sabato 17 luglio 2021

Bella e dannata - Francesco Paniè

 

Perché al supermercato non si trova mai la frutta imperfetta? Da questa domanda parte #SiamoAllaFrutta, l’ultimo rapporto pubblicato oggi da Terra!, una ricerca che indaga gli impatti della scelta della grande distribuzione di vendere solo prodotti esteticamente impeccabili.

Basta un piccolo difetto per finire fuori mercato. Un mercato, quello governato dalla GDO, che in Italia assorbe i tre quarti degli acquisti alimentari. Molti agricoltori si trovano quindi a dover passare per le forche caudine dei supermercati se vogliono arrivare a vendere i loro prodotti.

Ma il percorso è pieno di insidie. Nelle campagne condotte in questi anni abbiamo raccontato di come i produttori siano esposti agli effetti di aste al doppio ribasso, accordi di fornitura con clausole vessatorie e richieste di sconti fuori contratto.

A tutto questo si aggiungono i canoni estetici che la distribuzione applica ai prodotti ortofrutticoli: passano la selezione solo quelli belli, grandi, lucidi, senza imperfezioni.

Ma la natura non produce in serie, e per quanto le varietà ibride e brevettate abbiano accorciato drammaticamente il gap tra l’idea che abbiamo del cibo e la sua manifestazione fisica, non possono far nulla contro gli impatti della crisi climatica.

La crescita esponenziale di frequenza e intensità dei fenomeni meteorologici estremi sta portando l’agricoltura a produrre frutti sempre meno omogenei. Grandinate, gelate, ondate di caldo e siccità stanno rendendo difficile per gli agricoltori raccogliere arance, pere o kiwi senza difetti estetici.

La crescita di questa quota di produzione imperfetta si scontra con le rigide politiche di acquisto della GDO, così i produttori devono cercare uno sbocco sul mercato est europeo – meno esigente – o svendere tutto all’industria dei succhi di frutta.

È possibile continuare così? I dati sembrano dire di no.

La produzione di pere in Emilia-Romagna negli ultimi 15 anni ha visto calare le superfici di 6.000 ettari. Le arance di Sicilia si coltivano oggi su appena 82.000 ettari rispetto ai 107.000 di vent’anni fa. E poi c’è il kiwi, la cui produzione a livello nazionale ha registrato dal 2014 al 2019 un calo di quasi 100.000 tonnellate.

Sono solo un esempio delle tante colture frutticole che non riescono a sopravvivere al combinato disposto di crisi climatica e potere dei supermercati.

 

A inasprire queste dinamiche sono le regole di contorno, norme europee che stabiliscono le categorie dei prodotti (“Extra” “I” e “II”) in base a parametri unicamente pensati per il commercio internazionale: il calibro (cioè il diametro) e l’aspetto estetico.

Ad esempio, le varietà rosse di mele di categoria “Extra” devono avere i tre quarti della superficie totale della colorazione adeguata.

Quelle di “categoria I” la metà della superficie. In entrambe però la buccia deve essere praticamente perfetta e i difetti ridotti al minimo: si tollera massimo 1 cm² sulla superficie totale, che non dev’essere decolorata. Lo stesso vale per il calibro: viene stabilita una dimensione minima per ogni tipologia di frutta coperta dal regolamento UE. Per la mela il calibro minimo è di 6 cm, per le arance di 5,3.

Tutto questo non è sostenibile, non rispecchia i cicli della natura né la fase climatica che stiamo vivendo. E per questo provoca effetti devastanti sull’economia delle filiere coinvolte.

Con #SiamoAllaFrutta, Terra! chiede interventi urgenti per superare la normativa che spinge alla standardizzazione dei prodotti, ma anche un cambio delle politiche di acquisto della grande distribuzione, per impedire la discriminazione della frutta non conforme a canoni estetici del tutto arbitrari, che nulla hanno a che fare con le proprietà nutrizionali dei prodotti. In caso contrario, una parte consistente della produzione alimentare continuerà a marcire sugli alberi e sui campi, senza che valga nemmeno lo sforzo della raccolta.

Scarica il rapporto qui

da qui

Nessun commento:

Posta un commento