Vivo in una grande metropoli. Si chiama Milano. Girano macchinoni di lusso e i pollici delle tv lcd vanno dai 40 in su. Mi affaccio al balcone. Diversi piani più in basso, nel palazzo di fronte, una casalinga è indaffarata a stendere i panni. Si piega e si rialza di continuo. Poi rientra, ma solo per tornare di lì a poco con una conca piena di nuovi panni. Lava per terra, strizza lo straccio, prepara il pranzo, cambia il bambino che ha vomitato e pettina il pelo del gatto, che ha vomitato a sua volta. Mi chiedo cos’abbia in più rispetto a una contadina, vestita di stracci e con un neo peloso sulla guancia. Insomma, una di quelle che passano la vita nei campi e molto poco dal parrucchiere. Mi rispondo che ha qualcosa in meno.
Entrambe lavorano dall’alba al tramonto, ma la contadina lo fa all’aria aperta, sotto al cielo, accarezzata dai raggi del sole, con le mani nella terra soffice e il corpo che la sera è ebbro di sana stanchezza. Soprattutto, quando si prende una pausa ha il privilegio di annientare la sua coscienza su una sedia a dondolo, abbassando il livello di consapevolezza a quello di un gatto steso al sole, cullata dai disegni che una comunità di moscerini tratteggiano contro il cielo, dal ronzio di una mosca che passa e va, dall’odore rassicurante del letame di mucca e dal rombo lontano di una nuvola scura che brontola all’orizzonte.
La casalinga di Milano si spacca la schiena dentro a quattro mura, tutt’al più cercando di curare 3 metri quadrati di balcone quasi che fossero un giardino con fontana. Ha 2 metri e 20 di cielo tra il naso e il soffitto e qualche metro cubo di aria (viziata) da respirare.
Al posto del ronzio di un insetto passeggero ha l’incessante frastuono dei motorini e dei suv che passano sotto casa, il martellante e sguaiato lavaggio mentale della televisione e, di notte, le urla della prostituta con il suo magnaccia. Al posto dell’orizzonte ha muri di cemento che si innalzano a pochi metri da lei, dall’altra parte della via, che oscurano il sole e nascondono il cielo. Al posto del profumo di letame ha il lezzo del biossido di piombo e gli scarichi fognari che ritornano su per i sanitari male alloggiati. E quando trova cinque minuti per rilassarsi, al posto di una sedia a dondolo e di quel silenzio carico di vita, ha un divano da pagare a rate e un telegiornale carico di morte. O, tutt’al più, una fiction che cerca di convincerla che quello che le manca non è un dondolo sopra a un prato, ma un abito di Prada e un marito glabro, che sorride come un ebete e che torna a casa con un diamante…
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