venerdì 21 agosto 2020

raccogliendo frutta

 

Braccia/1. Raccogliere la frutta nel saluzzese - Fulvio Perini, Davide Said

 

Due anni or sono l’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) e la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Eurofound) pubblicarono il rapporto Working anytime, anywhere: the effects on the world of the work (“Lavorare in ogni momento e in ogni luogo così come offre – impone – il mercato”). È la fotografia di una nuova forma di nomadismo necessario per vivere lavorando nelle reti “corte” del territorio, nelle reti “lunghe” transnazionali e nelle piattaforme digitali. Una delle forme di nomadismo è data dall’impiego delle “braccia” nei lavori in agricoltura, nell’edilizia, nella logistica, nelle imprese di pulizia e nei servizi di ristorazione. Ciascuna di queste attività ha una sua composizione sociale e, almeno in parte, etnica, espressione di storie di gruppi di migranti, soprattutto maschi ma anche donne. Parlare di lavoro oggi impone di aprire una finestra su questo arcipelago raccogliendo dati, mettendo sotto osservazione gli aspetti centrali della condizione dei lavoratori, soprattutto migranti, usati per le loro braccia (il reclutamento, la paga, la sicurezza e l’igiene, il cibo e il tetto), analizzando la dimensione transnazionale dei lavori e del nomadismo nel Mediterraneo e in Europa.
La prima tappa di questo percorso riguarda le condizioni dei raccoglitori di frutta nel saluzzese in questi mesi post Covid.

 

Quello che segue è, più che un articolo, un resoconto di quanto abbiamo appreso e capito nel nostro primo approccio conclusosi il 21 luglio.
Iniziamo dal momento conclusivo, la visita in tarda serata al punto di accoglienza dei migranti di Lagnasco (centro agricolo a sei chilometri da Saluizzo): un piccolo capannone (evidenziato dal cerchietto rosso nell’immagine pubblicata qui accanto), che poteva accogliere più o meno venti persone che in quel momento si stavano disponendo per la notte posando sul pavimento delle coperte. Il dormitorio si trova ai confini del paese, separato dalla comunità dei residenti e collocato in un piccolo spazio tra il muro di cinta del cimitero e quello di un grande stabilimento di raccolta e stoccaggio della frutta, nel cui piazzale sono depositati i cassoni per contenere la frutta raccolta dagli alberi (quei parallelepipedi blu di 70-120 metri per 15-20 di altezza evidenziati sempre nell’immagine). I migranti che lavorano dentro lo stabilimento vivono in una casa, quelli che lavorano fuori vivono nel capannone in attesa dell’ingaggio che li porterà, se assunti, a vivere nell’edificio sul lato opposto della strada di ingresso nello stabilimento (evidenziato in giallo), probabilmente più vivibile.
È stata, per noi, la prima rappresentazione di una organizzazione produttiva del ciclo della frutta con aspetti modernissimi di organizzazione, che usa esseri umani per i picchi di lavorazione e poi li getta. Essi sono indispensabili in quel momento, ma né l’impresa, né la comunità intende farsene carico. Quindi, più sono marginali e invisibili meglio e la collocazione in un capannone fuori dell’abitato a ridosso di un cimitero è considerata una buona soluzione per l’“accoglienza”.

Per l’ingaggio questi lavoratori si sono rivolti alla OP Lagnasco, un’impresa cooperativa di produttori con una notevole capacità di raccolta, stoccaggio e distribuzione dei prodotti. Si è evitato così che ogni singolo produttore si metta sul mercato da solo, magari in concorrenza con gli altri. Ma imponendo, non a caso, la concorrenza tra gli esseri umani che vendono le loro braccia e il loro tempo. OP sta per “Organizzazione Produttiva”. Nel territorio le OP sono otto, e quattro di queste controllano l’80% del mercato; hanno la forma della cooperativa o dell’impresa o del consorzio di imprese private.
Divertente è il messaggio pubblicitario dell’OP Lagnasco Group riprodotta nell’immagine a fianco: “Coltiviamo la bontà”. Buoni con i consumatori, non con i lavoratori in particolare quelli “usa e getta”.

