sabato 31 marzo 2012
Caro Sindaco e il bilancio partecipato
Caro Sindaco,
Come cittadine e cittadini responsabili e informati, sappiamo che, dopo la manovra Monti, l’Amministrazione si troverà di fronte a decisioni difficili e impopolari: tagliare ulteriormente i servizi pubblici essenziali oppure uscire dal Patto di Stabilità.
Del resto già negli ultimi due anni, la discussione e l’approvazione del Bilancio del Comune di Venezia sono avvenute costantemente in un clima di emergenza che ha portato a una serie di decisioni dell’ultimo minuto, adottate esplicitamente con l’obiettivo di fare cassa per salvare in qualche modo il salvabile. Abbiamo così assistito all’impoverimento del patrimonio pubblico con la vendita di proprietà immobiliari di grande importanza per la vita e il futuro della città.
Si può affrontare questo momento difficile in modo da trasformarlo in un’opportunità per giungere a scelte migliori e non vissute come imposizioni dall’alto, con un guadagno per la crescita della democrazia e della coesione del tessuto sociale?
Noi pensiamo di sì e per questo, sulla scorta di tante, tantissime esperienze anche italiane, La invitiamo ad aprire immediatamente un percorso di democrazia partecipativa sul bilancio comunale 2012.
Abbiamo davanti un tempo ragionevole per compiere tutto l’iter necessario:
- illustrare ai cittadini con linguaggio accessibile la situazione delle risorse disponibili, delle entrate e delle uscite della finanza comunale e i dati correlati con un Town Meeting (= incontro pubblico aperto alla città);
- formulare, attraverso il lavoro di una commissione aperta seguendo l'esperienza di altri Comuni, una proposta di bilancio che individui le scelte e le priorità nell’uso delle risorse;
- giungere a proporre, grazie a questo percorso - in cui ogni tappa sarà trasparente e pubblica - le soluzioni adeguate e condivise.
Riteniamo infatti che coinvolgere e spiegare il senso della difficoltà economica che stiamo vivendo sia un presupposto fondamentale affinché tutti se ne sentano partecipi. In tal modo l'Amminstrazione offrirà ai cittadini strumenti di conoscenza della gravità dei problemi e dei vincoli di Bilancio, ma anche capacità di giudizio e di voce in capitolo sulle scelte da fare. Un percorso dunque che permetterebbe di recuperare quel “senso del comune” che è necessario per uscire dalla crisi.
Soprattutto nella situazione attuale del nostro Paese e della nostra città il Bilancio non può essere dunque ridotto a un mero processo amministrativo ma diviene un cruciale atto di indirizzo politico, che richiede una piena condivisione della cittadinanza alle scelte che incidono sulla vita delle persone e sul futuro della città.
Caro Sindaco,
siamo certi che Lei, insieme alla Giunta e al Consiglio Comunale, assumerà con chiara volontà politica questa richiesta, che mira ad avviare ben più di una ‘buona pratica’ di governo cittadino, perché, come è noto, tutte le esperienze ‘reali’ di Bilancio partecipativo consentono di affrontare i problemi insieme, con una crescita della cittadinanza, degli amministratori e un migliore utilizzo delle risorse e conseguentemente della qualità complessiva della vita della città.
Il titolista forse ha leggermente calcato la mano nel descrivere questo processo come democrazia diretta, però certo è un esperimento di superamento del normale modello rappresentativo con una interessante novità. Quella del sorteggio. In Italia poche volte si è creata una assemblea di cittadini con poteri così forti, tramite estrazione a sorte. Mentre nei paesi anglosassoni, le esperienze cominciano ad essere varie e significative, nel nostro paese questa è ancora una rarità.
Cosa sta succedendo a Capannori? Si sta facendo un bilancio socio-partecipativo (come lo chiamano loro), in cui gli 80 cittadini partecipanti sono stati estratti a sorte dalle liste elettorali in modo che rispecchino demograficamente la composizione della società.
Questi 80 cittadini discuteranno di progetti da realizzare con 400.000 euro.Forse questa è la debolezza di tutto il processo. Perchè poi nel percorso è stato stabilito che gli 80 si dividano in 4 parti corrispondenti alle 4 circoscrizioni ed ugnuna studi le sue proposte, da effettuarsi quindi con 100.000 euro a testa.
