domenica 11 aprile 2021

Acqua, forza motrice della Natura. La sua emancipazione attraverso la via delle consultazioni popolari - Alberto Acosta

 

 “Sotto il dominio della proprietà privata e del denaro,
l’atteggiamento nei confronti della Natura è il suo reale disprezzo,
la sua violazione di fatto”

Karl Marx, “La questione ebraica” (1844)

Quando noi esseri umani, già molti secoli fa, ci mettemmo figurativamente parlando ai margini della Natura, iniziammo a concederle un ruolo passivo in quanto oggetto la cui mercificazione finì per diventare pienamente accettabile. E così, alimentato dalle origini stesse della nozione di progresso, a poco a poco si andò consolidando quel ruolo di fornitrice di materie prime per la produzione e di deposito dei rifiuti, e comunque da dominare. La “rottura metabolica” di società e Natura immaginata da Karl Marx è stata ostacolata, sia per le posizioni antropocentriche di questo geniale pensatore universale, sia soprattutto per la semplicità di molti dei suoi seguaci. Così, con il predominio dell’impulso marginalista e neoclassico, il pensiero economico seppellirebbe la riflessione “metabolica” per finire per consolidare la mercificazione della Natura. E in questo mercato l’acqua è solo una ulteriore merce.

Alla crescente snaturalizzazione delle attività economiche, che ha indebolito la comunità naturale della vita, si è aggiunta l’individualizzazione della comunità umana, soprattutto attraverso il consumismo sfrenato legato a una cupidigia senza fine. E così la Natura, trasformata in oggetto dell’accumulazione, e gli esseri umani, anch’essi assunti come elementi da sfruttare, individualizzati in quanto produttori e consumatori, entrano a pieno titolo in una sempre più forsennata danza di mercificazione della vita e delle sue relazioni.
L’acqua, come già detto, non ha fatto eccezione ed è ridotta in schiavitù, financo alla Borsa di Wall Street.

Gli sforzi per emancipare l’acqua

Di fronte a questa dura realtà, si moltiplicano sempre più le lotte per l’acqua. Gli esempi sono tanti, presenti in tutti gli angoli del pianeta. Da diversi approcci e processi, si sta avanzando in questa direzione. Anche all’interno delle Nazioni Unite – su iniziativa dello Stato Plurinazionale della Bolivia – si è arrivati nel luglio 2010 a una dichiarazione a favore dell’acqua, sancendo che l’accesso all’acqua potabile è un diritto umano fondamentale. Malgrado questo passaggio sia caratterizzato dalla mancanza di sostegno da parte dei paesi ricchi – proprietari delle società idriche transnazionali – il suo significato rimane comunque importante. Perché quel risultato è stato possibile grazie ad altre lotte che mirano a una grande trasformazione.
Il frutto immediato di questa decisione in seno alle Nazioni Unite è stata la Costituzione ecuadoriana del 2008, nota in tutto il mondo per essere stata la prima a costituzionalizzare i diritti della Natura e, di conseguenza, concedendo uno status speciale all’acqua. Ricordiamo che, sin dall’inizio, l’articolo 3 della Costituzione stabilì come primo dovere primordiale dello Stato quello di garantire, senza alcuna discriminazione, a tutti i suoi abitanti l’effettivo godimento dei diritti all’istruzione, alla salute, all’alimentazione, alla sicurezza sociale e all’acqua.

Da questa definizione iniziale, nell’Assemblea Costituente di Montecristi sono stati approvati principi fondamentali, come recita l’articolo 12:
“il diritto umano all’acqua è fondamentale e irrinunciabile. L’acqua costituisce un patrimonio nazionale strategico di uso pubblico, inalienabile, imprescrittibile, inattaccabile ed essenziale per la vita”.
Tra i tanti elementi costituzionali legati al liquido vitale, è vietato l’accaparramento dell’acqua (e della terra). E, oltre a quanto esposto sopra, è stato sancito che l’acqua, in quanto diritto umano, supera la visione commerciale e quella di “cliente” che può accedere solo all’acqua che ha la capacità di pagare. L’acqua, in quanto bene nazionale strategico di uso pubblico, riscatta il ruolo dello Stato, avendo questo la potestà di concedere l’uso dell’acqua nonché un ruolo guida a tal proposito. L’acqua, in quanto patrimonio della società deve essere gestito in una prospettiva di lunga scadenza, cioé guardando alle future generazioni, liberando l’acqua dalla dimensione di breve prospettiva propria del mercato e della speculazione. E l’acqua, in quanto bene comune, recupera l’elemento comunitario da cui è necessario riconsiderare questo tema vitale nella sua integrità, poiché una delle priorità del suo utilizzo è il mantenimento del ciclo ecologico dell’acqua.

