martedì 11 maggio 2021

L’uso strumentale di certe parole - Enzo Scandurra

 

Ogni volta che la specie umana (ovvero i suoi rappresentanti eletti) si trova ad affrontare problemi o minacce inedite (quasi sempre prodotte dalla sua ingordigia) che ostacolano o mettono a rischio la crescita economica, inventa nuovi concetti o parole che dovrebbero esorcizzarne gli esiti negativi.

Così è stato per lo “sviluppo sostenibile”, concetto che ognuno interpreta a suo modo (già al suo esordio, nel 1987, si contavano ben 25 sue definizioni); grimaldello semantico che si presta a più scopi (dalla pasta alle auto alle grandi opere), ma la cui sola sua evocazione basterebbe ad allontanare gli effetti di una crescita illimitata.

Ora la nuova parola magica è “resilienza”, termine pressoché sconosciuto ai più prima che esso comparisse, a livello nazionale ed europeo, nell’ormai famoso Pnrr, ovvero Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Che significa questa parola e da dove salta fuori? Essa assume significati diversi in ognuna delle discipline dove compare: informatica, metallurgia, ecologia, psicologia, eccetera.

In generale possiamo definirla come la capacità di un sistema di adattarsi a un cambiamento (nella fattispecie al cambiamento indotto dalla pandemia).

Wikipedia definisce, la resilienza, in ecologia e biologia, come quella capacità della materia vivente di autoripararsi a seguito di un danno, o quella caratteristica di un sistema ecologico di ritornare al suo stato iniziale, dopo che questi è stato sottoposto ad una perturbazione che lo ha allontanato da quello stato (omeostasi).

Gli ecosistemi sono regolati da meccanismi di retroazione detti feedback: quello positivo assicura la crescita di un ecosistema, il feedback negativo neutralizza l’effetto della perturbazione impedendo, ad esempio, la crescita sproporzionata di una data variabile (come nel caso del famoso modello di Volterra: preda-predatore).

Una proprietà degli ecosistemi è quella di possedere più di un grado di equilibrio, ovvero se perturbati possono oscillare intorno alla posizione di equilibrio per un certo tempo, per poi ritornare in quella stessa posizione.

Come pure, purtroppo, possono allontanarsi dalla loro posizione di equilibrio (se la perturbazione è molto forte) per poi posizionarsi su una diversa posizione di equilibrio.

In questo secondo caso non è detto che le specie viventi, o almeno molte di esse, sopravvivano (vedi l’esempio dei dinosauri che hanno abitato la terra per ben 160 milioni di anni).

Nel nostro caso la “perturbazione” è costituita dalla pandemia e la resilienza è la capacità di adattamento a questo evento straordinario e la sua capacità di contrastarlo.

 

In termini più semplici, la resilienza è l’atto di risalire su un’imbarcazione dopo che questa si è capovolta (secondo Trabucchi l’etimo di resilienza deriva dal latino resalio). 

Così definita, questa parola induce all’ottimismo, ovvero i governanti tenderebbe a vedere il cambiamento (l’effetto della pandemia) come una sfida da affrontare.

E infatti sono stati in poco tempo prodotti vaccini basati su un metodo innovativo (rna-messaggero) che forse potrà essere utile in futuro ad affrontare malattie che affliggono da sempre l’umanità.

Ma che succede, per esempio, nel caso dei cambiamenti climatici? L’ecosistema planetario una volta perturbato si adatterà su nuove posizioni di equilibrio in corrispondenza del quale non è detto che la specie umana possa sopravvivere.

Il concetto di resilienza appare piuttosto inutile. Perché seppure quella umana è una specie flessibile e assai adattabile, non potrebbe resistere a un innalzamento degli oceani o alla desertificazione di vaste aree del pianeta dovute a un aumento della temperatura media (causata dall’eccesso di CO2). L’ecosistema (la biosfera) perturbato non ritornerebbe nella sua condizione originaria.

E se la specie umana possiede le ben note capacità di flessibilità ed adattamento, i sistemi economici e sociali sono invece caratterizzati da estrema rigidità e vulnerabilità. Si innescherebbe un feedback tale da far crollare l’intero sistema economico sociale.

L’introduzione (da altre discipline) del concetto di resilienza in realtà sta a significare che non si vuole intervenire sulle cause della “perturbazione” (sia essa pandemica che climatica) quanto piuttosto sugli effetti di tali cambiamenti (da noi stessi provocati), ovvero all’interno dello stesso processo di ristrutturazione capitalistica.

E’ come quel caso disperato di un malato di diabete che continua a mangiare gelati convinto che qualche nuovo farmaco annullerà gli effetti della sua golosità mortale. Forse perché siamo in clima di Liberazione nazionale, ma io preferisco il termine di Resistenza a quello di resilienza che ci vede rassegnati a subire la catastrofe col solo scopo di minimizzarne i danni.

Articolo pubblicato anche su il Manifesto

https://comune-info.net/sulluso-strumentale-di-certe-parole/

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