indios Krenak della Valle del Rio Dolce, negli Stati di Minas e Espiritu Santo. Ordinò ai comandanti militari «una guerra offensiva che non finirà fino a quando avrete raggiunto la felicità di dominare i luoghi dove vivono e far sentire loro la superiorità delle nostre armi… fino alla totale sottomissione di una razza simile, atroce antropofaga» (L. Boff, O casamento docéu com a terra, 2014, p. 140).

Perché ricordiamo tutto questo? Per renderci conto che queste azioni di sterminio sono ancora in corso oggi, e che dobbiamo resistere, criticare e combattere i criminali politici dell’attuale Governo, il loro genocidio degli indigeni come dello stesso popolo brasiliano, che ha portato alla morte più di 510mila persone. I principali responsabili e i loro complici difficilmente sfuggiranno di fronte al Tribunale internazionale per i crimini contro l’umanità all’Aia. Il disastro non è solo brasiliano ma internazionale. Per tali crimini non c’è un limite di tempo. Ovunque siano e in qualsiasi momento non sfuggiranno alla severità di una Istituzione gelosa, come ha dimostrato, della sacra dignità dell’essere umano.

Questi popoli nativi sono i nostri insegnanti e i nostri medici per quanto riguarda il rapporto con la natura di cui si sentono parte e attenti difensori. Ora, che con la pandemia del Covid-19 siamo perplessi e smarriti senza sapere come andare avanti, dobbiamo consultarli. Come disse un leader indigeno, sopravvissuto alla guerra criminale di Don Juan VI, Ailton Krenak, chi ci aggredisce non ci sta aiutando a tenere lontano e rimandare la fine del mondo. Se continuiamo nella via della distruzione dell’ambiente in cui viviamo, la Casa Comune, sfruttandola illimitatamente e senza alcuno scrupolo, si arriverà alla tragedia della specie umana. Ma possiamo avere la stessa speranza che ha fatto sopravvivere gli indigeni fino al giorno d’oggi. Anche noi possiamo sperare di sopravvivere, trasformati dalle lezioni che Madre Terra ci sta dando.

 

Traduzione di Fulvio Perini da https://leonardoboff.org/2021/06/26/el-gobierno-actual-ha-llevado-muerte-a-los-indigenas/ 

 

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