L’acqua, quindi, rientra a pieno titolo nella definizione della Natura come soggetto di diritti. Si tratta di diritti propri che garantiscono pienamente l’esistenza, il mantenimento e la rigenerazione dei suoi cicli vitali, struttura, funzioni e processi evolutivi. Si stabilisce che qualsiasi persona, comunità, popolo o nazionalità può esigere alla pubblica autorità il rispetto di questi diritti. E, in linea con queste disposizioni chiaramente rivoluzionarie, la Natura ha diritto alla reintegrazione, che è indipendente dall’obbligazione dello Stato e delle persone fisiche o giuridiche di riparare il danno ambientale o di indennizzare individui e gruppi che dipendono dai sistemi naturali danneggiati. Vale altresì la pena segnalare che esistono chiare disposizioni a sanzionare i casi di distruzione ambientale, integrate dai principi di precauzione e restrizione per le attività che possono portare all’estinzione di specie, alla distruzione di ecosistemi o all’alterazione permanente dei cicli naturali. Riassumiamo quanto sopra citando Leonardo da Vinci: “L’acqua è la forza motrice di tutta la Natura”. E per questo motivo, la difesa dell’acqua come diritto umano, così come i diritti intrinseci dell’acqua stessa, acquisisce progressivamente forza.
Sebbene queste posizioni non siano state rispettate dai governi posteriori alla maggioritaria approvazione nelle urne della Costituzione di Montecristi del 2008, diverse organizzazioni e comunità, quelle che superando un’infinità di difficoltà hanno ispirato queste conquiste costituzionali, hanno moltiplicato le loro lotte di resistenza.

Le consultazioni popolari per l’acqua nelle Ande equatoriali

Di fronte alle pressioni estrattive inarrestabili – tra cui segnaliamo l’estrazione mineraria su larga scala imposta dal governo di Rafael Correa – molte comunità difendono i diritti alla vita, brevemente menzionati sopra. Così, in molti territori dove l’estrazione mineraria ha seminato a “sangue e fuoco” odio e divisione tra le stesse famiglie, con il recupero del diritto costituzionale alla partecipazione ai processi decisionali, le comunità hanno dispiegato varie azioni di lotta. Con le loro risposte affrontano saccheggi, devastazioni, violenze, false speranze di prosperità, annunci di guadagni milionari che in realtà non sono altro che perverse chimere…
Allo stesso tempo sfidano il potere politico e mediatico che incoraggia le compagnie minerarie tollerando o addirittura sponsorizzando violazioni sistematiche della Costituzione: una situazione perversa in cui anche le società minerarie considerate legali si basano sull’illegalità e persino sull’incostituzionalità. E ricorrendo ai diritti esistenti, compreso il diritto costituzionale alla resistenza dell’articolo 98, molte comunità hanno messo e mettono in scacco il potente blocco governativo minerario.