Un po’ pochino su una popolazione di 46.000 abitanti. Il bilancio 2011 del comune, risulta infatti di 89 milioni di euro. La somma di 400.000 euro che sarà discussa in questo processo partecipativo, significa che lo 0,45% del Bilancio Comunale verrà deciso dai cittadini e il 99,55% dai rappresentanti.
Tutto da gettare quindi? No. Anzi, il processo “Dire, fare, partecipare” sembra studiato molto bene.
Cos’è Dire Fare Partecipare?
È un percorso di partecipazione ideato dal Comune di Capannori e finanziato dall’Autorità Regionale per la Partecipazione.
A cosa serve?
L’obiettivo principale del percorso di partecipazione è quello di creare nuovi spazi di discussione e nuovi strumenti operativi che consentano ai cittadini di incidere nella definizione delle politiche del Comune.
Viene realizzato un nuovo strumento di partecipazione, “il bilancio socio-partecipativo”, che consente alla cittadinanza di:
a) conoscere e valutare le attività realizzate e i servizi erogati dal Comune;
b) indirizzare la gestione del Comune attraverso la richiesta di nuovi servizi;
c) progettare e scegliere opere pubbliche da realizzare sul territorio comunale nel 2012…
b) indirizzare la gestione del Comune attraverso la richiesta di nuovi servizi;
c) progettare e scegliere opere pubbliche da realizzare sul territorio comunale nel 2012…
Il Bilancio Partecipativo o partecipato è una forma di partecipazione diretta dei cittadini alla vita della propria città (democrazia diretta).
L'esperienza più celebre di bilancio partecipativo si è avuta a Porto Alegre (Brasile), città di 1,3 milioni di abitanti. L'esperienza di Porto Alegre ha avuto inizio nel 1989. Il fine era quello di permettere ai cittadini di partecipare attivamente allo sviluppo ed alla elaborazione della politica municipale.
La partecipazione si realizza innanzitutto su base territoriale: la città è divisa in circoscrizioni o quartieri. Nel corso di riunioni pubbliche la popolazione di ciascuna circoscrizione è invitata a precisare i suoi bisogni e a stabilire delle priorità in vari campi o settori (ambiente,educazione, salute...). A questo si aggiunge una partecipazione complementare organizzata su base tematica attraverso il coinvolgimento di categorie professionali o lavorative (sindacati, imprenditori, studenti..). Ciò permette di avere una visione più completa della città, attraverso il coinvolgimento dei cosiddetti settori produttivi della città. La municipalità o comune è presente a tutte le riunioni circoscrizionali e a quelle tematiche, attraverso un proprio rappresentante, che ha il compito di fornire le informazioni tecniche, legali, finanziarie e per fare delle proposte, attento, però, a non influenzare le decisioni dei partecipanti alle riunioni.
Alla fine ogni gruppo territoriale o tematico presenta le sue priorità all'Ufficio di pianificazione, che stila un progetto di bilancio, che tenga conto delle priorità indicate dai gruppi territoriali o tematici. Il Bilancio viene alla fine approvato dal Consiglio comunale.
Nel corso dell'anno, attraverso apposite riunioni, la cittadinanza valuta la realizzazione dei lavori e dei servizi decisi nel bilancio partecipativo dell'anno precedente.
Di solito le amministrazioni comunali, visti anche i vincoli di bilancio cui sono tenuti per legge, riconoscono alle proposte avanzate dai gruppi di cittadini la possibilità di incidere su una certa percentuale del Bilancio comunale. Nel caso di Porto Alegre si è partiti dal 10% del bilancio comunale, fino ad arrivare, lentamente, al 25%...
martedì 27 marzo 2012
nostra sorella Natasha
...L'animale, di nome Natasha, secondo quanto pubblicato dall'edizione on line del giornale britannico The Sun, ha 22 anni e vive nel Santuario degli Scimpanzè dell'isola di Ngamba sul Lago Vittoria e possiede importanti capacità comunicative che gli permettono di farsi capire dall'essere umano. Joshua Rukundo, direttore operativo del Santuario ha detto che "Natasha è sicuramente tra gli scimpanzé più intelligenti che si potrà mai trovare nel mondo".
da qui
...Plusieurs fois par jour, les soigneurs se rendent sur l’île pour les nourrir car la forêt ne leur en fournit pas suffisamment.
continua su youtube...
da qui
...Plusieurs fois par jour, les soigneurs se rendent sur l’île pour les nourrir car la forêt ne leur en fournit pas suffisamment.
