I passeri sono fra
tutti gli animali che vivono accanto all’uomo quelli più comuni e quotidiani,
paradossalmente
così comuni che nessuno quasi li nota. Sembrerebbe impossibile se non fosse
palese evidenza che zampettano accanto a noi e riescono a vivere nel marasma
del mondo di oggi con compassata decenza. Se ne incontrano in tutte le stagioni
dell’anno, ora a far bagni di polvere, ora a far “passeraio” dentro la chioma
di un albero. Quando li si vede saltabeccare e bere in una fontana, si prova
una gaia contentezza.
L’elogio che qui
si vuol fare dei passeri è una dimessa allegoria che non esclude il dire
qualcosa sulla sua ecologia e biologia. “Passer domesticus” – ovvero passero
domestico – è un uccello che vive in tutti i Paesi del mondo di clima
temperato. Il maschio si riconosce per il vertice del capo grigio, la nuca
castana, la gola nera e le guance biancastre. La femmina e i giovani sono bruno
sporco sopra il capo e bianco grigiastro sotto, senza particolari segni di
riconoscimento. Voce: garrula e variata. Habitat: le aree coltivate con
costruzioni, raramente lontano dalle abitazioni. Nidifica sotto i coppi dei
tetti delle case o fra arbusti e piante rampicanti dei cortili.
I passeri
possiedono la qualità rara della compostezza esistenziale che fa vivere con
poco. Nessuno come loro sa tenere occhi e orecchie ben aperti, usando i sensi
con giudizio e in modo perspicace, affrontando i problemi di ogni giorno con
prontezza e semplicità. Tutti i giorni questi uccelletti benevoli spazzolano i
rimasugli di cibo fra i tavolini dei bar o ai margini dell’entrata di qualche
negozio; sui balconi si appoggiano per spiccare il volo verso i tetti e
atterrano sulle strade per qualche veloce ricognizione. Più di tanti altri
animali, possiedono l’uso del comune, cioè “quello che serve per quel tanto che
basta”, senza azzardare o speculare, per esempio nella finanza. Infatti non si
è mai sentito di una passerotto che quota in Borsa la sua riserva di granaglie.
Il passero anche quando saltella si sente che ha le ali, che c’è in questo modo
di essere terra/aria una sapienza fantasticante che porta in alto, pur tenendo solidi
legami con la realtà. Detto in altro modo, il senso comune del passero è
leggerezza e praticità. Come ha osservato Saul Bellow il mondo è pieno di
idioti con un alto quoziente di intelligenza; fra questi, lo scrittore esclude
i passeri che infatti non brillano di qualche particolare intelligenza, non
sono consiglieri governativi, non fanno i giornalisti televisivi, non scrivono
libri tipo «La Bibbia e i passerotti» o «Management e passeritudine», non
cinguettano sui social network.
Il senso pratico
dei passeri non è solo strettamente pragmatico, è il senso più ampio e
popolarmente filosofico della sagacità, cioè acutezza, avvedutezza e grazia
dell’uso del comune. Con i detti di un tempo il senso pratico vuol dire: “avere
la testa a posto”, “non farsi imbambolare dai dispositivi che catturano”, “non
comprare monetine di legno”, “stare dalla parte di ciò che non si può domare”,
“lasciare che i morti seppelliscano i morti”, “vivere senza correr dietro alle
fanfallucche degli imbonitori”.
I passeri non sono
sentenziosi sebbene ci sia qualche eloquenza nel loro cinguettare. Il loro è
tutto un sentito dire, un passarsi le voci e i cip cip, magari raccontandosi le
storie e la saggezza del passeraio.
E’ per questo
pot-pourri di nozioni disparate che possiamo dire dei passeri tutto il bene
possibile, così come lo diciamo dei sistemi di senso comune in generale, che ci
permettono di cogliere la grande uniformità della vita nel mondo.
Può esserci una
vicinanza fra passeri e umani che vada al di là della indifferente convivenza?