Così, lo scorso 7 febbraio, nell’ambito del primo turno del processo elettorale per eleggere il Presidente della Repubblica e il nuovo organo legislativo, nella città di Cuenca, il terzo cantone più popoloso dell’Ecuador, all’interno di quanto stabilito dall’art. 104 della Costituzione, si è tenuta una storica consultazione popolare. L’80% dei voti si è espresso a favore dell’acqua contro l’estrazione di metalli nelle zone di ricarica dell’acqua dei fiumi Tarqui, Yanuncay, Tomebamba, Machángara e Norcay; acqua che ha origine nei paramos e nelle foreste che circondano il Parco Nazionale di Cajas e che viene utilizzata per vari usi dagli abitanti di questa zona.
Questi fiumi, infatti, forniscono l’irrigazione per l’agricoltura e le attività lattiero-casearie, forniscono direttamente l’acqua alla popolazione di Cuenca e a molte comunità della zona, molte delle quali vivono di turismo. La cosa preoccupante è che più di 200 concessioni minerarie circondano i paramos del cantone, e ciò minaccia seriamente l’approvvigionamento del liquido vitale. In sintesi, sono in gioco interessi strategici vitali per Cuenca, perché lo sfruttamento minerario nelle zone di ricarica idrica dei suddetti fiumi lederebbe il diritto umano all’acqua dei suoi abitanti.
Come risultato di un lungo processo, superando innumerevoli difficoltà, si è arrivati alla storica data indicata. La strada percorsa è lunga. Per più di vent’anni le comunità contadine e indigene della provincia di Azuay, la cui capitale è Cuenca, hanno affrontato le pressioni minerarie.
C’è un antecedente che non può essere dimenticato. Nella stessa provincia, nel cantone di Girón, a sud di Cuenca, utilizzando varie forme di lotta che vanno dai blocchi stradali ai passaggi per i complessi meandri della giustizia, si iniziò a costruire ciò che poi è diventata la prima consultazione popolare vincolante, cioè riferita alle norme costituzionali nel citato articolo 104, per il quale si sono dovute raccogliere le firme necessarie. Ma ci sarebbero voluti quasi 8 anni affinché questa consultazione si potesse cristallizzare: il governo dell’epoca, fedele alleato dei capitali minerari, bloccò sistematicamente l’esercizio del menzionato diritto costituzionale.
Domenica 24 marzo 2019, giorno delle elezioni per i prefetti provinciali, i sindaci e le altre personalità locali, fu la data in cui si diede luogo a un passo sostanziale per la successiva consultazione di Cuenca. Nel piccolo cantone di Girón, nella provincia di Azuay, attraverso un pronunciamento popolare, si è deciso sul tema dello sfruttamento minerario: la prima consultazione vincolante di questo tipo in Ecuador. A capo c’erano varie organizzazioni soprattutto contadine: la Federazione delle organizzazioni indigene e contadine di Azuay (FOA) e l’Unione dei sistemi idrici comunitari di Girón, che avevano il sostegno di diversi gruppi cittadini, tra cui spiccava il Collettivo Yasunidos de Guapondelig (Cuenca).
Le comunità hanno combattuto contro il potere delle grandi compagnie minerarie e dello Stato, e la loro determinazione a bloccare la consultazione con qualunque mezzo. Anche nella fase finale sia il capitale minerario che lo Stato hanno presentato all’autorità elettorale numerose impugnazioni per bloccare lo svolgimento della consultazione. Con questi precedenti, il referendum di Girón, in cui le comunità hanno ottenuto una clamorosa vittoria con l’87% dei voti, è stato decisivo per proteggere casi del páramo di Kimsacocha e poi dare impulso alla consultazione di Cuenca.

La decisione popolare di Cuenca si è concretizzata dopo tre tentativi falliti che erano stati proposti per l’intera provincia, promossi da varie organizzazioni, con la guida dell’ex prefetto provinciale: Yaku Pérez, in seguito candidato indigeno alla Presidenza della Repubblica (al quale in modo fraudolento la cricca al potere ha impedito di raggiungere il secondo turno dopo le elezioni del 7 febbraio). Questa consultazione di Cuenca ha superato ogni tipo di trappola legale con una strategia intelligente, in alcune circostanze anche appoggiata dalla Corte Costituzionale, contando sul sostegno e la guida di un’alleanza contadina-cittadina, che è l’elemento che motiva il grande trionfo ottenuto. In questo caso la via della consultazione popolare non è stata aperta con la raccolta delle firme dei cittadini come nel caso di Girón, ma – come prevedono le norme costituzionali – si è raggiunta la maggioranza nel Consiglio cantonale di Cuenca per avanzare verso il referendum, il quale sta già provocando echi sempre più forti. Ad esempio, già si sta lavorando per nuove consultazioni vincolanti in altre aree dell’Ecuador, come nel caso del Distretto Metropolitano di Quito, la cui regione nord-occidentale è gravemente minacciata dalle attività minerarie.

Così, ispirata dall’esempio di Azuay, e tenendo come asse portante una forte alleanza di contadini e cittadini, si sta sviluppando una consultazione popolare per proteggere l’acqua e la biodiversità anche nella città di Quito, capitale dell’Ecuador. L’approvvigionamento idrico, le forniture di cibo di qualità, nonché l’esistenza di foreste incontaminate con la loro enorme e ricca biodiversità, sono già gravemente minacciate dalle attività minerarie. E per rendere possibile questa consultazione vincolante, a seguito di una lunga resistenza, si è formato un ampio fronte al quale partecipano l’Unione dei Governi Locali e la Rete dei Giovani Leader della Mancomunidad del Chocó Andino, Fronte Antiminerario di Pact, i comitati di gestione delle aree di conservazione e uso sostenibile, nonché vari collettivi urbani come Yasunidos e Caminantes, tra i tanti. La domanda per questo esercizio democratico è già pronta: sta solamente aspettando l’approvazione della Corte costituzionale per poter iniziare la raccolta delle firme, come parte di un processo sicuramente  complesso, ma che sarà anche un grande esercizio di pedagogia popolare.