Ce sanctuaire s’inscrit dans le cadre d’un programme global de conservation des chimpanzés en Ouganda. Ce programme comprend notamment : le recensement des populations sauvages de chimpanzés, la neutralisation des pièges, la familiarisation des chimpanzés à l’observation par de petits groupes d’humains afin de développer l’écotourisme, et l’éducation à l’environnement.
La capacité maximale du sanctuaire (42 chimpanzés) a déjà été dépassée. C’est pourquoi la construction d’un second sanctuaire sur l’île Nsadzi, à côté de la première, est déjà prévue. Les bébés et les femelles adultes resteront au sanctuaire principal, tandis que la plupart des mâles adultes seront transférés au nouveau sanctuaire. En gardant les bébés et les femelles adultes ensemble, on permet aux bébés de bénéficier de l’attention et de l'affection des femelles. On offre également ainsi aux visiteurs la possibilité d'observer les jeux espiègles des petits.
continua su youtube...
domenica 25 marzo 2012
lunedì 19 marzo 2012
venerdì 16 marzo 2012
citizen journalism con il telefonino - Marina Forti
È una questione di lingua, dice Shubranshu Choudhary. Parla del suo stato
d'origine, il Chhattisgarh, nel cuore di una regione montagnosa dell'India centrale: terra di
foreste, miniere, e di popolazioni «tribali» - così l'India definisce i suoi nativi, gli adivasi
(letteralmente «abitanti originari»). «In queste zone rurali, finché resti lungo la strada principale
si parla hindi. Ma se ti addentri anche solo un paio di chilometri, sentirai solo la lingua locale», ci
dice. «Qui l'hindi ha la stessa funzione sociologica che ha l'inglese nella società indiana nel suo
insieme: chi lo parla è inserito in una struttura di potere, chi non lo parla non ha voce».
Ecco una nuova prospettiva sul conflitto che qui ha uno dei suoi punti caldi. Le zone
montagnose del Chhattisgarh infatti sono considerate una roccaforte della ribellione armata di
ispirazione maoista emersa alla fine degli anni '90 in un'ampia fascia dell'India rurale. Un
conflitto esasperato dalla corsa a sfruttare le risorse naturali di cui quelle montagne sono ricche:
miniere di ferro, carbone, bauxite, e di conseguenza acciaierie, raffinerie, centrali termiche.
L'avanzata industriale ha espropriato terre e inasprito ingiustizie antiche. Su questo terreno si è
diffusa la ribellione armata, a cui lo stato ha risposto per lo più in termini militari.
Come giornalista e producer della Bbc, Shubranshu Choudhary ha riferito spesso sui maoisti.
Finché si è convinto che la premessa del conflitto è proprio un problema di comunicazione.
«Non ci sono giornalisti adivasi nei grandi media. I reporter vengono dalle grandi città. Arrivano
in un villaggio e chiedono: chi parla hindi? Se qualcuno lo parla, quello diventa il solo
interlocutore». Le autorità dello stato fanno altrettanto: cento milioni di adivasi parlano lingue
che la mainstream India non capisce. I pochissimi («forse il 2%») che parlano hindi sono
«cooptati a rappresentare tutti gli adivasi. Ma gli altri, la stragrande maggioranza, non hanno
voce»...
continua qui
d'origine, il Chhattisgarh, nel cuore di una regione montagnosa dell'India centrale: terra di
foreste, miniere, e di popolazioni «tribali» - così l'India definisce i suoi nativi, gli adivasi
(letteralmente «abitanti originari»). «In queste zone rurali, finché resti lungo la strada principale
si parla hindi. Ma se ti addentri anche solo un paio di chilometri, sentirai solo la lingua locale», ci
dice. «Qui l'hindi ha la stessa funzione sociologica che ha l'inglese nella società indiana nel suo
insieme: chi lo parla è inserito in una struttura di potere, chi non lo parla non ha voce».
