venerdì 15 luglio 2011

Land grabbing in Sardegna

Con la delibera fiume del 1° di giugno, la giunta della Sardegna “stabilisce che nella aree degradate, fino al venti per cento della superficie complessiva può essere destinata agli impianti fotovoltaici” scrive G. M. Bellu su Sardegna 24 del 14 di luglio.

Aggiunge poi: “Si scopre che la delibera quintuplica il territorio a disposizione (…) prefigura un bisogno di energia abnorme rispetto al fabbisogno.” Il tutto naturalmente giustificato con gli obblighi di Kyoto, con la vittoria sul referendum contro il nucleare, con i programmi europei di riduzione della CO2, con i posti di lavoro che potrebbero sorgere. Peccato che ogni struttura, ogni pannello verrà importato, che a noi resteranno solo gli stipendi degli operai, non certo quell’otto per cento di remunerazione del capitale. Cifra altissima di questi tempi. In realtà una nuova servitù che si aggiunge alle altre. Con questa delibera la Sardegna si allinea a quanto sta capitando in Africa, Asia e America Latina, anche in Europa: in Ucraina.

Migliaia di ettari che vengono venduti o dati in concessioni centenarie alla Cina, all’India, ai Paesi Arabi, al Giappone e Corea del Sud per la produzione di cibo o per lo sfruttamento delle risorse minerarie. Il fenomeno che è stato definito di Land Grabbing, furto di terra. Un ritorno alla politica delle enclave del periodo coloniale e post- coloniale. La giunta che si comporta come le élite dei paesi in via di sviluppo. Svende il proprio territorio, l’unica ricchezza vera e salda, ai fondi sovrani, agli speculatori, ai fondi di investimento che trattano capitali di oscura origine. Delibera secretata, come tante altre, in modo che i Sardi non sappiano di essere stati messi sul mercato al migliore offerente.

E’ in atto una colossale svendita del territorio dell’isola, dalle coste, dove si autorizzano ampliamenti dentro la fascia dei 300 metri, alle aree industriali ed artigianali e, con un silenzio ancora maggiore, delle aree agricole, dove emissari di sconosciuti investitori sono disposti ad acquistare aziende agricole in crisi. Su questo sito molti hanno, ormai da due anni, lanciato l’allarme. La crisi della pastorizia è crisi dei Sardi, del loro presente ma soprattutto del loro futuro. E’ in atto un furto con destrezza. L’impossibilità di molti di onorare le ingiunzioni di pagamento di Equitalia, sta facendo precipitare questo stato di cose.

Il governo dei Sardi è partner in crime, come dicono gli americani. Infatti agisce in silenzio, le loro decisioni si scoprono per caso, come quando si rientra a casa o in azienda e si scopre di essere stati visitati dai soliti ignoti. Tutto questo mentre nel mondo il prezzo dei terreni fertili aumenta costantemente. La questione della sovranità alimentare è la questione strategica. Un mondo che tra trentanove anni, praticamente domani, sarà popolato da nove miliardi di individui. Già oggi la Sardegna importa circa il novanta per cento del suo fabbisogno alimentare. Basterebbero tre settimane di interruzione dei trasporti aerei e marittimi per essere letteralmente alla fame. Di tutto ciò non vi è nessuna consapevolezza.

Le classi dirigenti dell’isola hanno abdicato a immaginare un futuro per la nostra terra. A loro interessa solo il loro vantaggio immediato e quello dei gruppi che rappresentano. “I Sardi sono un problema” ebbe a dire Ugo Cappellacci con Denis Verdini. Del problema stanno deliberatamente disfacendosene: con la crisi, i trasferimenti negati, il credito verso lo stato italiano che aumenta ogni giorno di più. I Sardi è bene che emigrino e quelli che restano che si “desardizzino”, che perdano la loro lingua, che si omologhino, che si trasferiscano sulle coste.

Possono rimanere i gruppi folk che allietano la “serata sarda” nei villaggi in costa. Un destino da nativi americani, o da abitanti delle isole oceaniche che attendono i turisti regalando corone di fiori e danze Hula. Un destino da cumbidadòres de pirichitos su Scintu e Dimonios. Pirichitos fatti con mandorle turche e iraniane, naturalmente. A loro la Sardegna, quella sì, che interessa veramente, è il suo territorio l’oggetto di tanto desiderio per poterne disporre come più gli aggrada. Peccato che non possano fare come gli inglesi con l’isola di Diego Garcia, trasformata in gigantesca portaerei nell’Oceano Indiano e gli abitanti trasferiti altrove. L’avrebbero fatto se avessero potuto...

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