Questo è ciò che si riflette nella domanda formulata collettivamente, con l’obiettivo di vietare ogni forma di giacimento minerario metallifero dal Sottosistema Metropolitano delle Aree Naturali Protette del Distretto Metropolitano di Quito; e, all’interno dell’Area di Importanza Ecologica, Culturale e di Sviluppo Produttivo Sostenibile costituita dai territori delle parroquias che compongono la Mancomunidad del Chocó Andino.
Questi indiscutibili risultati sono però ancora insufficienti. La perversa alleanza tra le compagnie minerarie e lo Stato non si basa solo sul desiderio di imporre la loro volontà. L’elenco dei cavilli addotti, usati con la finalità di non riconoscere la volontà popolare a Cuenca, o per reinterpretare le sentenze dei tribunali che paralizzano l’attività mineraria, è enorme. Si sostiene che, se proprio vogliamo menzionare una delle questioni, le concessioni sono precedenti alla consultazione popolare e che questa non può avere un effetto retroattivo. Alla stessa maniera viene usato l’argomento della sicurezza legale a rischio, qualora venissero interrotte le attività minerarie, agitando la minaccia di cause legali internazionali.

Sostenere i progetti in corso e anche le concessioni affidate, ignorando le norme costituzionali e legali per non intaccare interessi particolari che colpiscono la comunità umana e naturale, è un’aberrazione: sarebbe come giustificare il mantenimento della schiavitù per non colpire i proprietari di schiavi…
Basterebbe ricordare che quando gli schiavi furono liberati, non mancarono coloro che rivendicavano le “perdite” subite dai loro “proprietari”, a cui era stata limitata la “libertà” di commercializzarli, usarli, sfruttarli…
Qualcosa di simile accadde quando, nell’Inghilterra di inizio XIX secolo, fu messo in discussione il lavoro dei bambini e delle bambine: “la polemica fu enorme”, ci ricorda Ha-Joon Chang, uno dei principali professori dell’Università di Cambridge: “per i detrattori della proposta (essa) minava la libertà di contratto e distrusse le fondamenta del libero mercato”. Indubbiamente, in un’ottica di assoluta certezza giuridica, ciò che conta in ogni momento è il bene comune e non esclusivamente gli interessi privati, compresa la piena vigenza dei Diritti della Natura, oltre ai Diritti Umani.

Ora, queste società minerarie transnazionali, che hanno liste per valutare la maggiore o minore apertura dei paesi, cioè il loro maggiore o minore grado di sottomissione all’estrattivismo minerario, vedono con grande preoccupazione come questi “cattivi esempi” siano aumentati già da molti anni non solo in Ecuador, ma in tutto il mondo.
E hanno ragione.