Ecco una nuova prospettiva sul conflitto che qui ha uno dei suoi punti caldi. Le zone
montagnose del Chhattisgarh infatti sono considerate una roccaforte della ribellione armata di
ispirazione maoista emersa alla fine degli anni '90 in un'ampia fascia dell'India rurale. Un
conflitto esasperato dalla corsa a sfruttare le risorse naturali di cui quelle montagne sono ricche:
miniere di ferro, carbone, bauxite, e di conseguenza acciaierie, raffinerie, centrali termiche.
L'avanzata industriale ha espropriato terre e inasprito ingiustizie antiche. Su questo terreno si è
diffusa la ribellione armata, a cui lo stato ha risposto per lo più in termini militari.
Come giornalista e producer della Bbc, Shubranshu Choudhary ha riferito spesso sui maoisti.
Finché si è convinto che la premessa del conflitto è proprio un problema di comunicazione.
«Non ci sono giornalisti adivasi nei grandi media. I reporter vengono dalle grandi città. Arrivano
in un villaggio e chiedono: chi parla hindi? Se qualcuno lo parla, quello diventa il solo
interlocutore». Le autorità dello stato fanno altrettanto: cento milioni di adivasi parlano lingue
che la mainstream India non capisce. I pochissimi («forse il 2%») che parlano hindi sono
«cooptati a rappresentare tutti gli adivasi. Ma gli altri, la stragrande maggioranza, non hanno
voce»...
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mercoledì 14 marzo 2012
Ik voel, ik voel, wat jij niet voelt... - Elsbeth van Noppen (con sottotitoli a scelta)
Yo Siento (Ik voel, ik voel, wat jij niet voelt...) from Elsbeth van Noppen on Vimeo.
(sottotitoli in spagnolo)
I feel... (Ik voel, ik voel, wat jij niet voelt...) from Elsbeth van Noppen on Vimeo.
(sottotitoli in inglese)
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martedì 13 marzo 2012
giovedì 8 marzo 2012
orti a scuola
...Sembra un gioco, ma non lo è. C'è la magia della nascita, la responsabilità di accudire le piante, la sorpresa di vedere qualcosa che sboccia e cresce. Si imparano regole, ciclicità, rispetto ed equilibrio. Per la scuola è un salto di qualità, "perché l'orto non è una simulazione di realtà, ma la realtà vera e propria": ne è convinto Gianfranco Zavalloni, dirigente scolastico e punto di riferimento per chi segue il progetto degli orti didattici. Agli "orti di pace" Zavalloni ha dedicato un libro. C'è un sito omonimo 2, dove chi è interessato può tenersi in contatto con altri che seguono esperienze simili e dove c'è una rete degli istituti scolastici che vogliono partecipare, dando vita a una comunità.
Dal punto di vista didattico i pro sono diversi. I baby ortolani mettono a frutto abilità manuali, conoscenze scientifiche, sviluppo del pensiero logico interdipendente. Si sorprendono, scoprono cose per molti di loro nuove - da come nasce una patata ai profumi delle piante aromatiche - si divertono, diventano più curiosi. Di storie e di sapori.
E le soddisfazioni, per chi decide di imbarcarsi nell'impresa, che, va detto, necessita di impegno e continuità, non mancano. Riuscire a trasformare la scuola in qualcosa di vivo "è un'esperienza affettiva cui i bambini si legano", racconta Nadia Nicoletti, maestra dal 1975 e una delle pioniere degli orti a scuola. Il suo istituto a Villazzano, in Trentino, ha un bellissimo orto-giardino, che negli anni è cresciuto grazie all'aiuto del comune di Trento, all'amore e alla fatica di insegnanti e bambini. Per due ore alla settimana i suoi alunni "fanno" l'orto all'aperto. E d'inverno, quando fa troppo freddo, l'attività si sposta all'interno della scuola...
Dal punto di vista didattico i pro sono diversi. I baby ortolani mettono a frutto abilità manuali, conoscenze scientifiche, sviluppo del pensiero logico interdipendente. Si sorprendono, scoprono cose per molti di loro nuove - da come nasce una patata ai profumi delle piante aromatiche - si divertono, diventano più curiosi. Di storie e di sapori.
