mercoledì 19 agosto 2020

Il bello del silenzio - Daniel A. Gross


In una gelida notte di marzo del 2010 cento esperti di marketing finlandesi si sono riuniti nel ristorante Sea Horse di Helsinki con l’obiettivo di trasformare un paes­e di medie dimensioni e piuttosto isolato in un’attrazione turistica mondiale. Il problema era che la Finlandia era considerata un posto tranquillo e da due anni la commissione incaricata di rilanciare l’immagine del paese stava cercando qualcosa che facesse colpo. Sorseggiando i loro drink gli esperti hanno passato in rassegna i punti di forza: insegnanti eccellenti, una grande abbondanza di funghi e frutti di bosco, una capitale piccola ma culturalmente vivace. Niente di particolarmente irresistibile. Qualcuno ha suggerito scherzosamente che la nudità poteva essere una qualità nazionale, un modo per sottolineare l’onestà dei finlandesi. Un altro ancora ha fatto notare che la tranquillità non era poi così negativa. E il commento ha fatto riflettere.

Qualche mese dopo la commissione ha pubblicato un rapporto sul marchio paese che elencava tutte le caratteristiche nazionali che si potevano sfruttare per fini commerciali, come l’ottimo sistema scolastico e la scuola di design funzionale. Uno dei punti principali era completamente nuovo: il silenzio. Gli esperti facevano notare che spesso la società moderna è insopportabilmente rumorosa e indaffarata. Il rapporto diceva che “il silenzio è una risorsa”, e che poteva essere commercializzato come l’acqua pura e i funghi. “In futuro la gente sarà disposta a pagare per vivere l’esperienza del silenzio”.

Le intuizioni di Nightingale
In effetti questo già succede. In un mondo chiassoso il silenzio vende bene. Le cuffie per isolarsi dal rumore costano centinaia di euro, una settimana di silenziosa meditazione perfino alcune migliaia. Nel 2011 l’ente nazionale del turismo finlandese ha pubblicato una serie di foto di figure solitarie immerse nella natura, con la didascalia “Silenzio, per favore”. Il consulente d’immagine britannico Simon Anholt ha proposto lo slogan ironico: “Niente chiacchiere, solo azioni”. Anche un’azienda finlandese di orologi, la Rönkkö, ha adottato un nuovo motto: “Fatti a mano nel silenzio finlandese”.

“Invece di dire che la Finlandia è vuota e silenziosa e che qui nessuno parla mai di niente, abbiamo deciso di usare questa caratteristica in senso positivo”, spiega Eva Kiviranta, che gestisce le pagine del sito visitfinland.com sui social network.

Il silenzio è uno strano punto di partenza per una campagna di marketing. Non è una cosa che si può pesare, registrare o esportare. Né mangiare, collezionare o regalare. La campagna pubblicitaria finlandese solleva un interrogativo importante: quali sono gli effetti tangibili del silenzio? La scienza ha già cominciato a occuparsene. Negli ultimi anni i ricercatori hanno messo in evidenza la capacità del silenzio di rilassare il nostro corpo, alzare il volume dei nostri pensieri e farci entrare in sintonia con il mondo. Come ci si poteva aspettare, tutte queste scoperte sono partite dagli studi sul rumore.

Il rumore inutile è la più crudele mancanza di attenzione che si possa infliggere a un malato o a una persona sana

La parola inglese per rumore, noise, deriva dal latino nausea. Secondo lo storico statunitense Hillel Schwartz, una leggenda mesopotamica racconta di un tempo in cui gli dèi erano così furiosi per il rumore causato dagli esseri umani che decisero di sterminarli.

Nel corso della storia l’insofferenza verso i rumori ha fatto emergere alcuni dei più entusiasti sostenitori dei benefici del silenzio, spiega Schwartz nel libro Making noise. From Babel to the Big bang and beyond (Zone Books 2011). Nel 1859 l’infermiera e riformatrice sociale britannica Florence Night­ingale scrisse: “Il rumore inutile è la più crudele mancanza di attenzione che si possa infliggere a un malato o a una persona sana”. Secondo Nightingale anche il minimo sbattere di porte o un semplice chiacchiericcio poteva causare apprensione, ansia e perdita di sonno nei pazienti convalescenti. Citava inoltre una conferenza in cui si sosteneva che per i bambini malati “i rumori improvvisi” potevano causare perfino la morte.
Studi recenti confermano alcune affermazioni di Nightingale. A metà del novecento gli epidemiologi scoprirono una correlazione tra la pressione alta e l’esposizione a fonti di rumore costante come le autostrade e gli aeroporti. I risultati di alcune ricerche successive suggerirono un collegamento tra il rumore e l’insonnia, le malattie cardiache e gli acufeni. Negli anni sessanta da questo tipo di studi è nato il concetto di “inquinamento acustico”, termine che implicitamente trasforma i rumori passeggeri in qualcosa di pericoloso e duraturo.

