mercoledì 1 gennaio 2020

la massoneria sarda non muore mai


Pintor, Montaldo, il Pci e la massoneria. Un intervento di Giorgio Melis
  
L’ex vicedirettore della Nuova Sardegna Giorgio Melis, che per primo nel 1993 pubblicò la lista dei massoni sardi, interviene nel dibattito sui ‘grembiulini’ aperto dal blogger e giornalista Vito Biolchini. Lo fa ricordando il terremoto che seguì la pubblicazione della lista, con particolare riferimento alle figure di Enrico Montaldo e Luigi Pintor e agli equilibri interni al Pci. Ecco il testo dell’intervento che Melis ci ha inviato.

Caro Vito,
visto che ricordi un momento di grande clamore della vita sarda nella quale ho avuto qualche parte professionale, completo la ricostruzione su Enrico Montaldo e la franc maçonnerie in salsa nuragica. Con dettagli inediti, contestuali e successivi. In quegli elenchi c’era davvero di tutto e di troppo. Inclusi ultracattolici alquanto baciapile, da comunione quotidiana come Giorgio Falconi, allora cerimoniere a Villa Devoto della Giunta Palomba: molto ridicolizzato e molto indignato per essere stato smascherato nella doppia appartenenza. Ma i casi clamorosi erano millanta. Fino a far stupire chi aveva sospettato il peggio ma si trovò scavalcato da una realtà più larga e inquietante. Ad esempio, l’imponente infiltrazione nel Consiglio regionale. Non solo dei numerosi politici. Soprattutto del personale, anche a livelli burocratici apicali, e dei molti fra i tanti giornalisti che vi lavoravano.
Il tasso di grembiulini era imponente e allarmante. Fu una grande rivincita per Emanuele Sanna, il leader ex Pci che da presidente  dell’assemblea aveva più volte denunciato oscure interferenze non genericamente esoteriche ma virate in pesanti manipolazioni politiche all’ombra delle logge. Emanuele Sanna, prove alla mano, poté inchiodare molti personaggi solo sospettati, che l’avevano fortemente contrastato: senza chiare motivazioni ma per concrete contorte ragioni riconducibili agli interessi politico-economici di esponenti di diversi partiti e delle professioni, specie quella medica, dominante nella sanità privata ma condizionante anche nelle scelte della sanità pubblica. Sanna non potè invece inchiodare un importante compagno di partito, già suo alleato e poi avversario implacabile, il quale da tempo andava sostenendo (ma non allo scoperto) che Emanuele fosse massone. Mi accadde di dover contestare per ruolo professionale – presenti vari esponenti del partito in un congresso regionale del Pci – le affermazioni fatte dall’interessato a due persone (confermate di fronte a testimoni e firmate in una breve
dichiarazione) sulla presunta affiliazione di Sanna alla massoneria.
Nella redazione cagliaritana della Nuova, i due mi riferirono che l’autore dei boatos, in varie occasioni anche pubbliche, era stato Piersandro Scano. Ovvero un esponente di punta ed ex segretario regionale del Pci, poi eccelllente assessore al bilancio in Regione. Un personaggio di notevole spessore culturale e politico, allora leader di un gruppo interno molto influente. Oggi, da sindaco di Villamar (il suo paese) è stato eletto segretario dell’Anci sarda: è ben al di sopra di ogni altro sindaco sardo per qualità ed esperienza. Ma in quel rovente 1993 la lotta nel partito era a coltello, Scano contro Sanna e viceversa. E il primo – non so se perché malinformato e depistato o perché solo sospettando volle colpire l’avversario interno – andava dicendo che Sanna era massone. Finì per scoprirsi davanti ai due testimoni citati e glielo contestai a viso aperto: con sue repliche e ovvie negazioni generiche, tanto poco credibili quanto imbarazzate.
Ma veniamo al capitolo Montaldo. Il padre di Enrico, Paolo, era un notissimo geologo, docente universitario, fra i massimo esperti della mineralogia sarda. Personaggio estroverso con forte empatia. Però massone notorio, professo benché non del tutto confesso. Il figlio maggiore, Enrico, ingegnere in ascesa professionale, era un fervido ma critico attivista del Pci. Quando il grande Luigi Pintor fu “esiliato”
in Sardegna dal partito (in odore di eresia con Rossanda, Natoli, Magri e altri), Montaldo ne divenne forte sostenitore e lo seguì nella traumatica scissione del Manifesto. A Cagliari fu particolarmente dolorosa e drammatica. Il carisma di Luigi Pintor. Il rigore esplosivo delle sue denunce, senza compromessi o sconti per il partito. La sua inimitabile scrittura tagliente come un bisturi e trasparente come una lastra di ghiaccio (il Manifesto quotidiano avrebbe vissuto molto dei suoi editorilali, sempre di 45 righe, spesso straordinari). Insomma, la personalità di Pintor aveva conquistato molti esponenti di punta, parecchi dei più preparati giovani emergenti. Insofferenti dei residui di stalinismo e di osservanza sovietica presenti nel partito.
I leader degli scissionisti con Pintor erano Salvatore Chessa (morto in un incidente nel 1974), Nuto Pilurzu l’avvocato che non scansava una causa in difesa dei lavoratori, Cenzo Defraia, Marco Ligas e molti altri. Enrico Montaldo venne espulso dal Pci per posizioni non ortodosse e di
slancio seguì Pintor, col quale aveva costruito anche un rapporto personale importante. Al punto di chiamare il suo primo figlio Giame. Il nome dell’amatissimo fratello di Pintor, saltato su una mina nel 1943 mentre attraversava le linee tedesche per unirsi alla Resistenza a sud di Roma. Astro nascente e già prestigioso della letteratura italiana, benché giovanissimo. Un’altra normale combinazione: anche il primogenito di Luigi si chiamava Giame (morto ancor giovane a Trieste, curato dal grande Basaglia), come lo zio scomparso. Come dire, un doppio legame speciale che Enrico Montaldo volle creare con Pintor attraverso il figlio. A questo punto va ricordato che anche nel Pci Enrico Montaldo, in quanto figlio di un noto e importante massone, aveva dovuto insieme a un fratello, dichiarare formalmente ed energicamente, richiesto dal partito, di non essere iscritto ad alcuna loggia. Figurarsi quando passò al Manifesto, con Pintor “comunista apocalittico” che da Montaldo pretese quasi un giuramento laico di essere estraneo alla massoneria.