E le soddisfazioni, per chi decide di imbarcarsi nell'impresa, che, va detto, necessita di impegno e continuità, non mancano. Riuscire a trasformare la scuola in qualcosa di vivo "è un'esperienza affettiva cui i bambini si legano", racconta Nadia Nicoletti, maestra dal 1975 e una delle pioniere degli orti a scuola. Il suo istituto a Villazzano, in Trentino, ha un bellissimo orto-giardino, che negli anni è cresciuto grazie all'aiuto del comune di Trento, all'amore e alla fatica di insegnanti e bambini. Per due ore alla settimana i suoi alunni "fanno" l'orto all'aperto. E d'inverno, quando fa troppo freddo, l'attività si sposta all'interno della scuola...
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doni d'Africa
…Dolce, zuccherosa, morbida o consistente. Ma non è così. Una caramella può essere desiderio, contatto con angoli di mondo sconosciuti, elementare piacere mai provato. Continua a stupirmi la reazione che la vista e l’offerta di una caramella provocano quaggiù. E non sto parlando di bambini, per quanto anche il loro entusiasmo e meraviglia che li lascia senza parole sia ogni volta emozionante. Parlo degli adulti. Persone di 20, 50 o 70 anni. Non c’è differenza. Sono bambini di fronte al cioccolato (come i nostri bambini di fronte al cioccolato), ma c’è di più. C’è il piacere di una scoperta che unisce due mondi, c’è la semplicità di accettare senza pudori inculcati e falsi, c’è la spontaneità di mostrare una curiosità che non teme di essere giudicata…
…Tra i bambini, che sono tantissimi e spuntano sempre da ogni angolo per salutarmi, gridarmi “obruni obruni” e toccarmi come per essere certi che io esista veramente, c’è Felix. Ogni tanto passa qui alla struttura per salutare Antonella e me. Felix ha 11 anni ed è orfano di entrambi i genitori, vive con la nonna. E’ un ragazzo serio, vestito sempre in maniera molto curata ed è molto sveglio. Parla un inglese perfetto, è l’unico che abbia incontrato ad essere così bravo, rimani incantato ad ascoltarlo. E’ senz’altro un bambino che non ha goduto della propria infanzia, è molto più maturo dei suoi coetanei e anche di molti adulti. Spero che continui a farsi avanti come sta facendo così che, quando avrà l’età giusta, qualcuno possa aiutarlo a trovare la strada che si merita. Vorrebbe fare il dottore…magari, in questo Paese!...
ladri d'Africa
Immaginate la Svizzera interamente ricoperta di piantagioni per alimentare auto e centrali termo-elettriche: 4 milioni di ettari. E' il totale delle terre oggi sfruttate dagli occidentali in Africa per produrre biocarburanti…
…Il totale in ettari da noi calcolato è semplicemente la punta dell'iceberg. Non tiene infatti conto dei progetti locali e delle vaste concessioni ottenute dalla Cina, assetata di energia rinnovabile per sostenere la sua rapida crescita economica. Alla Repubblica Popolare si aggiungono, inoltre, i colossi agro-energetici brasiliani e malesi: tutti in pole position in Africa e pronti a esportare nel Vecchio continente non appena l'aumento del prezzo del petrolio e l'abolizione dei dazi Ue sui prodotti agricoli locali renderà gli agro-combustibili altamente competitivi…
…Con una superficie coltivabile di 29,4 milioni di ettari (pari a un terzo del suo territorio), la Tanzania ambisce a diventare uno dei principali produttori di biocarburanti in Africa. Ha già firmato decine di concessioni per oltre 400mila ettari, un terzo dei quali concentrati nelle mani di tre grossi investitori esteri: l'olandese Bioshape e l'inglese Sun Biofuels, dedicate alla jatropha; la svedese Sekab, intenzionata invece a coltivare canna da zucchero per il bioetanolo. Una dopo l'altra queste società si sono ritrovate sull'orlo della bancarotta, interrompendo le attività e lasciando dietro di sé miseria e disperazione.