Si raccontano storie in Romagna di un vecchio venditore di giornali che dava
ricovero nella sua edicola a una famiglia numerosa di passerotti. Magro e
sottile, con una barbetta ispida e mal rasata, l’edicolante stava fra mucchi di
giornali da vendere, conteggiando le rese con grande fatica, per via della
scarsa vista. Sui cappelli arruffati e bianchi si posavano i passeri. Si
racconta che avesse sbollito una febbre terzana sudando fra due materassi e
annusando nafta, con i passeri che lo stavano a guardare preoccupati. Era il
vanto del paese, insieme alla fontana dell’acqua di un pozzo artesiano, di
fronte alla sua edicola, che prendeva fuoco per via del metano che saliva dal
sottosuolo. La sua edicola era attorniata da ombrelloni, panchine, vasi,
fioriere. Dietro, in un piccolo cucinotto, preparava il pasto di mezzogiorno su
un fornellino.
Per i passeri
teneva da parte rimasugli di pane e pasta che offriva con molte cerimonie e
moine. I passerotti arrivavano quando lui li chiamava, si mettevano in fila sul
suo braccio e uno per uno saltellando, arrivavano sulla sua mano per
raccogliere briciole con piccoli colpi di becco. Li apostrofava con discorsetti
umoristici o proverbiali. “L’uccello mattiniero piglia i vermi” rimproverava i
pigri; “Chi ha fretta beve il the con la forchetta” diceva agli impazienti. I
passeri lo guardavano con attenzione e lui si sentiva come il re del paese
delle fiabe e dei boschi, ritenendo lo sguardo di passero una fatagione. Quando
il vecchio andava a giocare a biliardo, lo accompagnavano attraversando la
piazza del paese in volo fino alla porta del bar, per poi ritornare sul tetto
dell’edicola, dove aspettavano il suo ritorno. Il vecchio suonava il violino
con disdicevole genialità, i passerotti non sapevano apprezzare e qualche volta
si allontanavano costernati. Molti passanti, automobilisti, massaie e anche
piccoli mendicanti si radunavano accanto alla sua edicola a chiacchierare e
osservare i volteggi degli uccelletti. Per questa ragione aveva qualche
problema con le autorità del paese che gli imputavano di sottrarre spazio al
parcheggio delle macchine.
A un viaggiatore
che conosceva numerosi continenti fu chiesto qual era la cosa che riteneva più
straordinaria di tutte. Lui rispose: il fatto che ci siano i passeri.
Ho scoperto che
la passione per i passerotti accomuna viaggiatori e poeti, vecchi rimbambiti e
strambi, giocattolai e bambini.
«Passero, delizia
della mia fanciulla, col quale è solita giocare». (Catullo)
«Passero mai
solitario in alcun tetto non fui quant’io». (Francesco Petrarca)
«Ormai nei nidi
di ieri non c’è più passeri». (Miguel Cervantes)
«Tu pensoso in
disparte il tutto miri». (Giacomo Leopardi),
«Quanti propositi
vani, che sicumera farnètica e buffa e che sussulti di passero».(A. M.
Ripellino)
«Ci sono alcuni
passeri. Ma come si fa a intrattenere un rapporto costruttivo con un passero?»
(Giorgio Manganelli).
«Passeri, indiani
dalla testa nera». (Peter Handke)
«Una strada senza
passeri, un giocattolo senza bambini». (Peter Handke)
«I passeri sono
grandi incapaci». (H. Michaux ).
«Guardo un
passero che becchetta una merda fresca, straordinario come è facile campare per
un passero». (Henry Miller )
In un calendario
dedicato a Mario Quintana, il poeta brasiliano dei passerotti secondo Rubem
Alves, c’è un cielo azzurro con una enorme luna piena e il profilo del
vecchietto sorridente, con un bastone e un passerotto in mano. Non è comune che
i passerotti si posino in mano, a contatto con gli esseri umani, in Brasile.
Gli uomini sono coloro che hanno perso la fiducia degli uccelli. Mario Quintana
è il poeta che crede nei passeri e ha dedicato loro la più deliziosa fra tutte
le sue poesie. E’ noto che Quintana ha scritto per vendicarsi dei suoi
assassini, lui è stato ucciso diverse volte: «La prima volta che mi hanno
ucciso, ho perso il sorriso che avevo… Dopo, ogni volta che mi uccidevano hanno
portato via qualcosa di me…». E’ un testo triste che sanguina. Quando l’ha
scritto sentiva ancora il dolore provocato dal coltello. Dopo, con il tempo, ha
imparato che ridere è l’arma che uccide più della rabbia. E’ stato allora che
ha trovato la fine del proprio caso.
Poemino del
contrariato
«Tutti quelli che
ingombrano la mia strada,
loro
passeranno…io passerotto».
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