Questo accadeva alla fine dei tumultuosi anni Sessanta. Figurarsi la sorpresa di tutti e l’enorme indignazione di Pintor quando nel 1993 venne documentato che Montaldo aveva mentito a tutti ma specialmente all’uomo politico intransigente col quale aveva creato uno speciale legame anche personale. A questo aspetto umano e politico dedicai un breve commento sulla Nuova (“Da Pintor a Corona, il comunista ribelle col grembiule”) sottolineando la grevità dell’agire di Montaldo verso il suo leader osannato. Il quale Pintor, l’amarezza e l’ìndignazione contro l’infido seguace non l’ha mai smaltita, fino agli ultimi giorni. Venne a Cagliari nel 2002 per presentare il suo ultimo libro, straziato dalla
fulminea morte della figlia Barbara dopo quella – anni prima – del primogenito Giaime. Alla fine della serata organizzai un’improvvisata cenetta con la seconda moglie Isabella, il rappresentante della Bollati Boringhieri e alcuni dei suoi migliori amici cagliaritani nella trattoria “Dr. Ampex” in via S. Giacomo. Una bella serata, portai a Pintor delle stampe del Poetto anni trenta che lui amava e citava con rimpianto e dolore.
Salutandoci, a tarda notte, all’imbocco di Terrapieno, Luigi mi abbracciò e per poco non svenni dall’emozione: nessuno immaginava gesti simili nella severità del suo carattere. Ma la serata si era aperta nel segno del malumore. Parlando con Anna Maria Pisano, vedova di Salvatore Chessa e rimasta legatissima a Luigi dopo la morte del marito, Pintor in piedi e alquanto alterato tornò sulla storia di Enrico Montaldo massone. Ancora gli bruciava, direi esclusivamente o soprattutto sul versante umano. Disse ad Annamaria: “Diglielo, diglielo da parte mia, che è un pezzo di merda. Non perché era massone e ce lo ha sempre negato. Diglielo che lo disprezzo per aver coinvolto, quasi offeso mio fratello e me, chiamando Giame suo figlio. Che bisogno c’era – si sfogava Pintor – di questa sconcezza, di tirare in ballo il nome di mio fratello? Non so perché, forse per rendere insospettabile d’essere comunista e massone, con quella scelta non richiesta di rafforzare umanamente la stima che mi mostrava. Tutto, tutto avrei potuto forse capire. Non di aver accostato il nome di mio fratello, mentendo a me e ai compagni sulla sua appartenza alla massoneria. Diglielo, Anna Maria, diglielo che è stato e resta un p…..”. Fine di una storia, non determinante ma significativa anche per i valori e disvalori di un altro tempo rispetto a quello sbandato che viviamo.
La vita è naturalmente continuata, dimentica (non in tutti) di quell’episodio. Enrico Montaldo ha anche avuto guai seri con la giustizia, ne è uscito. Nel tempo ha rafforzato l’amicizia con Emanuele Sanna, l’anti-massoni, fino a progettargli una bella casa a Santa Margherita di Pula accanto alla sua villa. Ora la sortita del figlio Nicola in politica e l’intervista con l’accostamento alla massoneria, gettano una piccola luce sulla brutta storia lontana del padre con Luigi Pintor. L’uomo che non volle perdonargli non tanto la denegata appartenenza alla massoneria, ma la menzogna recidiva e l’improvvido accostamento al nome del fratello Giame. E lui, Enrico Montaldo, come giudica quella scelta pessima di tanti decenni fa e il giudizio sprezzante che Pintor ne ha dato fino all’ultimo? Non ha mai detto nulla, forse nessuno glielo ha chiesto. O forse il silenzio è l’unica scelta dignitosa per parole e atti indifendibili e inspiegabili.
Post scriptum. Da allora a oggi, niente è cambiato se non in peggio. Neanche la massoneria è più quella di un tempo, pur non essendo mai stata un fiore all’occhiello per la sua opacità e i troppi coinvolgimento politico-affaristici: anche in Sardegna. Negli ultimi anni della sua vita, Armandino Corona – in rotta con i figli Ketty e Piergiorgio che avevano cercato di interdirlo riuscendoci in parte – manifestava, con chiunque lo abbia avvicinato, disprezzo e insofferenza per la deriva della massoneria sarda e cagliaritana in particolare. Per gli arruolamenti a valanga, improbabili e maldestri, di personaggi in cerca di fortuna e soldi all’ombra delle logge. Certo, c’erano e ci sono ottime persone e professionisti prestigiosi nelle loro file. Ma resta un background sospetto e sgradevole di arrampicatori e arrivisti che scalano poltrone e ruoli politici in partiti trasformati in piccole e squallide massonerie pseudo-politiche, di bottega e a caccia di ogni brandello di potere.
Tutto si tiene, nel precipizio che ci inghiotte: malapolitica, malamassoneria, di tutto e di peggio nello sfascio di un’Italia allo sbando e della Sardegna disgregata e distrutta. Come mai in passato, negli ultimi cinque anni delle letali Giunte Cappellacci. Con la massoneria che ha spadroneggiato e imperversato come non mai, a volto quasi scoperto. Ma ben coperto mediaticamente dal grande alleato: il gruppo Unione Sarda di Sergio Zuncheddu: coazionista della Giunta, dove ha sempre avuto diversi assessori direttamente espressi, qualcuno poi dirottato in Enti di grande importanza come Sardegna Ricerche. Pour cause, Ketty Corona, la madre e figlia di tutta la massoneria cagliaritana.Ora anche elevata giornalisticamente al rango di grande manager, forse perfino internazionale. Senza che nessuno dica una parola. Senza che le penne à la carte arrossiscano per l’impudica esaltazione, sprofondando nel ridicolo.
Giorgio Melis