I contadini avevano ceduto la terra di proprietà del loro loro villaggio in cambio della promessa di assunzione. Ora hanno perso sia il diritto a coltivare i campi sia l'agognato posto di lavoro. Infatti, in base alla legge della Tanzania, per essere affittata a un privato la terra collettiva deve prima essere trasferita al governo centrale che ne diventa proprietario per sempre e ci può fare quello che gli pare. Senza contare che parte della foresta è stata tagliata per far posto alle colture di jatropha. Ai locali è rimasta solo una manciata di euro di indennizzo su cui le autorità locali, complici degli investitori, hanno ricavato una percentuale di "cortesia".
A nulla valgono le linee-guida nazionali sui biocarburanti adottate nel 2010 in risposta all'ondata di proteste nelle campagne della Tanzania contro il far west dell'agro-energia. I nuovi standard sociali prescritti dal governo non hanno alcun valore legale. Gli investitori hanno la facoltà di rispettarli o meno. Anche a livello Ue la sostenibilità sociale è solo facoltativa. Solo quella ambientale è obbligatoria. Per cui, in linea di principio, i biocarburanti possono essere immessi sul mercato europeo nonostante provochino espulsioni in massa e compromettano la sicurezza alimentare dei locali. "Purtroppo non possiamo introdurre criteri sociali per valutare la conformità delle materie prima importate dai paesi terzi poiché ciò sarebbe contrario alle regole dell'Organizzazione mondiale del commercio", spiega un funzionario della Commissione europea…
I contadini avevano ceduto la terra di proprietà del loro loro villaggio in cambio della promessa di assunzione. Ora hanno perso sia il diritto a coltivare i campi sia l'agognato posto di lavoro. Infatti, in base alla legge della Tanzania, per essere affittata a un privato la terra collettiva deve prima essere trasferita al governo centrale che ne diventa proprietario per sempre e ci può fare quello che gli pare. Senza contare che parte della foresta è stata tagliata per far posto alle colture di jatropha. Ai locali è rimasta solo una manciata di euro di indennizzo su cui le autorità locali, complici degli investitori, hanno ricavato una percentuale di "cortesia".
A nulla valgono le linee-guida nazionali sui biocarburanti adottate nel 2010 in risposta all'ondata di proteste nelle campagne della Tanzania contro il far west dell'agro-energia. I nuovi standard sociali prescritti dal governo non hanno alcun valore legale. Gli investitori hanno la facoltà di rispettarli o meno. Anche a livello Ue la sostenibilità sociale è solo facoltativa. Solo quella ambientale è obbligatoria. Per cui, in linea di principio, i biocarburanti possono essere immessi sul mercato europeo nonostante provochino espulsioni in massa e compromettano la sicurezza alimentare dei locali. "Purtroppo non possiamo introdurre criteri sociali per valutare la conformità delle materie prima importate dai paesi terzi poiché ciò sarebbe contrario alle regole dell'Organizzazione mondiale del commercio", spiega un funzionario della Commissione europea…
mercoledì 7 marzo 2012
gli artigiani che progettano il futuro - Riccardo Luna
Il futuro, secondo Doctorow, è quindi di società come Local Motors: nata a sud di Boston ha progettato e realizzato un auto da corsa con il contributo creativo di migliaia di appassionati. "La Rally Fighter è passata dal progetto al mercato in 18 mesi, il tempo che ai colossi dell'auto a Detroit serve per cambiare le decorazioni di una portiera", ironizza in proposito Anderson. Questa rivoluzione industriale ha molto della cultura fai-da-te degli americani ma con un cuore, anzi un cervello italiano. Non si tratta più infatti soltanto di stampare o tagliare oggetti, ma di renderli intelligenti. E interconnessi. Per fargli fare delle cose. A questo pensa Arduino. Ha un nome da re ma non è una persona, è un microcomputer da 20 euro che ha conquistato il mondo (ce ne sono in giro 400mila ufficiali, con il profilo dell'Italia stampato sul circuito elettronico, più almeno altrettanti clonati in Cina). Lo ha creato nel 2005 un giovane ingegnere ribelle, Massimo Banzi, 42 anni, mentre faceva un corso di interaction design agli studenti della scuola di Ivrea. A cosa serve Arduino? Banalizzando, a far compiere un'azione ad un oggetto: per esempio a farti ricevere un sms quando la tua pianta ha bisogno di acqua. E a moltissime altre cose più importanti. Tutte quelle che puoi immaginare. "Arduino è una piattaforma per il futuro", sintetizza Banzi che all'estero è una vera star, uno dei leader della rivoluzione in corso. Arduino è un progetto aperto, così come la MakerBot, i droni di Anderson, l'auto da corsa di Boston e come tutto quello che fanno i "maker". Vuol dire che sono stati progettati collettivamente, usando la rete, e non hanno copyright.
