Se il numero di coloro che si autoproducono lo yogurt crescesse in misura rilevante (non sarà così, perché tutto il sistema continuerà a far credere che sia un progresso e una liberazione di tempo andarlo a comprare), diminuirebbe la domanda di yogurt prodotto industrialmente. Di conseguenza, le industrie del settore dovrebbero ridurre i loro addetti e gli ordini di vasetti di plastica, coperchietti di alluminio e cartoncini stampati per le confezioni. Le aziende che fabbricano questi prodotti dovrebbero a loro volta sfoltire il numero degli occupati e diminuirebbe anche il numero dei camion che portano su e giù per l’Italia gli yogurt, i vasetti di plastica, i coperchietti di alluminio e i cartoncini stampati delle confezioni.
Toccherebbe allora alle aziende di logistica licenziare e ridurre gli ordini di carburante per autotrasporto. L’eccesso di produzione si estenderebbe quindi alle raffinerie, che sarebbero costrette a licenziare e diminuire le importazioni di petrolio. Ci sarebbe infine una riduzione di plastica, alluminio e cartoncino nei rifiuti, per cui le aziende che li raccolgono e/o gestiscono le discariche e gli inceneritori vedrebbero diminuire i loro utili e sarebbero costrette a ridimensionare gli organici. Ma le riduzioni di occupazione derivanti dalla diminuzione della domanda di yogurt non si fermerebbero qui, perché tutti i disoccupati di questi settori, non avendo più un reddito monetario farebbero diminuire la domanda di tutte le altre merci, innescando un processo di licenziamenti a catena. Ammesso che l’autoproduzione dello yogurt possa migliorare, in misura infinitesimale, la qualità della vita di chi la pratica, questo miglioramento avverrebbe al prezzo di un peggioramento totale della vita di tutti i licenziati che ne deriverebbero. Il rapporto costi-benefici sarebbe disastroso…
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