domenica 23 maggio 2021

La rivoluzione ecosostenibile passa attraverso un nuovo concetto di lavoro - Roberto Paracchini

 

Oggi si inizia a parlare, finalmente, di ecosostenibilità; le riflessioni che seguono riprendono il problema con un taglio orientato ad avanzare alcune ipotesi esplicative su che cosa significherebbe se la si applicasse, l’ecosostenibilità, in specifico anche agli esseri umani. 

“Un pianeta migliore è un sogno che inizia a realizzarsi quando ognuno di noi decide di migliorare se stesso”. Questa frase, attribuita a Gandhi, è ricca di suggestioni. Una di queste racconta di un rapporto strettissimo tra noi e il pianeta. Come dire che noi non solo viviamo in questo pianeta ma ne siamo parte e insieme agli altri esseri viventi ne siamo costruiti e lo costruiamo. E ancora: se il nostro diventare esseri migliori aiuta il pianeta allora, non solo possiamo, ma dobbiamo diventare migliori perché dal nostro star bene dipende anche il benessere del mondo in cui viviamo. Più terra terra: se io sto male, stai male anche tu e viceversa. E se tu stai bene, sto bene anch’io e viceversa.

Proviamo a pensare un attimo a una persona a noi cara: se sta bene, in qualche modo ci sentiamo meglio anche noi. A questo punto proviamo a vederci come di fatto siamo, persone che hanno – chi più, chi meno – parenti, familiari, colleghi, amici, conoscenti e altro ancora. E ora proviamo un esperimento mentale in cui ognuna di queste persone con cui abbiamo alcuni dei rapporti accennati, ne abbia a sua volta altrettanti, di rapporti. Il risultato sarà una rete, una rete quasi infinita di relazioni e collegamenti.

Ma non c’è collegamento alcuno senza il trasferimento dall’uno all’altro di un qualcosa in un circolo di dare-avere e avere-dare: fosse anche solo un sorriso, uno sguardo, una smorfia, una chiacchiera, un saluto, un pettegolezzo, una sensazione, un’intesa e via di seguito. In pratica avremmo un numero enorme di persone che si trasferiscono l’un l’altro lo star bene o lo star male nelle infinite gradazioni e sfumature che una vita può rendere possibile. Dalla storia alla psicologia, dalla fisica alle neuroscienze, dalla sociologia alla chimica, dall’antropologia all’archeologia, dalla letteratura alla filosofia non esiste ormai settore del sapere che non sottolinei l’inscindibile interrelazione che lega tra loro gli esseri viventi, e non solo, che vivono e dimorano su questa Terra.

A questo punto viene spontaneo chiedersi se esiste un qualcosa o un modus vivendi che potrebbe far sì che questo reciproco trasferirsi qualcosa, ovvero il risultato di qualsiasi interrelazione, aiuti tutti gli esseri viventi a stare meglio. 

Detto questo, e tornando alla frase di Gandhi, si aprono i due problemi su cui stiamo riflettendo: il primo riguarda l’ambiente e l’ecosostenibilità, il secondo il lavoro. Due ambiti apparentemente distanti, in realtà inscindibilmente connessi. Vediamo.

Gli scienziati affermano che i cambiamenti climatici hanno visto il susseguirsi di diverse fasi; sottolineano anche che oggi questo cambiamento è fortemente accelerato dall’opera degli esseri umani, dal modo aggressivo di intendere il rapporto con l’ambiente, che viene visto come una entità non solo e non tanto da conoscere, ma soprattutto da controllarepianificare e dominare, consumando senza criterio le sue risorse.

A monte di questo modo di rapportarsi con l’ambiente, che tanti danni sta facendo e continua a fare, c’è un’idea, su che cosa sia quel qualcosa che chiamiamo ambiente, decisamente datata ed errata.