Questo è un aspetto cruciale adesso che decine di venture capital si avvicinano a un settore dove intravedono possibilità di guadagno. Adafruit per esempio, è una startup nata in un loft del quartiere di Wall Street e diventata famosa con degli oggetti intelligenti realizzati riciclando le scatole metalliche per mentine Altoid: l'anno scorso ha venduto kit per 5 milioni di dollari. Ma come investire in un'azienda che non brevetta nulla e che anzi, si vanta di condividere tutto? Bre Pettis, che per MakerBot impega 82 persone e ha venduto kit per stampanti 3D fai-da-te per 10 milioni di dollari, avverte: "Chi non condivide i propri progetti, sbaglia". Punto. È anche questa la cultura digitale a cui faceva riferimento Anderson nel suo saggio: la condivisione e la partecipazione applicata alla produzione di oggetti. E se vi sembra una cultura di nicchia, sappiate che sta dilagando. Alle Maker Faire cinque anni fa andavano poche migliaia di persone: ora sono centinaia di migliaia, gli sponsor sono Microsoft, Pepsi Cola e Ford, e da tre anni una edizione molto spettacolare si svolge in Africa. Mentre i FabLab, lanciati dal Mit per replicare laboratori dove produrre facilmente oggetti, sono arrivati in tutto il mondo, persino in Afghanistan e CostaRica. In Italia ne è appena aperto uno, a Torino, si chiama Officine Arduino ed è nato sulla scorta di un FabLab sperimentale varato in occasione degli eventi per celebrazioni dei 150 anni. Nessuno sapeva dire bene cosa fosse quel posto lì, ma c'era tutti i giorni la fila. Le persone facevano cose. I "maker" stanno arrivando.
da qui
Questo è un aspetto cruciale adesso che decine di venture capital si avvicinano a un settore dove intravedono possibilità di guadagno. Adafruit per esempio, è una startup nata in un loft del quartiere di Wall Street e diventata famosa con degli oggetti intelligenti realizzati riciclando le scatole metalliche per mentine Altoid: l'anno scorso ha venduto kit per 5 milioni di dollari. Ma come investire in un'azienda che non brevetta nulla e che anzi, si vanta di condividere tutto? Bre Pettis, che per MakerBot impega 82 persone e ha venduto kit per stampanti 3D fai-da-te per 10 milioni di dollari, avverte: "Chi non condivide i propri progetti, sbaglia". Punto. È anche questa la cultura digitale a cui faceva riferimento Anderson nel suo saggio: la condivisione e la partecipazione applicata alla produzione di oggetti. E se vi sembra una cultura di nicchia, sappiate che sta dilagando. Alle Maker Faire cinque anni fa andavano poche migliaia di persone: ora sono centinaia di migliaia, gli sponsor sono Microsoft, Pepsi Cola e Ford, e da tre anni una edizione molto spettacolare si svolge in Africa. Mentre i FabLab, lanciati dal Mit per replicare laboratori dove produrre facilmente oggetti, sono arrivati in tutto il mondo, persino in Afghanistan e CostaRica. In Italia ne è appena aperto uno, a Torino, si chiama Officine Arduino ed è nato sulla scorta di un FabLab sperimentale varato in occasione degli eventi per celebrazioni dei 150 anni. Nessuno sapeva dire bene cosa fosse quel posto lì, ma c'era tutti i giorni la fila. Le persone facevano cose. I "maker" stanno arrivando.
