“Mi è scesa una lacrima, di rabbia e conforto”. Comincia cosi la lettera
che mi scrive Claudia, selargina, dal Ciad, in Africa.
“Ho letto l’articolo su Sadali e le parole di quelle madri (“fuori, fuori, anche i nostri bambini muoiono di fame”), mi hanno
impressionata. Con tutto il rispetto per quelle madri, quei padri, che si
trovano in grande difficoltà economica, che non vedono futuro dignitoso e che
probabilmente sentono minata la propria dignità, sento il bisogno di dire che
dubito ci siano casi di malnutrizione nella nostra Sardegna. Che non ci sono
casi di bambini deceduti per la diarrea, che qui, in Africa, ancora uccide.
Non sminuisco affatto le difficoltà del nostro popolo sardo, che conosco bene.
Ho una famiglia anch’io, ho amici , ho i miei affetti”. Così Claudia dal
Ciad.
Nel suo libro “Bilal“, un giornalista di nome Fabrizio Gatti ci racconta il
viaggiare, lavorare e morire da clandestini; lo racconta in maniera minuziosa:
la disperazione, il viaggio sino all’Italia, la traversata del deserto, di
migliaia e migliaia di giovani donne, uomini, bambini:
‘Mi sono sempre chiesto
cosa stia accadendo intorno ad una persona nel momento in cui la sua mente
decide di partire. Mesi o anni prima che il corpo si metta in viaggio o ne sia
solo consapevole, quale sia il fatto , l’istante, il motivo per cui il
ragionamento s’accorge che non restano alternative’“.
“Il punto di non ritorno
in cui la testa comincia silenziosamente il percorso, il viaggio. Muoversi o
soccombere. E soccombere qui non significa necessariamente morire. C’è di
peggio della morte. C’è una vita di stenti. Di elemosina. Di fatica a scaricare
camion o a selezionare rifiuti nelle discariche e rivenderli per pochi
spiccioli. C’è il pianto affamato dei più piccoli, tutti i giorni e tutte le
notti. C’è l’immagine portata dai viaggiatori, dai giornali che rivela
l’esistenza di un mondo ricco e irraggiungibile. C’è la sconfitta personale e
intima davanti alle fidanzate, alle mogli, ai propri padri. E davanti alle
proprie ambizioni”.
Con un aggravante , queste persone scappano da situazioni che noi non
riusciamo neanche ad immaginare: guerre, fame, repressione, sfruttamento nel
nome del dio petrolio. Scappano dalla miseria che noi creiamo giorno dopo
giorno, per continuare a soddisfare Il nostro egoismo.
Claudia Mocci è di Selargius, classe 1987. Si trova attualmente in Ciad, nel villaggio di Aboudeia , regione del Salamat, dove svolge per
conto della Fondazione Acraccs il ruolo di amministratrice di un progetto sul rinforzo delle
capacità delle popolazioni dei 5 cantoni intorno al Parco Nazionale Zakouma nei settori della sicurezza alimentare e
della gestione delle risorse naturali. Il progetto, iniziato nel 2012, terminerà nel 2015.
E’ arrivata in Ciad nell’Ottobre 2011
con una progetto chiamato Eurosha, atto alla creazione
dei corpi volontari europei di aiuto umanitario, finanziato dalla Commissione Europea. Nello specifico riguarda la
realizzazione di una cartografia opensource delle zone ad alto rischio di crisi
umanitaria. Con altri 6 volontari hanno lavorato all’interno dei campi
rifugiati al confine con la Repubblica Centrafricana, gestiti dall’Unhcr.
“Mia madre”, mi racconta ancora Claudia,
“è assistente volontaria di un ragazzo rinchiuso nel Cara di Elmas (Centro di accoglienza per richiedenti asilo). Io
invece vivo e lavoro in quella parte del mondo in cui il viaggio di certi
migranti ha inizio. Ancora prima di mettersi in viaggio, materialmente, il
viaggio inizia nella testa , nello spirito, nell’intimo di queste persone. Vivo
quella disperazione che spinge questi cristiani ad affrontare le traversate nel
deserto, tra le impetuose onde del mare, sui quei barconi di speranza e
morte. L’ Italia è solo l’ultimo approdo drammatico di questa odissea, di
quell’umiliazione che inizia molto prima di mettersi in viaggio. La fame, che
vedo tutti i giorni ma che non provo, il senso di colpa e impotenza che aumenta
e lacera il mio cuore. Ho letto il suo articolo su Sadali, mi è scesa una
lacrima. Una lacrima di rabbia ma anche di conforto.” Grazie Claudia.
Gianluigi Piras
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