Lagnasco è uno dei quattro Comuni, sui trentadue del territorio, che hanno adottato una misura per l’accoglienza (abbiamo descritto prima quale). Gli altri 28 non hanno predisposto nulla: evidenza clamorosa del fallimento del progetto di accoglienza diffusa che prevedeva diversi punti di accoglienza pubblici, abbandonati con la motivazione della epidemia da Coronavirus. Ne consegue che ogni lavoratore deve cercarsi un luogo dove dormire. Ciò fa sì che nel caso in cui il produttore che intende fare l’assunzione chieda il domicilio la gran maggioranza dei candidati al bracciantato tra le coltivazioni si trovi nell’impossibilità di rispondere. La Caritas ha offerto un proprio recapito per il loro domicilio ma il Centro per l’impiego non ha mai risposto. Quindi ognuno per sé e, con l’emergenza Covid, le forze di polizia per tutti.

Per l’incontro tra domanda e offerta di forza lavoro sono a disposizione diverse piattaforme digitali: quella chiamata “borsa lavoro” (invenzione di un ministro del lavoro del passato) gestita dal Centro per l’impiego e quelle della Coldiretti e della Confagricoltura più una rete privata. Ma la domanda di braccia stagna perché vale l’incontro diretto tra offerta e domanda di forza lavoro: il bracciante bussa alla porta dell’impresa agricola e si offre. In questo contesto parlare di “sanatoria” per i migranti è un’ipocrisia anche perché gli imprenditori cercano di non lasciare molte tracce dei rapporti di lavoro stabiliti temporaneamente.

Oltre alla grande questione del rispetto della dignità dei migranti che vengono nel saluzzese per lavorare ci sono altre due questioni relative al lavoro.

La prima riguarda la paga e l’orario di lavoro effettivi, quando è noto come sia abbastanza diffusa la pratica di pagare in modo regolare solo una parte delle ore effettivamente prestate.

La seconda riguarda la salute del lavoratore esposto ai rischi di infortunio e di malattia professionale o correlata al lavoro. La tipologia degli infortuni prevalenti è nota: il trauma per la caduta dei cassoni di frutta, la contusione per urto del carrello raccoglifrutta e l’infortunio in itinere per recarsi al campo molte volte in bicicletta. In tutti questi casi l’infortunio può comportare medicazioni o interventi del Pronto soccorso. Mentre l’Inail conosce i dati delle denunce di infortunio, il servizio sanitario conosce le medicazioni svolte nei suoi centri. Confrontare i dati è possibile, ma non viene fatto.

Esistono poi i rischi per la salute derivanti dalla movimentazione dei carichi pesanti e per la manipolazione con continuità della frutta da staccare dai rami. Ma soprattutto esiste il rischio di esposizione agli agenti chimici usati durante la coltivazione, che possono provocare sia danni gravi che sensibilizzazioni allergiche come dermatiti e asme. Per tutte queste esposizioni l’azienda deve avere fatto la valutazione dei rischi per i lavoratori interessati, compresi quelli temporanei per i quali è prevista per legge una specifica valutazione. Sulla base della valutazione ogni lavoratore deve essere informato sui rischi effettivamente presenti nel luogo dove andrà a lavorare «previa verifica della comprensione della lingua utilizzata» e su questa base deve poi essere formato ed addestrato. Ciò viene fatto anche per i lavoratori “usa e getta”? Cosa ne pensa il Servizio sanitario preposto alla vigilanza per i luoghi di lavoro?

Il 13 marzo dell’anno passato la Regione Piemonte annunciava: «Assicurare la regolarità dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro stagionale in agricoltura, affrontando in modo condiviso i problemi relativi alla sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, alla legalità, al trasporto e all’integrazione sociale e abitativa dei lavoratori, in gran parte di origine straniera: è l’obiettivo del protocollo d’intesa sperimentale siglato questa mattina in Sala Giunta tra Regione Piemonte, Agenzia Piemonte Lavoro, Prefetture piemontesi, Ispettorato del lavoro, Inail Piemonte, Direzione regionale Inps, Anci Piemonte, organizzazioni sindacali (Flai Cgil e Cgil Piemonte, Fai Cisl e Cisl Piemonte, Uila e Uil Piemonte), associazioni datoriali e cooperativistiche del settore agricolo (Coldiretti Piemonte, Cia Piemonte, Confgricoltura, Lega Coop e Confcooperative Piemonte), Arcidiocesi di Torino e Diaconia Valdese». A poco più di un anno si è solo sperimentato di “non sperimentare”.