La musica nel sangue
Gli studi sulla fisiologia umana ci aiutano a capire come un fenomeno invisibile può esercitare un effetto fisico così forte. Le onde sonore fanno vibrare gli ossicini dell’orecchio, che trasmettono il movimento alla coclea. A sua volta la coclea trasforma le vibrazioni fisiche in segnali elettrici che invia al cervello. Il corpo reagisce immediatamente a questi segnali, anche durante il sonno profondo. Dagli studi di neurofisiologia risulta che i rumori attivano per prima cosa l’amigdala, un ammasso di neuroni che gestisce le emozioni e la formazione dei ricordi e che si trova nel lobo temporale mediale. L’attivazione provoca l’immediato rilascio di ormoni dello stress come il cortisolo. Le persone che vivono in ambienti rumorosi spesso hanno un livello cronicamente alto di ormoni dello stress.

Come lo sfrecciare di centinaia di auto si trasforma in un sottofondo continuo e irritante, anche gli effetti fisici del rumore si accumulano. Nel 2011 l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha cercato di quantificare i danni per la salute in Europa, giungendo alla conclusione che i 340 milioni di abitanti dell’Europa occidentale perdono ogni anno un milione di anni di vita sana a causa del rumore. L’Oms è arrivata a sostenere che il rumore eccessivo era all’origine di tremila morti per malattie cardiache.

Amiamo il silenzio per quello che non fa: non ci sveglia, non ci dà fastidio, non ci uccide. Ma cos’è che fa? Quando accusava il rumore di essere una “crudele mancanza di attenzione”, Florence Nightingale insisteva anche sull’importanza del suo contrario: il silenzio fa parte della cura, ed è utile ai pazienti quanto le medicine e le misure d’igiene. È un’idea strana, ma alcuni studi la confermano.

Il silenzio ha fatto la sua comparsa nella ricerca scientifica come fattore di controllo o base di riferimento negli esperimenti sugli effetti del rumore e della musica. Molti ricercatori l’hanno studiato per caso. Tra loro, l’italiano Luciano Bernardi, docente di medicina interna, che nel 2006 ha pubblicato uno studio sugli effetti fisiologici della musica. “Non avevamo pensato all’effetto del silenzio”, ammette Bernardi. “Non era nostra intenzione studiarlo specificamente”.

Ma Bernardi ha avuto una sorpresa. Osservando i parametri fisiologici di una ventina di soggetti mentre ascoltavano sei brani musicali, ha scoperto che l’effetto della musica poteva essere letto direttamente nel flusso sanguigno, seguendo le variazioni di pressione, di contenuto di anidride carbonica e di circolazione del sangue nel cervello. Bernardi e suo figlio sono musicisti dilettanti e volevano esplorare quell’interesse comune. “Con quasi ogni genere di musica si verificava un cambiamento fisiologico paragonabile a uno stato di eccitazione”, spiega.

L’effetto era comprensibile, considerato che un ascolto attivo richiede attenzione e concentrazione. Ma la scoperta più sensazionale riguardava quello che succedeva tra un brano e l’altro. Bernardi e i suoi colleghi si sono accorti che anche i momenti di silenzio inseriti a caso esercitavano un forte effetto, ma in senso opposto. Una pausa di due minuti si dimostrava molto più rilassante di qualsiasi brano “rilassante” o di un silenzio prolungato prima dell’inizio dell’ascolto.

I vuoti che Bernardi aveva considerato irrilevanti erano diventati l’oggetto di studio più interessante. Il silenzio sembrava essere accentuato dai contrasti, forse perché dava ai volontari un momento di sollievo dalla tensione dell’attenzione. “Probabilmente l’eccitazione è un fattore che spinge la mente a concentrarsi. Quando lo stimolo s’interrompe il rilassamento è più profondo”, osserva Bernardi.
Nel 2006 l’articolo del ricercatore italiano sugli effetti del silenzio è stato il documento più scaricato dal sito della rivista Heart. Una delle scoperte principali – il fatto che il silenzio è accentuato dai contrasti – è stata confermata dagli studi di neurologia. Nel 2010 Michael Wehr, ricercatore dell’Università dell’Oregon che studia come il cervello elabora i dati sensoriali, ha osservato le reazioni nel cervello dei ratti a brevi esplosioni di suoni. L’inizio del suono provocava l’attivazione di una rete specializzata di neuroni che si trova nella corteccia uditiva. Ma quando il suono diventava costante, i neuroni smettevano quasi completamente di reagire. “Si limitano a segnalare un cambiamento”, spiega Wehr.