La massoneria ai vertici della Regione: due Dg iscritti a una Loggia di Oristano - Alessandra Carta 


Regolare Loggia Astrea numero 157. Di Oristano. Seguono diciotto nomi. Due di loro sono Dg in Regione. Ingaggiati il 28  giugno dalla Giunta di Christian Solinas. Quel giorno furono scelti in totale ventitré dirigenti. Inclusi i due iscritti alla Massoneria: si tratta di Antonio Casula, alla guida del Corpo forestale, e di Giuliano Patteri, indicato all’Industria. Casula, peraltro, occupa quella poltrona dai tempi del centrosinistra di Francesco Pigliaru, ingaggiato nel luglio del 2018, e confermato sei mesi fa da Psd’Az, Lega e alleati, la nuova maggioranza in Regione. Patteri, invece, è una ‘novizia’ dell’assessorato di via XXIX Novembre.
Sardinia Post si era occupata di “mercanti massoni” in tempi non sospetti. Era la fine dello scorso aprile. Allora sembrava che a sabotore la formazione del nuovo Esecutivo targato centrodestra fossero proprio le Logge segrete. Il caso lo aveva sollevato in un editoriale il direttore della nostra testata, Guido Paglia (qui l’articolo), attraverso una lettera aperta a Solinas. In quelle settimane aveva preso forma solo una mini Giunta, da cinque assessori. Successivamente, l’8 maggio, la scelta di altri sei. Una settimana più tardi la dodicesima e ultima nomina. 
Adesso spunta il documento che in via riservata Sardinia Post è riuscita ad avere, coi nomi dei Dg massoni. Casula e Patteri sono legati anche da uno stretto rapporto di amicizia: entrambi hanno cominciato la loro carriera in Regione all’Ente foreste, diventato agenzia durante la scorsa legisaltura, col nome di Forestas.

I diciotto massoni sono inseriti nell’elenco in rigoroso ordine alfabetico. Casula è terzo, Patteri dodicesimo. Per capire cosa sia Astrea bisogna fare una ricerca su Internet. “La Regolare Loggia fa capo al Gran Maestro venerabile Tommasi Ares Daniel, nato a Lione, in Francia, libero professionista, iniziato nel 1988 da Licio Gelli a Firenze”. Così riporta il quotidiano La Stampa in un articolo dell’ottobre 2018, il più aggiornato sul tema.A parlare, in un’intervista, fu Giustino Bruno, Maestro venerabile della Massoneria patriottica, derivazione della Astrea, spiegò lui stesso.
Nell’elenco di Oristano accanto a ciascun nome sono riportati il numero di cellulare e la mail. Nell’ultima colonna è indicata invece la carica. Il Dg del Corpo forestale è un “organista”, è scritto. Patteri, invece, risulta essere “segretario”. Dal trimbo che occupa l’intera pagina si legge che Astrea è una “regolare loggia della Sardegna”. Casula e Patteri hanno in comune anche un altro elemento: quando un anno e mezzo fa il primo passà da Forestas al Corpo forestale come primo dirigente, il suo posto lo prese il secondo.



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