Di seguito riportiamo un appunto di una riunione tenutasi a Saluzzo il 21 luglio tra soggetti individuali e collettivi che sono in campo. Pressoché tutto quello che verrà fatto per i migranti dipende e dipenderà da loro. Sono i protagonisti, assieme ai lavoratori interessati, che stanno svolgendo un’attività per dare dignità umana e diritto a un lavoro giusto a chi viene da lontano a fare un lavoro indispensabile ma volutamente svilito. Cercheremo di seguire, raccontare e sostenere queste battaglie civili e sociali.

 

Appunto riunione martedì 21 luglio

Alle 19 c’è stato l’incontro tra Saluzzo Migrante (branca della Caritas) e Info Sanatoria Piemonte promosso dal Comitato Antirazzista Saluzzese, per conoscenza reciproca e per avviare una collaborazione con gli avvocati per le questioni che riguardano la sanatoria e il rinnovo dei permessi di soggiorno. All’incontro erano presenti Virginia Sabbatini per Saluzzo Migrante, una delegazione del Comitato, quattro avvocati dell’ASGI, una delegazione comprendente Carovane Migranti, CUB, Volere la Luna, due compagni di USB.

Virginia ha presentato il lavoro che sta svolgendo Saluzzo Migrante esprimendo considerazioni critiche sulla gestione di questo periodo di ennesima emergenza. Loro, dopo l’esperienza del Campo Solidale (2014-2016) non si occupano più dell’accoglienza che è passata alla cooperativa Armonia e al Consorzio Monviso Solidale. Ci siamo soffermati in particolare sul ruolo della Prefettura e sul fallimento dell’accoglienza diffusa che, di fatto, non è mai veramente decollata.

Nei prossimi giorni apriranno i containers a Verzuolo e Lagnasco, la “Casa del cimitero” a Saluzzo, un ex CAS per Busca e Tarantasca. A Savigliano ci sono già i containers, per un totale di 103 posti che non saranno sufficienti per tutti. L’impressione è che i numeri siano inferiori agli anni scorsi ma certamente qualcuno resterà fuori dalle accoglienze e gli arrivi proseguiranno.

Qui sotto il resoconto che mi ha mandato uno degli avvocati presenti:

«Scrivo un breve messaggio per provare a riepilogare quanto emerso nell’ incontro che si è tenuto ieri sera presso la Caritas di Saluzzo, chiedendo poi agli altri partecipanti di integrare e dare il loro riscontro. A mio avviso l’incontro è stato interessante e proficuo, nel senso che la rappresentante della Caritas ci ha illustrato bene la situazione, mostrando di avere effettivamente il polso di quanto sta accadendo. Oltre a illustrare la situazione e le principali problematiche, è emersa la volontà di provare a “unire le forze”: attraverso l’attività che questo nostro gruppo sta già svolgendo, si è proposto di tentare di dare un supporto alla Caritas e al loro sportello già esistente. Questo aiuto, nell’immediato e più concretamente, consisterebbe nel prenderci carico di alcune istanze/domande cui la referente non riesce da sola a far fronte (noi quindi nell’immediato faremmo: raccolta domande che arrivano al loro sportello, caricamento sul nostro drive, a turno si risponde come già accade ). Oltre a ciò, se vi è la disponibilità da parte nostra, la Caritas ci darebbe uno spazio presso il suo sportello (fisico) di Saluzzo così da consentire, soprattutto ad avvocati Asgi, di turnare ed essere presenti almeno una volta la settimana. Questo dipende da quanti di noi hanno la possibilità di darsi disponibili e hanno materialmente modo di recarsi a Saluzzo. Altra cosa emersa: la volontà e la disponibilità per gettare le basi per una “collaborazione” anche futura. Le necessità e le problematiche sono tante, quindi sul quel territorio vi è molto da fare e Caritas da sola non ha i mezzi per fare fronte a tutto. Ancora, la referente Caritas, in relazione alla questione sanatoria, ha evidenziato come uno dei problemi maggiori sia rappresentato dalla ritrosia / scarsa volontà dei datori di lavoro di fare le domande di regolarizzazione, unita a una scarsa o errata informazione del tema. La proposta che Caritas ci ha lanciato sarebbe quella di interloquire con i datori di lavoro e con gli enti che li rappresentano per dare loro una corretta informazione. Le tempistiche strettissime (dettate dalla scadenza delle domande al 15 agosto) sembrano però un grosso ostacolo alla realizzazione di un incontro / tavolo di discussione».

