Ora,
possiamo discutere tutta la vita sulle occupazioni abusive, che sono una
galassia di situazioni diverse: c’è chi bivacca con la famiglia in una fabbrica
dismessa, chi si piazza in una scuola abbandonata o in una ex sede di
municipalizzata, chi con l’appoggio della malavita più o meno organizzata passa
davanti a quelli che per punteggio avrebbero diritto a un alloggio popolare.
Insomma non
è una questione ideologica – sono “buoni” o “cattivi” gli occupanti – ma è
invece un dramma molto pragmatico: ci sono migliaia di persone che non hanno un
tetto sotto cui vivere e che quindi si arrangiano infrangendo la legalità.
Questo è,
questo accade.
E questo a
sua volta è il frutto di tante concause economiche e sociali alla cui base c’è
però un unico innegabile elemento: il diritto inalienabile di ogni persona di
avere una casa in cui vivere non è considerato tale dalle istituzioni, o quanto
meno non è da esse garantito nei fatti.
Non succede
solo da noi, è ovvio. Ma non ovunque si risponde con il Piano Lupi.
Prendete il
Brasile, ad esempio: lì, per cercare di affrontare quei concentrati di miserie
e di gang criminali che erano le favelas, il governo Lula ha adottato una
politica molto diversa. Portando in quelle città illegali la luce elettrica,
l’acqua, le fogne: gratis. E i nomi delle vie: avere una residenza ufficiale,
con un indirizzo, è la precondizione per esistere, per ricevere la posta, per
compilare un modulo, per iscrivere i figli a scuola, per lasciare un recapito a
un colloquio di lavoro.
Si chiama
inclusione sociale: e ha funzionato…
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