Anche il silenzio improvviso è un cambiamento. Questo ha portato Wehr a fare una scoperta sorprendente. Prima del suo studio del 2010 gli scienziati sapevano già che, quando cade il silenzio, il cervello entra in allerta. Questo meccanismo ci permette di reagire a un pericolo, o di distinguere le parole all’interno di una frase. Ma la ricerca di Wehr ha dimostrato che la corteccia uditiva ha una rete separata di neuroni che si attivano all’inizio del silenzio. “Anche l’interruzione improvvisa di un suono è un evento, come lo è il suo inizio”.

Anche se di solito consideriamo il silenzio un’assenza di stimoli, il nostro cervello è strutturato in modo tale che, quando rappresenta l’improvvisa interruzione di un suono, lo riconosce. Il problema è capire cosa succede dopo, quando il silenzio continua e la corteccia uditiva torna in uno stato di relativa inattività.

Imke Kirste, un’esperta di biologia rigenerativa della Duke university, ha cercato di spiegarlo. Neanche Kirste era partita con l’idea di studiare il silenzio. Nel 2013 stava esaminando gli effetti dei suoni sul cervello dei topi adulti. Nel suo esperimento ha esposto quattro gruppi di topi a vari stimoli uditivi: brani musicali, richiami dei loro piccoli, rumore bianco e silenzio. Kirste si aspettava che il richiamo dei piccoli stimolasse lo sviluppo di nuove cellule cerebrali. Come Bernardi, anche lei vedeva il silenzio come un fattore di controllo che non avrebbe prodotto nessun effetto.
Invece dal suo esperimento è emerso che tutti i suoni esercitavano un effetto neurologico a breve termine, ma nessuno aveva un impatto duraturo. Mentre, con grande sorpresa, Kirste ha scoperto che due ore di silenzio al giorno favorivano lo sviluppo di nuove cellule nell’ippocampo, la regione cerebrale dove si formano i ricordi legati a esperienze sensoriali. Era una cosa sconvolgente: la totale assenza di stimoli aveva un effetto più pronunciato di tutti gli stimoli sperimentati.

Kirste ha cercato di dare un senso a quel risultato. Sapeva che un “arricchimento ambientale”, come l’introduzione di giocattoli o di altri topi, favoriva lo sviluppo di nuovi neuroni perché costituiva uno stimolo. Forse la totale assenza di suoni era così artificiosa, pensò, perfino allarmante, da scatenare nei topi una maggiore sensibilità o uno stato di allerta. La neurogenesi poteva essere la risposta adattativa a un silenzio inaspettato.

Spesso il silenzio ci sembra una cosa tangibile, qualcosa di fragile come la porcellana o il cristallo, un oggetto delicato e prezioso

La nascita di nuove cellule nel cervello non ha sempre conseguenze benefiche per la salute. Ma in questo caso, osserva Kirste, le cellule sembravano diventare neuroni funzionanti: “Abbiamo visto che il silenzio aiuta veramente le nuove cellule a differenziarsi in neuroni e a integrarsi nel sistema”.

Anche se ammette che i suoi studi sono solo preliminari, Kirste si chiede se quest’effetto non potrà avere applicazioni interessanti. Malattie come la demenza e la depressione sono associate a una minore neurogenesi nell’ippocampo. Se negli esseri umani fosse possibile stabilire un collegamento tra silenzio e neurogenesi, forse i neurologi potrebbero usarlo come terapia.

Illusione sonora
Anche se è evidente che il silenzio esterno presenta vantaggi tangibili, gli scienziati stanno scoprendo che dentro di noi il silenzio non esiste. “In assenza di suoni il cervello tende spesso a rappresentarli al suo interno”, dice l’esperto di neurologia del suono Robert Zatorre.

Immaginate, per esempio, di stare ascoltando The sound of silence di Simon & Garfunkel, quando a un tratto la radio si spegne. I neurologi hanno scoperto che se conosciamo bene la canzone, la nostra corteccia uditiva rimane attiva come se la musica continuasse. “Quello che ‘sentiamo’ non è generato dal mondo esterno”, dice David Kraemer, che ha condotto esperimenti del genere nel suo laboratorio al Dartmouth college. “In realtà stiamo ripescando un ricordo”. Non sono sempre i suoni a produrre sensazioni, a volte è una nostra sensazione soggettiva a produrre l’illusione di un suono.

