giovedì 31 dicembre 2020

Non c’è rivoluzione senza liberazione animale, e viceversa - Sergio Sinigaglia


 

Nell’ambito dei movimenti antisistemici, le tematiche legate alla questione animale, in particolare all’antispecismo, sono piuttosto snobbate, nonostante un numero non indifferente di attivisti e attiviste abbia fatto scelte di vita piuttosto chiare per quanto riguarda l’alimentazione e, più in generale, siano estremamente sensibili all’argomento.

C’è una notevole sottovalutazione ignorando come il tutto sia in stretta relazione con la necessità di un mutamento radicale e profondo dell’attuale modello sociale, economico e culturale.

La stessa emergenza pandemica ha evidenziato quanto l’oppressione, la supremazia che il genere umano ha stabilito sin dalle sue origini sulle altre specie e sulla natura, abbia favorito il diffondersi di malattie ed epidemie, fino a raggiungere i livelli di guardia che ci hanno portato in questa situazione.

Ritenere l’antispecismo una teoria e una pratica, un terreno di confronto e di mobilitazione non rilevante è alquanto miope.

Ormai ci sono numerosi contributi sul terreno della riflessione politica e filosofica di pensatori appartenenti all’area critica che spiegano perché dovremmo ritenere la tematica non disgiunta dalle battaglie che si stanno portando avanti sul fronte ambientale e anche nell’ambito economico e sociale. 

Tra i contributi più efficaci citiamo quelli di intellettuali e studiosi, per quanto riguarda il nostro Paese, come Annamaria Rivera e Massimo Filippi. Di quest’ultimo ricordiamo “Crimini in tempo di pace”, Eleuthera, scritto insieme a Filippo Trasatti. Sempre sul piano della riflessione politica, uscendo dai confini nazionali,  è opportuno citare Steven Best “Liberazione totale” Ortica edizioni.

Best accomuna una radicale critica al sistema capitalistico con la necessità di un processo di “liberazione animale”. L’oppressione animale come specchio dell’oppressione dell’uomo sull’uomo. Una società basata sullo sfruttamento, non può che produrre lo sfruttamento in tutti i suoi ambiti. «Il capitalismo ha avuto origine dall’imperialismo, dalla colonizzazione, dalla tratta internazionale di schiavi, dai genocidi e dalla distruzione ambientale su larga scala. Senza, non sarebbe stato possibile . Il capitalismo è un sistema di schiavitù, sfruttamento, gerarchia di classe, ineguaglianza, violenza e lavoro forzato. È basato su necessità di profitto e di potere».

Una critica radicale al modello esistente, sviluppatosi nei secoli, non può però prescindere dal fatto che l’edificazione del sistema schiavistico e di sfruttamento è speculare ad un altro modello schiavistico che ha visto la nostra specie, sin dalla preistoria, esercitare un’oppressione sistematica sulle altre e che successivamente, nel processo di civilizzazione, ha trovato le modalità razionali per dare vita al sistema produttivo moderno, capitalistico e non, che trova nel dominio sul mondo animale (non umano), pieno dispiegamento.

Analizzare i fenomeni sociali con quello che Best chiama «il punto di vista animale» significa acquisire la consapevolezza «del ruolo cruciale che gli animali hanno giocato nell’evoluzione umana e le conseguenze del dominio umano sui non umani. Non potremo comprendere e risolvere i problemi sistemici della società capitalista, le origini e le dinamiche della gerarchia e nemmeno immaginare una società razionale, autonoma etica ed ecologica del futuro se non faremo i conti con diecimila anni di specismo che ci portiamo dietro e il trattamento barbaro riservato agli altri animali». Una visione che getta «nuova luce sulle origini, le dinamiche dello sviluppo delle culture dominanti». Inoltre il punto di vista animale «è una estensione della teoria dal punto di vista femminista che fu sviluppato per rivelare il dominio patriarcale e il suo impatto debilitante sulla donna e l’umanità in generale». Del resto la diffidenza e il sarcasmo che spesso vengono usati da chi sottovaluta l’antispecismo e più in generale le questioni a esso collegate, ricordao l’ironia e gli sbeffeggiamenti con cui la maggior parte dell’opinione pubblica, maschile, reagiva ai primi movimenti di emancipazione femminile, alle rivendicazioni delle “suffragette”.

A sinistra l’eredità marxista classica ha ritenuto e continua a ritenere il tema del tutto irrilevante o al massimo lo inserisce nella battaglia più ampia portata avanti sul fronte ambientale. La centralità della lotta di classe, non può perdere tempo con tali quisquilie.