Dopo la riunione, che si è protratta più del previsto visti i numerosi interventi, gli avvocati sono andati con Virginia e altri a fare un giro per Saluzzo, alcuni di noi sono andati a Verzuolo e altri a Lagnasco, come avevamo concordato. Abbiamo distribuito i volantini di Info Sanatoria Piemonte e sentito cosa succede sul versante lavorativo, prendendo un po’ di contatti con i braccianti che abbiamo incontrato.

A margine dalla giornata, Carovane Migranti (https://www.facebook.com/carovanemigranti/) ha proposto di organizzare a Saluzzo un pezzo della Carovana 2020 che passerà da Torino il 29 agosto prossimo. Avevamo già collaborato con loro per la carovana 2018 organizzando l’incontro con i richiedenti asilo del CAS di Paesana che loro ricordano con entusiasmo. Si tratterebbe di organizzare l’accoglienza a Saluzzo quel giorno con un incontro con i braccianti e altre testimonianze.

(Lele)

da qui

 


Braccia/2. Lavoro e sfruttamento in Bassa Valle Scrivia - Antonio Olivieri

 

Due anni or sono l’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) e la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Eurofound) pubblicarono il rapporto Working anytime, anywhere: the effects on the world of the work (“Lavorare in ogni momento e in ogni luogo così come offre – impone – il mercato”). È la fotografia di una nuova forma di nomadismo necessario per vivere lavorando nelle reti “corte” del territorio, nelle reti “lunghe” transnazionali e nelle piattaforme digitali. Una delle forme di nomadismo è data dall’impiego delle “braccia” nei lavori in agricoltura, nell’edilizia, nella logistica, nelle imprese di pulizia e nei servizi di ristorazione. Ciascuna di queste attività ha una sua composizione sociale e, almeno in parte, etnica, espressione di storie di gruppi di migranti, soprattutto maschi ma anche donne. Parlare di lavoro oggi impone di aprire una finestra su questo arcipelago raccogliendo dati, mettendo sotto osservazione gli aspetti centrali della condizione dei lavoratori, soprattutto migranti, usati per le loro braccia (il reclutamento, la paga, la sicurezza e l’igiene, il cibo e il tetto), analizzando la dimensione transnazionale dei lavori e del nomadismo nel Mediterraneo e in Europa. È quanto abbiamo deciso di fare, in questa complessa estate, come “Volere la luna”. La prima tappa di questo percorso ha riguardato la raccolta di frutta nel saluzzese (https://volerelaluna.it/lavoro-2/2020/08/05/braccia-1-raccogliere-la-frutta-nel-saluzzese/). Con la seconda si esaminano le condizioni dei lavoratori migranti in Bassa Valle Scrivia.

