sabato 19 dicembre 2020

Tutto quello che avremmo voluto sapere su crisi climatica e zootecnia - ma di cui (quasi) nessuno parla

 intervista di Francesca Manzini ad Emiliano Merlin


 

Nel contesto di una emergenza sanitaria globale figlia del salto di specie di un virus diventato presto incontrollabile, mentre l'UE finanzia con 3,6 milioni di euro un'incredibile campagna dal titolo "become beefatarian" dopo aver confermato con l'approvazione della Politica Agricola Comunitaria finanziamenti a pioggia all'agroindustria e agli allevamenti intensivi, proviamo ad interrogarci sul nesso ben poco esplorato tra crisi climatica e zootecnia. Proponiamo quindi un'intervista di Francesca Manzini, attivista antispecista del Centro Sociale Bruno, ad Emiliano Merlin, laureato e Dottore di Ricerca in Astronomia (titoli conseguiti presso l’Università di Padova). Attualmente è ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, per il quale lavora presso l'Osservatorio Astronomico di Roma. Studia la formazione e l'evoluzione delle galassie nell'universo primordiale, tramite modelli numerici e l'analisi dei dati dai telescopi. È responsabile dello sviluppo del software fotometrico per la missione Euclid dell'European Space Agency. Si occupa anche di cambiamento climatico e della sua connessione con la zootecnia, e ha tenuto seminari per Climate Save Movement, Essere Animali e altre associazioni, in eventi pubblici e nelle scuole secondarie.

 

* Qual è la situazione della crisi climatica? È vero che non tutti gli scienziati sono concordi circa l'emergenza e le sue cause? 

Un dato secco: secondo i dati ufficiali NASA, cinque mesi del 2020 sono stati i più caldi di sempre rispetto ai loro corrispettivi (e altri tre sono al secondo posto)[1]. Già questo dato dovrebbe essere sufficiente a togliere ogni dubbio. La temperatura globale del pianeta, che viene costantemente misurata con una fitta rete di sonde, palloni aerostatici, boe, satelliti e navi, si sta attualmente alzando al ritmo medio di un decimo di grado all’anno; in Italia siamo già a circa 1,5° sopra la media del trentennio 1950-1980, e tutti i modelli climatici prevedono un ulteriore innalzamento fino a 5° di qui alla fine del secolo[2]. Questi sono dati molto robusti, su cui non c’è alcuna discussione in ambito scientifico: il 100% dei climatologi concorda sull’emergenza e sul fatto che la sua origine sia antropica, cioè generata dall’uomo[3]. Nel 2019 11mila scienziati hanno firmato tutti insieme un documento in cui scrivono “dichiariamo in modo chiaro e inequivocabile che il pianeta Terra sta fronteggiando un’emergenza climatica”[4]. Chi ancora nega o minimizza o è in malafede o non è un esperto, tutte le “teorie” negazioniste (da quella che indica l’attività solare come la causa del riscaldamento, a quella secondo cui la Terra si è già scaldata in modo simile nel passato recente) sono fandonie, smontabili con un minimo di ricerca e approfondimento[5]. Sottolineo che il riscaldamento globale non porta solo sconvolgimenti sociali e sanitari, ma è anche una catastrofe per quasi tutte le forme di vita come la conosciamo, perché gli ecosistemi stanno venendo devastati dal cambiamento climatico, causando l’estinzione di milioni di specie animali e vegetali e lo spostamento coatto di moltissime altre[6]. 

* Come funziona l'effetto serra? Ci spieghi il diverso peso dell'impatto delle emissioni di anidride carbonica rispetto a quelle di metano? 