Marx era figlio dei suoi tempi e incentrò la sua analisi, visto il contesto, sullo sviluppo del nascente sistema industriale e le sue contraddizioni di classe. Del resto alle spalle aveva una plurisecolare storia del pensiero filosofico che sin dall’antichità, salvo alcune eccezioni, riteneva gli animali non umani “cose”, una linea che inevitabilmente fu ereditata, a partire da Cartesio, dai pensatori moderni e tracciò il solco di una tradizione che arriva fino ai giorni nostri e ha contagiato anche gran parte della sinistra in tutte le sue articolazioni.

Del resto fino agli anni Sessanta/Settanta del secolo scorso stessa sorte, come accennato, hanno avuto il movimento femminista, quello ecologista, nonché le tematiche legate alla diversità sessuale e alla violenza sui minori. La mitica “centralità operaia”, per decenni ha fatto passare in secondo piano le altre altrettanto fondamentali centralità. Un’analisi che ignora – come rimarcano Filippi e Trasatti all’inizio del loro saggio – che Henry Ford per dare vita alla nuova catena di montaggio che caratterizzerà la futura produzione automobilistica su larga scala e si allargherà a tutto il sistema produttivo, prende spunto dalla catena di montaggio del mattatoio di Chicago dove furono macellati dalla sua inaugurazione del 1865 al 1900 quattrocento milioni di animali.

Mentre gli altri movimenti, a partire da quello femminista, hanno gradualmente guadagnato la scena sociale e politica globale, per i movimenti animalisti e antispecisti ancora la strada è lunga, seppure segnali di inversione di tendenza da tempo iniziano ad esserci, una maggiore consapevolezza si sta sviluppando. Lo evidenzia la scelta sempre più ampia di un’attenzione verso la scelta alimentare con una crescita esponenziale di chi opta per il cibo vegetariano e vegano.

Così come sono ormai diffusi movimenti, con varie articolazioni, che agiscano  contro le vessazioni e le torture nei confronti dei non umani.

La sensibilità maggiore si registra nei confronti degli allevamenti intensivi e dei veri e propri crimini dell’agrobusiness. Il dato relativo ai quattrocento milioni di animali macellati in meno di trent’anni nel mattatoio di Chicago 150 anni fa, impallidisce di fronte alle statistiche attuali che registrano 170 miliardi di animali eliminati ogni anno; oltre 14 miliardi di animali ogni mese; 5.390 animali al secondo.

Ormai sono diverse le inchieste giornalistiche che attestano questo gigantesco sterminio. Alcuni anni fa la rivista Internazionale pubblicò un’inchiesta di due giornalisti francesi che descrivevano la catena di montaggio di una fabbrica di macellazione dei maiali. L’analisi affrontava anche lo sfruttamento umano, evidenziando non solo le conseguenze sulle mani degli operai che ogni cinque, sei secondi sgozzavano un animale ma il crescente rifiuto dal punto di vista etico, degli stessi lavoratori. Un profondo disagio che si tramutava nelle numerose richieste di trasferimento di reparto dopo un tot di tempo, nelle bugie in famiglia per tacere sul lavoro svolto. Un articolo dove si evidenziava ancora una volta lo stretto intreccio tra sfruttamento umano e non umano.

La critica al sistema alimentare industriale porta molti a fare una scelta di qualità, ma cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia. Si tratta della «teoria della carne felice» come la chiamano efficacemente Filippi e Trasatti. Insomma trattiamoli bene e uccidiamoli con amore. «É una strategia approntata dall’apparato industriale del settore per rispondere alle preoccupazioni di un numero sempre maggiore di consumatori disturbati dalle modalità con cui la carne viene prodotta”.

Ma – aggiungiamo – le cose non cambiano se si tratta del piccolo produttore biologico, perché il risultato è sempre lo stesso: l’uccisione. 

La recente ricerca scientifica ha ormai attestato il livello cognitivo delle specie non umane, ignorato o sottovalutato fino a ieri. Non si tratta solo di “sensibilità”, ma di vera e propria attività cognitiva, che innumerevoli esperimenti hanno potuto dimostrare. Fra i tanti contributi citiamo quello dell’etologo e primatologo Frans de Wall «Siamo così intelligenti da capire l’intelligenza degli animali?» (edito da Cortina) che offre un ampio ventaglio di sperimentazioni non sui soliti primati, ma su diverse altre specie.

Abbiamo sinteticamente proposto alcuni tesi che mostrano come non sia più possibile per chi è impegnato in prima fila per una profonda trasformazione della nostra società – oggi ancora più necessaria in un contesto sempre più drammatico dal punto di vista sociale e e ambientale – prescindere dalla questione specista.

Abbiamo ricordato come per molto tempo tematiche considerate marginali o comunque non fondamentali sono faticosamente entrate nell’agenda politica dei vari movimenti di questi decenni. E per provare a sintetizzare il tutto possiamo parafrasare un vecchio quanto efficace slogan del movimento femminista: non c’è rivoluzione senza liberazione animale, non c’è liberazione animale senza rivoluzione.

da qui

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