Per molto tempo con il termine “ambiente” si è indicato il risultato di una serie di processi essenzialmente legati ad una ipotetica idea di natura, pre-intervento umano, considerata all’origine di tutto ciò che è, e che si trova attorno agli esseri umani, come se noi potessimo esserne fuori. Anche l’origine etimologica della parola indica questo “vizio” d’origine. Il termine “ambiente” deriva infatti dal latino ambiens, che significa circondare. Lo stesso prefisso amb (in greco amphi) indica “intorno, da ambo i lati”. In questa prospettiva – che possiamo chiamare dualistica – l’essere umano non è considerato parte integrante della biosfera (o ecosfera), ma come entità che, pur ponendosi al centro del mondo, ne risulta in realtà esterno in quanto l’ambiente è ciò che sta intorno, mentre lui resta al centro.

Un passaggio importante, non solo perché propulsore di atteggiamenti antropocentrici, ma anche in quanto inserisce le basi di quel dualismo accennato che ha posto l’essere umano come un qualcosa di qualitativamente differente e, in quanto tale, concettualmente al centro di comando; di contro, ha messo l’ambiente e/o la realtà esterna dall’altrodi lato, ai margini si potrebbe dire, quindi come altro da sé. Questa impostazione ha caratterizzato gran parte del pensiero occidentale…

Considerare l’ambiente altro da sé ha contribuito a far ignorare che gli esseri umani sono essi stessi un prodotto dell’ambiente, a pieno diritto e umilmente in tutto e per tutto interni alla biosfera, ovvero a quella parte della terra in cui si riscontrano le condizioni per la vita animale e vegetale; e che comprende la parte bassa dell’atmosfera, tutta l’idrosfera e la parte superficiale della litosfera fino a due chilometri di profondità.

In parallelo questa visione dualistica (proveniente anche da Cartesio: res cogitans, gli esseri umani; e res extensa, tutto il resto) ha spianato la strada alla trasformazione della conoscenza da curiosità e necessità, per rapportarsi meglio con l’ambiente, a controllo sempre più pianificante, sino a diventare dominio incondizionato. Il che non significa affatto, sia chiaro, che le scienze abbiamo perso il loro valore conoscitivo; tutt’altro, ma che alcuni suoi aspetti sono stati strumentalizzati in alcune applicazioni pratiche. Un quadro che ha condotto, pian piano, anche a uno sviluppo economico fuori controllo e spesso subordinato agli interessi più rapaci del capitalismo contemporaneo, compreso quello più recente, detto della sorveglianza, ovveroun sistema di potere fondato sulla “schedatura dei movimenti” delle persone all’interno della rete (Amazon, Facebook e Google per citare le corporation più grandi). 

Uno sviluppo fuori controllo, si è detto, che ha determinato una rapina sconsiderata delle risorse naturali col rischio reale di una catastrofe ecologica in quanto ha compromessol’equilibrio di autoregolazione che interessa i vari attori del teatro della biosfera. Il tutto, schematizzando, è stato implicitamente (e interessatamente) considerato come un’evoluzione eticamente accettabile in quanto l’essere umano è pensante, animato (dal latino animus, soffio vitale), mentre l’altro da sé, l’ambiente, la res extensa, no, è non pensante, senza soffio vitale; quindi senz’anima. In pratica è materia bruta, dominabile e sfruttabile senza vincolo e limite alcuno. E i disastri ambientali, di cui il riscaldamento globale è l’effetto più macroscopico, si cominciano a vedere in qualunque parte del mondo.

Negli ultimi decenni, però, grazie alla crescita della ricerca scientifica, alle parallele sollecitazioni dei movimenti ambientalisti e alla spinta dei giovani stimolati da Greta Thunberg, si sta sempre più consolidando la consapevolezza che la vita su questo pianeta, e soprattutto quella degli esseri umani, è e sarà sempre più strettamente legata alla salute dell’ambiente, ovvero all’ecosostenibilità delle nostre azioni…

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