L’effetto serra è il meccanismo per cui l’atmosfera terrestre cattura i raggi infrarossi riemessi dalla Terra dopo che questa ha assorbito la radiazione proveniente dal Sole; solo alcune molecole, i cosiddetti gas serra, sono efficaci nel farlo, ma poi queste molecole redistribuiscono l’energia assorbita scontrandosi con le altre componenti dell’atmosfera, provocando un aumento della temperatura media (che non è altro che la misura dell’energia media delle particelle dell’aria). È importante sottolineare che l’effetto serra non è dannoso di per sé, anzi è grazie ad esso se la vita sulla Terra si è sviluppata come la conosciamo; se non ci fosse, la temperatura della superficie del pianeta sarebbe costantemente intorno ai -20°. Il problema è che l’uomo sta aumentando a ritmi vertiginosi la concentrazione di alcuni gas serra[7], provocando un aumento a catena dell’effetto, che da nostro amico diventa nostro nemico. I gas di cui parlo sono in particolare due, la ben nota anidride carbonica e il meno discusso metano. Quest’ultimo è molto più potente dell’anidride carbonica in termini di forzante radiativo (il fenomeno fisico che causa l’aumento di temperatura), ma viene emesso in quantità molto minori, quindi generalmente si ritiene che non sia un problema altrettanto pressante; la realtà però è un’altra. Il punto sta tutto in “quanto” il metano sia più potente dell’anidride carbonica. Generalmente si dice che è circa 30 volte più potente, e su questo dato si basano praticamente gli articoli e tutte le infografiche che si trovano in rete, ma il numero è inesatto perché risulta da un calcolo impreciso, che non tiene conto in modo corretto del tempo di vita media del gas nell’atmosfera. Se si usano i parametri corretti, il vero fattore (che si chiama Global Warming Potential, o GWP) non è 30 ma circa 110[8], il che porta il metano a essere praticamente tanto dannoso quanto l’anidride carbonica, anche se emesso in quantità 100 volte minore. Sottolineo che questo è noto anche negli ambienti istituzionali, le stesse IPCC (l’organismo ONU preposto allo studio del clima) e FAO pubblicano questi numeri[9][10] (vedi tabella qui sotto), ma poi scelgono di non usarli nei contesti ufficiali. A tutto questo si deve aggiungere che attualmente l’anidride carbonica emessa viene per metà riassorbita in tempi molto rapidi da oceani e foreste[11]; questo non continuerà per sempre anche perché stiamo deforestando e acidificando gli oceani riducendo la loro possibilità di assorbire ulteriore CO2, ma per il momento è ancora così, sicché alla fine dei conti il risultato netto è che oggi come oggi il metano è più pericoloso della sua cugina più nota, l’anidride carbonica. Per approfondire un po’ questo discorso suggerisco di vedere un post che ho pubblicato sul mio blog, a questo link.

  

* In che modo l'allevamento degli animali definiti "da reddito" incide sul clima terrestre? 

In molti modi, ma per capire quello più grave basta unire quanto ho detto nella risposta precedente con i dati FAO (che probabilmente sono conservativi), secondo cui gli allevamenti sono responsabili di circa il 35-40% delle emissioni di metano antropiche[12], principalmente a causa del processo metabolico della fermentazione enterica dei bovini e della gestione del letame. Questo rende il settore zootecnico la principale minaccia al clima del pianeta, sostanzialmente alla pari con tutto il settore del bruciamento dei combustibili fossili; e tutto ciò solo considerando... i rutti delle mucche – il che può far sorridere, ma è la drammatica verità. Se sembra incredibile, basta soffermarsi su un altro dato: attualmente il 60% della biomassa dei mammiferi sulla terraferma è costituito da animali allevati (un altro 36% da esseri umani e solo il 4% da animali selvatici)[13]. Abbiamo riempito la Terra di prigionieri che macelliamo a ritmi vertiginosi, senza renderci conto di quello che questo avrebbe comportato per il pianeta, oltre che per la nostra salute e soprattutto per loro, i miliardi di esseri senzienti fatti nascere solo per venire ammazzati poco dopo. 

 

* In quali altri modi l'allevamento incide negativamente a livello ambientale? 