Il “cattivo esempio” si diffonde in tutto il mondo

“L’acqua non è in vendita, l’acqua si difende”, “prima l’acqua poi la miniera” sono alcuni dei tanti slogan che risuonano nella Nostra America. Intensificando gli sforzi, affrontando multinazionali e governi complici, migliaia di persone nella regione difendono ogni giorno i propri territori. Sarebbe impossibile citare tutte queste situazioni, ma vale la pena ricordarne alcune che sono passate anche per i difficili corridoi della giustizia e delle istituzioni costituzionali, promuovendo consultazioni popolari.
Senza pretendere un elenco esaustivo, ricordiamo le consultazioni popolari più importanti, che sono servite anche da esperienza e incoraggiamento per quelle dell’Ecuador. Tra le decine di consultazioni popolari “di buona fede” o vincolanti svolte, ne ricordiamo alcune: il distretto di Tambogrande a Piura in Perù è riconosciuto come uno dei pionieri per la consultazione popolare che ebbe luogo il 2 giugno 2002, contro i progetti finalizzati all’estrazione di oro dal giacimento situato proprio sotto alla popolazione.
Il 23 marzo 2003, a Esquel, in Argentina, si tenne un plebiscito che con l’82% dei voti respinse le attività minerarie nell’area: anche se non con carattere vincolante, ha comunque consentito a Esquel di essere dichiarato “municipio non tossico ed ecologicamente sostenibile”. Attualmente in quello stesso paese, si sta lavorando duramente per avviare una consultazione popolare a favore di una legge per la protezione integrale dell’acqua, al fine di sostenere la vita delle comunità e gli ecosistemi.
In Colombia, paese di governi neoliberisti ed iperestrattivisti, sono già dieci le consultazioni realizzate e altre decine proposte: il 28 luglio 2013, nel piccolo e quasi sperduto comune di Piedras nel Tolima – con un’economia agricola e zootecnica – si è tenuta la prima consultazione popolare vincolante contro il distretto minerario La Colosa, progettato per essere una delle più grandi miniere a cielo aperto del pianeta; e da allora, superando una serie di difficoltà, le consultazioni popolari si sono moltiplicate fino a renderle apparentemente inutili, a causa delle pressioni del potere minerario-governativo.

Le opzioni per concretizzare questi diritti vanno oltre quanto esposto in forma telegrafica. C’è di più, anche in altri settori e li specifichiamo di seguito. Nel novembre 2016, il fiume Atrato e il suo bacino, in Colombia, sono stati riconosciuti come soggetto di diritto dalla Corte Costituzionale, il massimo organo di controllo costituzionale. Stessa cosa è accaduta nel 2018 con l’Amazzonia colombiana: due azioni notevoli in un Paese dove i Diritti della Natura si conquistano con risposte creative provenienti dall’ambito cittadino, non essendo costituzionalizzati.
E non solo l’America Latina si mobilita in difesa dell’acqua e dei Diritti della Natura.
Nel 2016 la Corte Suprema dell’Uttarakhand a Naintal, nel nord dell’India, ha stabilito che i fiumi Gange e Yumana sono entità viventi.
Nel marzo 2017, il fiume Whanganui in Nuova Zelanda è stato riconosciuto come soggetto di diritto in modo che possa comparire in tribunale attraverso i suoi rappresentanti: il popolo Whanganui iwi. Nel 2013, anche il Parco Nazionale Te Urewera, sempre in quel paese, è stato riconosciuto come soggetto giuridico con i diritti di una persona: se la terra non ha un proprietario, viene gestita congiuntamente dai popoli Crown e Tuhoe.
In Nepal è in corso un’iniziativa per riconoscere i diritti della Natura tramite emendamento costituzionale.
In Africa, tra le tante lotte, possiamo citare la difesa del delta del fiume Niger in Nigeria.
Anche negli Stati Uniti si stanno compiendo passi degni di nota. A Toledo, Ohio, nelle urne del 26 febbraio 2019 è stato deciso che il lago Erie, l’undicesimo più grande del mondo e che fornisce acqua potabile a 12 milioni di americani e canadesi, ha dei diritti. A sua volta, un gruppo di cittadini nordamericani ha intentato una causa affinché le Montagne Rocciose e il deserto del Nevada possano citare legalmente individui, società o governi negli Stati Uniti.
In Europa, per citare un altro continente, centinaia di migliaia di cittadini, con esiti più o meno positivi, affrontano la privatizzazione dei servizi idrici. In Germania, a Berlino, gli sforzi per rendere di nuovo comune l’acqua hanno avuto successo, qualcosa di simile è accaduto a Parigi, in Francia.
In Italia questo giugno segnerà il decimo anniversario della storica vittoria del referendum popolare quando il 95% dei 27 milioni di partecipanti respinse categoricamente la privatizzazione dell’acqua.
Sforzi simili vengono portati avanti anche in Spagna, Portogallo, Grecia…

La conclusione è inoppugnabile. Le organizzazioni comunitarie, impegnate in questi intrecci inestricabili della giustizia – quasi sempre manipolati o controllati da interessi di grandi aziende in collusione con i governi – sono obbligate a utilizzare in modo intelligente e creativo tutti gli strumenti offerti dall’istituzionalità esistente. Allo stesso modo, resistono a varie forme di violenza aperta o nascosta con cui vengono perseguitati, stigmatizzati, criminalizzati e persino assassinati i difensori della vita, che tra l’altro è ciò di cui tratta questa lotta: la difesa della vita. Ovviamente la questione va oltre l’ambito tecnico-giuridico, costringendoci a ripensare le forme di resistenza e di re-esistenza.