 

Nel 2012, la loro lotta contro il caporalato in Bassa Valle Scrivia era finita su tutti i media. Una quarantina di braccianti, in gran parte marocchini, stanchi di lavorare 13 ore al giorno nei campi a raccogliere ortaggi, senza essere pagati per mesi, si ribellarono allo schiavismo dei padroni Lazzaro, padre e figlio, proclamarono uno sciopero a oltranza, allestirono un presidio di tende, avviarono un boicottaggio dei supermercati Bennet acquirenti dei Lazzaro. Furono sostenuti da decine di cittadini e solidali. Il presidio ai bordi della statale durò 74 giorni. Da quella straordinaria lotta, è nato il Presidio permanente di Castelnuovo Scrivia, realtà auto organizzata, composta da braccianti e solidali, che organizza lotte e vertenze in Bassa Valle Scrivia.
Dopo otto anni, peraltro, giustizia non è ancora fatta. Anzi, nonostante la sentenza del Tribunale di Torino, divenuta esecutiva per mancato ricorso in Cassazione, che li ha condannati al pagamento di oltre 400 mila euro di salari arretrati, i Lazzaro non solo non hanno ancora pagato gli ex lavoratori sfruttati e poi licenziati con un cartello affisso su un palo della luce, ma richiedono un risarcimento di un milione e mezzo di euro! Chi ha denunciato, rischia di dover risarcire gli sfruttatori, che, poco prima, hanno patteggiato una condanna a un anno e otto mesi per sfruttamento di manodopera. Il processo contro braccianti e solidali riprenderà il 29 ottobre 2020.

Questa vicenda ha evidenziato un nervo scoperto dello sfruttamento nelle nostre campagne. In molte aziende agricole della zona, piccole e grandi, esistono condizioni di lavoro simili a quelle praticate da Bruno e Mauro Lazzaro. Le retribuzioni orarie, quando vengono pagate, sono ancora di cinque euro l’ora o poco più; lavoro nero e ricatti sono pratica quotidiana.
Basta citare alcuni interventi della Guardia di Finanza di Tortona, dei Carabinieri e dell’Ispettorato del Lavoro: uno nei confronti dell’azienda agricola Balduzzi Fiorenzo e Stefano di Isola Sant’Antonio dove, alcuni anni fa, sono stati trovati 15 lavoratori in “nero” su 30, 209 casi di lavoro irregolare in quattro anni e qualcosa come 4mila giornate di lavoro irregolare, con pure una lavoratrice addetta al magazzino seppur in periodo di astensione obbligatoria dal lavoro! In questa azienda, due anni fa, durante uno sciopero e un presidio contro i licenziamenti di tutti i lavoratori iscritti al sindacato, il padrone, con il suo SUV lanciato a tutta velocità, ha sfiorato e rischiato di investire un sindacalista e un lavoratore. Ne è seguita una denuncia con tanto di video e di testimonianze: è di questi giorni, la notizia dell’archiviazione della denuncia in quanto fatto non rilevante!
Lotte e scioperi sono stati organizzati da lavoratori italiani, marocchini e indiani della ditta Angeleri & C. di Guazzora per il pagamento dei salari arretrati da mesi e per avere chiarimenti in merito alle prospettive aziendali. C’è pure stato l’intervento del Prefetto. Ma niente da fare. Tutto si è concluso con un misterioso incendio divampato di notte nel capannone della ditta, alla vigilia delle festività natalizie, seguito dal fallimento dell’azienda, che ha lasciato per strada una trentina di lavoratori, senza lavoro e senza soldi. Francesco Angeleri era stato, a suo tempo, anche denunciato dagli avvocati del Presidio in quanto utilizzava lavoratori “in nero” e senza permesso di soggiorno nella sua azienda agricola a Castelnuovo Scrivia. Il risultato è stato il patteggiamento di una pena di un anno di reclusione e 10 mila euro di multa, con sospensione condizionale. Intanto ai lavoratori che hanno fatto la denuncia non è stato riconosciuta neppure la protezione umanitaria, nonostante ne avessero diritto!
Oreste Novelli, per anni ha dato lavoro nei campi ad alcuni stranieri clandestini: è stato riconosciuto colpevole e condannato alla pena di un anno di reclusione e 45 mila euro di multa, anche se è stato assolto dall’accusa di sfruttamento lavorativo per mancanza di prove certe.