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martedì 6 marzo 2012
giovedì 1 marzo 2012
Dall'Amazzonia alle Ande- Karima Isd
È un essere vivente grande 6,5 milioni di chilometri quadrati. La foresta amazzonica occupa metà del territorio del Brasile e importanti aree di altri otto paesi (Bolivia, Colombia, Ecuador, Guiana francese, Guyana, Perù, Suriname e Venezuela). E un'importanza che va ben oltre questi confini; infatti è un polmone del mondo, un «pozzo» che cattura gas serra.
Ma un'alterazione del rapporto fra l'Amazzonia e i miliardi di metri cubi di acqua che i venti trasportano dall'Oceano Atlantico equatoriale alle montagne Ande potrebbe mettere in pericolo la capacità di ripresa di un bioma cruciale per il clima globale, avverte l'Istituto nazionale brasiliano per la ricerca spaziale (Inpe), che ha partecipato con altre agenzie a uno studio durato venti anni. Sintesi: a meno che non si arrivi in tempi rapidi a una riduzione delle emissioni di gas serra, alla fine del XXI secolo le precipitazioni nell'area amazzonica e dintorni saranno del 40 per cento inferiori e la temperatura media sarà di otto gradi superiore a quella normale. E questo trasformerà la foresta - le cui capacità di resilienza sono grandi ma hanno un limite - da «pozzo» a fonte di emissioni di gas serra.
I 30,6 miliardi di tonnellate di gas serra rilasciati dal mondo nel 2010, secondo i calcoli dell'Agenzia internazionale per l'energia, sono un record assoluto che non incoraggia affatto. Il lavoro di ricerca è stato condotto grazie a 13 scenografiche torri di legno alte fra i 40 e i 55 metri, posizionate in diversi punti della foresta per misurare il flusso dei gas, il funzionamento delle caratteristiche di base dell'ecosistema e diversi parametri ambientali. Alla valutazione dei risultati hanno lavorato chimici, fisici, biologi ed esperti in scienze umane. L'Amazzonia assorbe annualmente circa mezza tonnellata di carbonio per ettaro in media. Ma la quantità varia parecchio da regione a regione, a causa delle alterazioni ambientali. E dove le attività umane hanno degradato la foresta, questa arriva a rilasciare anidride carbonica. L'assorbimento dei gas serra da parte dell'Amazzonia è «controbilanciato» dalle emissioni dovute alla deforestazione e agli incendi provocati per espandere la colonizzazione agricola...
continua qui
Ma un'alterazione del rapporto fra l'Amazzonia e i miliardi di metri cubi di acqua che i venti trasportano dall'Oceano Atlantico equatoriale alle montagne Ande potrebbe mettere in pericolo la capacità di ripresa di un bioma cruciale per il clima globale, avverte l'Istituto nazionale brasiliano per la ricerca spaziale (Inpe), che ha partecipato con altre agenzie a uno studio durato venti anni. Sintesi: a meno che non si arrivi in tempi rapidi a una riduzione delle emissioni di gas serra, alla fine del XXI secolo le precipitazioni nell'area amazzonica e dintorni saranno del 40 per cento inferiori e la temperatura media sarà di otto gradi superiore a quella normale. E questo trasformerà la foresta - le cui capacità di resilienza sono grandi ma hanno un limite - da «pozzo» a fonte di emissioni di gas serra.
I 30,6 miliardi di tonnellate di gas serra rilasciati dal mondo nel 2010, secondo i calcoli dell'Agenzia internazionale per l'energia, sono un record assoluto che non incoraggia affatto. Il lavoro di ricerca è stato condotto grazie a 13 scenografiche torri di legno alte fra i 40 e i 55 metri, posizionate in diversi punti della foresta per misurare il flusso dei gas, il funzionamento delle caratteristiche di base dell'ecosistema e diversi parametri ambientali. Alla valutazione dei risultati hanno lavorato chimici, fisici, biologi ed esperti in scienze umane. L'Amazzonia assorbe annualmente circa mezza tonnellata di carbonio per ettaro in media. Ma la quantità varia parecchio da regione a regione, a causa delle alterazioni ambientali. E dove le attività umane hanno degradato la foresta, questa arriva a rilasciare anidride carbonica. L'assorbimento dei gas serra da parte dell'Amazzonia è «controbilanciato» dalle emissioni dovute alla deforestazione e agli incendi provocati per espandere la colonizzazione agricola...
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