Urgente, tessere lotte globali di resistenza

È evidente, quindi, che la transizione per cristallizzare i diritti di Madre Terra, che sono in definitiva i diritti che garantiscono l’esistenza degli esseri umani, richiede molteplici alleanze. Occorre costruire ponti tra la campagna e la città, ponti tra le diverse regioni di un paese e sempre più ponti tra tutte le lotte di resistenza nel mondo: insomma i sud del mondo – e anche il nord globale -, attanagliati dagli estrattivismi, devono unirsi.

Senza minimizzare le origini storiche e i contenuti sociali e ambientali propri di ogni lotta, la posta in gioco in queste lotte è la democrazia. Si tratta di fatti politici che sintetizzano il diritto di una comunità di decidere sul proprio territorio e sul proprio progetto di vita in comune. Riassume la decisione di sopravvivenza dei popoli che hanno resistito e continuano a resistere alla logica dell’accumulazione capitalista che soffoca la vita, sia degli umani che della Natura. Si cerca di dare priorità alla vita degna per tutti gli esseri umani e non umani piuttosto che a un insostenibile produttivismo e un inarrestabile consumismo forgiato s’un individualismo alienante: la particolarità locale e l’uniformità globalizzante.

È la lotta tra queste visioni del mondo, il cui superamento dovrebbe orientarsi verso un orizzonte pluriversale: un mondo dove entrano molti mondi, assicurando contemporaneamente giustizia sociale e giustizia ecologica. Ed è per questo che in ogni consultazione popolare è in gioco molto di più delle mere controversie giuridiche. Queste consultazioni, assai più delle lunghe e complesse resistenze e costruzioni di alternative, evidenziano – senza mezzi termini – il grande potenziale di una democrazia vissuta, praticata e conquistata dal basso, dalle comunità, e da lì estesa ad altri ambiti governativi. Alla stessa maniera sintetizzano stili di vita che devono essere rispettati, mentre si aprono spazi per costruire altri tipi di economia. E nel bel mezzo della pandemia di Covid-19, si avverte molto più intensa la necessità di preservare questo liquido vitale come un diritto e non più come una merce.

E questa democrazia richiede azioni permanenti in molti campi, poiché le consultazioni popolari, come abbiamo visto a Cuenca, non finiscono per risolvere i problemi. Se la volontà popolare espressa nelle urne di quella città non viene rispettata, oltre a continuare a lottare lungo il complesso cammino della giustizia, bisogna tenere aperta la via della resistenza, nelle strade e nelle campagne, ribellioni e blocchi, cortei e manifestazioni, e anche nuove consultazioni popolari. Non dimentichiamo che questo percorso per difendere la vita è pieno di azioni anche eroiche, come quella conosciuta come la Guerra dell’Acqua che si svolse a Cochabamba, tra gennaio e aprile del 2000, quando i settori popolari di quella città boliviana si mobilitarono con successo contro la privatizzazione della fornitura dell’acqua potabile comunale.

Quello che abbiamo sintetizzato in queste brevi righe rappresenta il grande messaggio di questa giornata storica a Cuenca, che proseguirà a Quito, così come in tante altre regioni del pianeta: il nostro impegno è per una vita degna degli esseri umani e non umani. Per usare le parole schiette dell’infaticabile combattente argentino Fernando Pino Solanas**, in occasione della sua partecipazione al Tribunale Internazionale per i Diritti della Natura, a Parigi, nel dicembre 2015, “forse non esiste causa più grande, dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che lottare per i Diritti della Natura”.
 

* Economista ecuadoriano. Attualmente è professore universitario, docente e soprattutto compagno di lotta dei movimenti sociali. Giudice del Tribunale Internazionale per i Diritti della Natura (dal 2014). Ministro dell’Energia e delle Miniere dell’Ecuador (2007). Presidente dell’Assemblea Costituente dell’Ecuador (2007-8). Autore di numerosi libri.

** Fernando Ezequiel Solanas (1936-2020), argentino, meglio conosciuto come Pino Solanas: regista e politico, deputato, senatore, ambasciatore; giudice del Tribunale Internazionale per i Diritti della Natura. Un grande punto di riferimento della dignità nelle lotte che ha intrapreso e alle quali ha partecipato.

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