In quanto uomini ancor prima che pensatori (si ricordi il detto latino “primum vivere, deinde philosophari”), anche i filosofi hanno (avuto) i loro “piatti preferiti”, rivelandosi non di rado dei grandi estimatori del “mangiar bene”. L’attenzione che essi hanno riservato al cibo affiora, oltre che dalle loro autobiografie (nelle quali spesso menzionano esplicitamente i loro piatti preferiti), anche nelle loro stesse opere filosofiche, in cui le metafore – diciamo così – culinarie sono ricorrenti e testimoniano un’incredibile attenzione alla sfera eno-gastronomica… Ludwig Feuerbach, a una sua famosa opera del 1862, aveva dato il titolo Il mistero del sacrificio o l’uomo è ciò che mangia. L’uomo è ciò che mangia: in tedesco, “der Mensch ist was er isst”. L’obiettivo manifesto che Feuerbach si pone è, naturalmente, quello di sostenere un materialismo radicale e anti-idealistico, a tal punto da portarlo a sostenere che noi coincidiamo precisamente con ciò che ingeriamo… Forse questa coincidenza tra essere e mangiare potrà sembrare un po’ eccessiva, ma è innegabile il fatto che, se siamo, è perché mangiamo. Che poi siamo ciò che mangiamo, forse è un po’ troppo, con buona pace di Feuerbach. Un antico adagio dice che non si può pensare con la pancia vuota: e Aristotele stesso ci ricorda, nella Metafisica (982 b 21), che la filosofia nasce quando l’uomo ha risolto i suoi bisogni primari.
Platone, che pure a questo mondo preferiva decisamente quello eterno e immutabile delle Idee, non era certo insensibile al mangiar bene: di lui si sa che amava olive e fichi secchi. Nella Lettera settima, inoltre, Platone se la prende con i Siracusani, accusandoli di mangiare ben tre volte al giorno!
domenica 6 febbraio 2011
il menù dei filosofi
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