Questo ci ricorda il grande potere immaginativo della mente. Nel vuoto sensoriale del silenzio la mente può suonare le sue sinfonie. Ma ci ricorda anche che, perfino in assenza di input sensoriali come i suoni, il cervello resta attivo e dinamico.
Nel 1997 un’équipe di neuroscienziati della Washington university stava raccogliendo dati da un gruppo di volontari sottoposti a scansione cerebrale mentre svolgevano vari compiti mentali, come calcoli o giochi di parole. Uno dei ricercatori, Gordon Shulman, notò che pur producendo picchi di attività in alcune zone del cervello, un intenso sforzo cognitivo provocava anche una minore attività in altre. Inoltre, paradossalmente, quando il soggetto era in una stanza silenziosa e non faceva assolutamente nulla, si rilevava chiaramente un’attività cerebrale di fondo.
Il direttore della ricerca era Marcus Raichle, che ha voluto analizzare in modo approfondito quei dati. Gli scienziati sapevano già da decenni che l’attività di fondo del cervello consuma la maggior parte delle sue energie. Compiti difficili come il riconoscimento di schemi o i calcoli matematici aumentano di pochissimo il suo consumo di energia. Questo ha portato i neurologi a pensare che l’attività di fondo nascondesse qualcosa di importante. “Quando comincia”, spiega Raichle, “quasi tutte le altre attività si riducono”.

In profondità
Nel 2001 Raichle e i suoi colleghi hanno pubblicato un saggio fondamentale sulla cosiddetta modalità di default della funzione cerebrale (situata nella corteccia prefrontale e attiva durante le operazioni cognitive), grazie alla quale il cervello a riposo rimane sempre attivo e continua a raccogliere e valutare informazioni. La concentrazione, in realtà, interrompe questa attività di fondo. La modalità di default, concludevano Raichle e gli altri ricercatori, ha “un significato evoluzionistico abbastanza ovvio”. Percepire la presenza di un predatore, per esempio, doveva essere un’operazione automatica che non richiede energia o intenzionalità ulteriori.

Ricerche successive hanno dimostrato che la modalità di default entra in gioco anche quando si riflette su se stessi. Nel 2013 Joe Moran e i suoi colleghi hanno pubblicato sulla rivista Frontiers in Human Neuroscience un saggio in cui sostengono che “è più facile osservare la rete cerebrale alla base della modalità di default quando una persona sta riflettendo sulla propria personalità e le proprie caratteristiche, piuttosto che, per esempio, durante l’autoriconoscimento, o quando pensa al concetto di sé o all’autostima”. In quel momento, quando è a riposo, il nostro cervello integra le informazioni interne ed esterne in un unico “spazio di lavoro cosciente”. A quanto pare l’assenza di rumore e di compiti finalizzati a uno scopo unisce il silenzio esterno a quello interno, consentendo al nostro spazio interno di fare il suo lavoro e scoprire qual è il nostro posto nel mondo. Questo è il grande potere del si­lenzio.

Noora Vikman, un’etnomusicologa che ha collaborato alla ricerca di un nuovo marchio per la Finlandia, conosce bene il potere del silenzio. Vive nell’est del paese, in una zona di laghi e foreste. In quel posto remoto e silenzioso, dice, scopre pensieri e sentimenti che le sfuggono durante la frenetica vita quotidiana. “Se vuoi conoscere te stesso devi stare con te stesso, parlare e discutere con te stesso”.
“Silenzio, prego” è stato lo slogan più apprezzato della campagna pubblicitaria per rinnovare l’immagine della Finlandia, e la pagina su questo tema è una delle più popolari su visitfinland.com. Forse il silenzio si vende bene perché sembra una cosa tangibile, qualcosa di fragile come la porcellana o il cristallo, un oggetto delicato e prezioso. Vik­man ricorda una rara esperienza di silenzio quasi assoluto. Immersa nella natura finlandese, ha dovuto tendere le orecchie per cogliere anche il minimo suono prodotto dagli animali o dal vento. “È strano come si cambia”, dice. “Abbiamo il potere di rompere il silenzio anche con il più piccolo suono, ma non vogliamo più farlo. Vogliamo stare nel silenzio più profondo possibile”.

 

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è stato pubblicato sul numero 1078 di Internazionale. Era stato pubblicato sulla rivista Nautilus con il titolo This is your brain in silence.

 

https://www.internazionale.it/notizie/daniel-a-gross/2019/12/06/silenzio-cervello

Nessun commento:

Posta un commento