L’allevamento è la principale causa di deforestazione, in particolare in Amazzonia, dove un’area grande quanto un campo da calcio viene rasa al suolo ogni minuto per far posto a coltivazioni di soia che non diventerà cibo per vegani, ma per il 90% mangime per animali “da reddito” (soprattutto bovini)[14]. L’Italia gioca un ruolo non marginale in tutto questo: nel 2018 abbiamo importato più di mezzo milione di tonnellate di soia per mangimi dal Brasile, e 27mila tonnellate di carne bovina macellata[15]. A livello globale, più di un terzo delle terre emerse abitabili è occupato da pascoli o coltivazioni di mangimi[16]. Allo stesso tempo, l’industria zootecnica consuma circa un terzo dell’acqua potabile del pianeta[17]. Per produrre un chilo di carne di manzo servono 15mila litri d’acqua (per la maggior parte non potabile ma comunque sprecata)[18], per un hamburger l’equivalente di un mese di docce. Infine, gli allevamenti sono la seconda causa (dopo i riscaldamenti urbani) di emissione di particolato secondario[19], un agente inquinante dannosissimo per la salute e probabile vettore di germi, compreso il coronavirus (probabilmente non è un caso che la Lombardia, dove si concentrano la maggior parte degli allevamenti intensivi italiani, sia la regione più colpita dal Covid-19). In tutto questo non ho parlato della pesca, che sta devastando i mari uccidendo e inquinando (la metà della plastica che invade gli oceani è costituito da resti di reti da pesca) mentre le aziende vaneggiano di pesca sostenibile e i consumatori, è il caso di dirlo, abboccano. 

 

* L'allevamento estensivo o comunque non intensivo è una possibile soluzione? E il principio del km0? 

Non solo non è una soluzione, ma anzi per molti versi – escluso forse quello etico della minor sofferenza degli animali schiavizzati – è anche peggio dell’allevamento intensivo, perché al posto delle piantagioni di soia per ottenere mangimi ci sono i pascoli, ma lo sfruttamento del terreno, il consumo idrico e le emissioni di metano sono paragonabili se non peggiori. Circa il km0, stesso discorso: ciò che incide di più sul clima è la semplice respirazione degli animali, non importa se sono lontani o vicini a casa – la frazione del problema causata da altri segmenti della filiera produttiva – imballaggio, trasporto eccetera – è largamente minoritaria rispetto all’emissione di metano[20]. Non c’è verso di eludere la verità: eliminare il consumo di carne e di altri prodotti di origine animale, in particolare latticini e derivati, è l’unico modo per ridurre il proprio impatto. 

* Quindi ha poco senso concentrare gli sforzi sulle emissioni direttamente legate ai combustibili fossili rispetto a ciò che è oltremodo urgente fare entro i prossimi 10 anni per provare almeno a rallentare il riscaldamento globale? 

Non voglio essere frainteso, è assolutamente necessario contrastare anche le politiche energetiche e di consumo che causano il rilascio di anidride carbonica, la cui concertazione atmosferica è aumentata di un terzo negli ultimi 150 anni dopo millenni di totale stabilità. Ma è altresì necessario riconoscere che esiste un altro problema, altrettanto grave e pressante, che riguarda il metano e di conseguenza gli allevamenti che lo producono. Abbiamo meno di dieci anni per limitare in modo drastico le emissioni di gas serra prima che il riscaldamento globale superi il grado e mezzo in modo irreversibile[21]; dobbiamo agire ora e ridurre l’impatto del metano è imprescindibile. 

* Secondo te a cosa è dovuto l'assordante silenzio che circonda questa problematica anche all'interno della comunità scientifica e in associazioni ambientaliste vecchie o nuove? 

