domenica 5 gennaio 2020

La paraffina della Saras - Antonio Muscas


Ha destato molto clamore lo sversamento di paraffina (“qualche centinaio di litri”, che volete che sia mai?) durante un’operazione di carico di una nave davanti agli impianti della Saras, a Sarroch.
La Saras nel 2018 ha fatturato 9,20 miliardi di euro (vedi foto allegata, fonte https://www.reportaziende.it/saras_spa_o), controlla una società, la Sarlux per la produzione di energia elettrica della potenza di 555 MWe che soddisfa quasi il 50% dell’intero fabbisogno isolano.
Come combustibile utilizza il Syngas, un gas di sintesi derivato dagli scarti di lavorazione del petrolio, e così facendo da una parte si libera di rifiuti tossici per il cui smaltimento dovrebbe pagare cifre consistenti e dall’altra produce energia elettrica che vende a prezzo superiore al valore di mercato grazie ai famosi CIP6, i sostanziosi incentivi che permettono di equiparare gli scarti di lavorazione alle rinnovabili, incassando centinaia di milioni di euro all’anno.
In questo modo, avendo la Sarlux priorità di dispacciamento, ovvero il diritto di immettere in rete senza limiti – cosa che fa producendo a pieno regime per circa 8.000 ore all’anno – condiziona pesantemente il sistema energetico sardo impedendo la regolare transizione verso il rinnovabile e sottraendo soldi pubblici da dedicare proprio a progetti e interventi di riduzione delle emissioni nocive. Ciliegina sulla torta, il territorio circostante la centrale viene devastato per chilometri e chilometri dalle emissioni pestilenziali prodotte in gran quantità.
Ora, questo della Sarlux non è che un particolare dell’intero quadro rappresentato dalla raffineria Saras. Come le cronache degli ultimi anni ci raccontano, gli incidenti di ogni ordine e grado si succedono in questo stabilimento, ma mai nulla e nessuno ha messo in discussione lo stabilimento stesso e la sua gestione.
C’è da dire che, pur senza gli eccessi attualmente registrati, date le dimensioni dello stabilimento, anche lavorando nelle migliori condizioni e nel rispetto di tutte le normative, le ricadute sul territorio risulterebbero allo stesso modo devastanti.
Onestamente si potrebbe anche dire che, fino a quanto faremo uso dei fossili, sarebbe poco corretto parlare di chiusura della stabilimento per trasferirlo altrove. Per liberarci di questo mostro con tutte le sue aberrazioni evitando di trasferirlo a casa d’altri, sarebbe perciò necessario comprendere cosa è necessario fare.
La prima e urgente azione è spingere al massimo la transizione rinnovabile: prima ci libereremo dei fossili, prima potremo parlare di chiusura e riconversione dello stabilimento. La seconda, legata alla prima, è la progressiva riduzione dell’impiego del fossile che inevitabilmente andrebbe a limitare la produzione e l’emissione di veleni di ogni genere e sorta.
La terza, ma non per ordine di importanza, è l’eliminazione di ogni forma di incentivo che consente ancora oggi alle lobbies del fossile di restare competitive, condizionare e manipolare il panorama energetico. La quarta, è il ritorno del controllo pubblico, o meglio sarebbe dire collettivo (e perciò non statale) sulla produzione energetica, e qui di seguito spiegherò perché.
Se tu sei una multinazionale che fattura diversi miliardi di euro all’anno, avrai alle tue dipendenze stuoli di professionisti incaricati di trovare ogni sistema utile ad accrescere ulteriormente il tuo fatturato. Questi soggetti si occuperanno di promuovere l’immagine della società a cominciare dalle scuole fino alle più alte istituzioni; se necessario acquisteranno organi di stampa, li controlleranno o cercheranno di condizionarli.
Eserciteranno pressioni sulle istituzioni per ottenere leggi speciali e ad hoc, concessioni e deroghe e quanto necessario per svolgere o favorire la propria attività. Valuteranno se finanziare la campagna elettorale di qualche politico di comodo e cercheranno comunque di condizionare l’azione politica. Valuteranno se finanziare degli studi scientifici in grado di avvalorare la bontà delle attività svolte dalla società.
Di fronte ad una specifica norma ambientale, ad un limite o un vincolo, valuteranno se conviene rispettarli, quali sono le conseguenze economiche, sempre che ci siano, in caso di violazione, o se è più conveniente fare pressione sulle istituzioni affinché vengano modificati o rimossi, e le eventuali conseguenze sull’immagine della società.
Di fronte ad una specifica norma ambientale, ad un limite o un vincolo che non si vuole rispettare valuteranno se intervenire esercitando pressioni o minacciando la chiusura e il licenziamento. Valuteranno se farsi essi stessi promotori di norme più severe, che tanto non rispetteranno, al fine di darsi un’immagine più ambientalista.
Di fronte a determinati rischi e pericoli sulla salute dei lavoratori, valuteranno se conviene prendere i corretti provvedimenti o se invece siano inferiori i costi economici di un eventuale risarcimento, se mai ci sarà; anche perché le cause in tribunale possono trascinarsi per anni con un eventuale finale nulla di fatto.
Se tu sei una multinazionale che fattura diversi miliardi di euro all’anno, probabilmente le tue valutazioni saranno tutte di natura prettamente economica, inclusa la vita dei tuoi dipendenti e addirittura la tua vita stessa.
Se tu sei una multinazionale che fattura diversi miliardi di euro all’anno, non ci saranno incidenti casuali ma incidenti calcolati per i quali, salvo casi eccezionali, hai un ufficio stampa già pronto a ridimensionare e/o fornire tutte le rassicurazioni del caso.
Perciò, cosa volete che sia qualche centinaio di litri di paraffina sversato in mare?

Nessun commento:

Posta un commento