Sono poi stati scoperti tre casi di caporalato: uno a Castelnuovo Scrivia, dove un tale Rachid El Farchoi gestiva una “cooperativa” di una quarantina di braccianti che venivano inviati in aziende agricole della zona; un altro, in Alessandria, al rione Cristo, in via Campi 17, con la “cooperativa” Ru.ma” di Dimitrovski Jose e di Dimitrovska Snezana che ingaggiava decine di braccianti che, all’alba, si presentavano nel piazzale antistante la sede della cooperativa e venivano trasportati in aziende agricole delle Langhe e dell’astigiano per lavorare in quelle vigne, patrimonio dell’Unesco, che producono vini eccellenti e costosi, esportati in tutto il mondo. Ancora. A novembre del 2018, è stato bloccato in Alessandria, un camion zeppo di braccianti, in gran parte richiedenti asilo ospiti di cooperative, in partenza per tre aziende agricole, tra Spinetta Marengo e Pozzolo Formigaro, per la raccolta dei pomodori; bloccati pure due caporali che reclutavano questa manodopera a bassissimo prezzo – 50 centesimi alla cassa! – facendoli lavorare fino a dieci ore al giorno, senza alcuna tutela. Ebbene, di tutte queste vicende, non è dato sapere più nulla, buio assoluto! Un altro caso è stato accertato in epoca relativamente recente, a seguito di un intervento ispettivo, nelle campagne di raccolta dell’aglio a Molino dei Torti e ad Alzano Scrivia, sempre in Bassa Valle Scrivia, dove risultano coinvolte alcune aziende – la più significativa è l’azienda agricola Balduzzi Dimitri – con lavoratori “in nero” e senza permesso di soggiorno.

Con le mobilitazioni e le lotte dei braccianti della Valle Scrivia si è comunque squarciato il velo di ipocrisia e di omertà che, da sempre, avvolge la nostra provincia, benché in molti facciano ancora finta di non vedere e di non sapere. Anche qui nel “civile e progredito” Nord, esistono sfruttamento, caporalato, traffico di permessi di soggiorno, mafie, estorsioni, violazioni plateali di leggi e di contratti, lavoro nero e irregolare. Sicuramente si sono intensificati i controlli, i salari sono diventati un po’ più alti e i contributi più regolari, è aumentato l’accesso all’indennità di disoccupazione e sono aumentate le denunce e le segnalazioni di irregolarità, ma il problema resta, perché è strutturale e riguarda l’intera filiera dell’agroalimentare.

In Bassa Valle Scrivia, nei comuni di Sale e di Castelnuovo Scrivia, abbiamo aperto, da poco tempo, due sportelli migranti, con l’obiettivo di dare e di raccogliere informazioni, ma anche di svolgere le pratiche più urgenti fino a ieri delegate ai patronati sindacali. Gli sportelli, come le scuole popolari di alfabetizzazione che da anni abbiamo avviato sul territorio, vogliono essere momenti di aggregazione delle realtà migranti e di discussione sui problemi sociali e del lavoro nelle campagne. Siamo attualmente impegnati anche sul problema della casa, con alcuni casi di sfratti, in una realtà, come quella di Sale, un piccolo paese di circa 4.000 abitanti, con ben tre case sequestrate alla mafia, per le quali gli enti preposti, dopo anni, non hanno ancora stabilito alcuna destinazione sociale, mentre potrebbero essere utilmente destinate all’emergenza abitativa. Infine, il 14 luglio c’è stato, ad Alessandria, un incontro con gli avvocati di InfoPoint Sanatoria Piemonte, partecipato e ben riuscito, organizzato con una rete territoriale di realtà impegnate sul versante migranti e rifugiati, che si è proposto, non solo di spiegare e far conoscere i meccanismi dell’odierna sanatoria, ma anche quello di porre sul tavolo obiettivi politici di prospettiva, ovvero la rivendicazione di una vera sanatoria estesa a tutte le attività produttive, un permesso di soggiorno a chi ha già un contratto, un permesso di attesa occupazione a chi non ha un lavoro, il diritto alla conversione dei permessi temporanei. Il tutto per dire che una persona non è legale solo fino a quando raccoglie pomodori!

da qui

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