Interessi economici, disinformazione e pigrizia. L’industria zootecnica è potentissima, tutti devono mangiare e vogliono farlo come ritengono sia più gustoso, ed è molto semplice far sì che le persone continuino a fare qualcosa che hanno voglia di fare. La difficoltà maggiore è quella di cambiare le proprie abitudini per un motivo non immediatamente tangibile; pensiamo quante lamentele ascoltiamo per l’obbligo di indossare la mascherina durante una pandemia, figuriamoci quanti sono disposti a cambiare qualcosa di così radicato come il modo di mangiare per una minaccia che al momento sembra ancora lontana, anche se invece non lo è. Scienziati e ambientalisti sono persone normali, con i loro limiti, anche se i primi dovrebbero avere più spirito critico e i secondi più volontà di cambiare (anche se stessi) rispetto alla media; è molto comodo identificare un nemico e manifestare contro di esso, piuttosto che riconoscere che noi per primi dobbiamo cambiare abitudini fin da oggi. Così anche tanti ragazzi e ragazze che partecipano agli scioperi per il clima poi magari finita la manifestazione vanno a mangiare un hamburger da McDonald’s, ma questo avviene anche perché chi organizza e guida tali movimenti non parla in maniera chiara di quanto sia dannoso tale comportamento. 

* In che modo la lotta per la giustizia climatica può tradursi con maggiore facilità anche in pratiche individuali maggiormente incisive quando si prende in considerazione l'inquinamento legato al settore dell'allevamento rispetto ad esempio a quello dei trasporti? 

Secondo i report di Project Drawdown[22] e dell’IPCC[23], ridurre lo spreco di cibo e adottare una dieta plant-based sono le due azioni individuali a maggior impatto per arginare il global warming e il consumo delle risorse naturali. I dati parlano molto chiaro: tutte le altre iniziative, comprese quelle largamente pubblicizzate anche da associazioni ambientaliste riguardanti auto elettriche, lampadine al LED, rubinetti da chiudere e plastica da riciclare, sono certamente importanti ma di gran lunga meno impattanti del rinunciare a mangiare animali e derivati. E, lo ribadisco ancora, ridurre o scegliere bio o km0 non fa una grossa differenza; bisogna tagliare completamente i consumi di carne e derivati per avere un impatto serio. 

 

* Perché l'inquinamento legato agli allevamenti dovrebbe essere anche un tema dell'antispecismo politico? 

Come dicevo, scegliere un’alimentazione vegetale è una scelta che ciascuno può fare individualmente a partire da oggi stesso: il modo più efficace per abbattere un mostro forte come l’industria zootecnica è quello del boicottaggio. Ma resta vero che difficilmente la zootecnia si darà per vinta facilmente, anche perché mentre a fatica gli attivisti cercano di convincere ciascuno a prendere coscienza e cambiare abitudini, milioni di euro vengono spesi per disinformare e invogliare a mangiare hamburger e salumi, bere latte e via discorrendo. Quindi è fondamentale chiedere e lottare per un cambiamento sistemico, in cui anche gli enti governativi cessino di finanziare la zootecnia, come invece purtroppo hanno appena fatto con la PAC, nella quale 400 miliardi di euro sono stati destinati agli allevamenti intensivi[24]. È fondamentale che attivisti, progressisti e chiunque abbia a cuore le sorti del pianeta capiscano tutti insieme che la lotta per l’ambiente, quella per la liberazione animale, e quella per l’abbattimento del sistema capitalistico di produzione, sono intimamente e inscindibilmente legate, e che ciascuno deve farle proprie tutte e tre, iniziando a cambiare le proprie abitudini alimentari fin da oggi, mentre continua a combattere per un cambiamento della società. 

** Qui di seguito il webinar organizzato dal Centro Sociale Bruno. "Per formarsi rispetto all’impatto che l’allevamento di miliardi di animali non umani ha sull’emissione (diretta ed indiretta) di gas serra ed in termini di consumo di acqua, suolo e risorse naturali invitiamo a seguire l’intervento di Emiliano Merlin, dal titolo “Crisi climatica e zootecnia”. Qui il link.

 

da qui (grafici e note sono nell’articolo)

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