sabato 25 maggio 2019

Everest sovraffollato, dieci morti in una settimana da tragico record - Ferruccio Pinotti



Scalatori in coda sull’Everest

Altri due alpinisti — un irlandese e un britannico — sono morti oggi su un Everest sempre più sovraffollato e pericoloso: si sommano alle tre precedenti perdite di due giorni fa, le due di mercoledì e ad altre tre morti nei giorni precedenti, portando a dieci il bilancio di una folle settimana mortale sulla vetta più alta del mondo. «Un alpinista britannico è arrivato sulla vetta, ma è collassato dopo 150 metri di discesa», ha detto Murari Sharma, della Everest Parivar Expedition. «Giovedì sono morti altri due scalatori indiani sull’Everest», aveva riferito venerdì all’agenzia Afp Mira Acharya, portavoce del Dipartimento del turismo del Nepal. L’indiano Kalpana Das, 52 anni, aveva raggiunto la vetta, ma è morto ieri pomeriggio mentre scendeva, mentre un numero enorme di scalatori si era messo in coda in prossimità della cima. Anche un altro scalatore indiano, il 27enne Nihal Bagwan, è morto sulla strada del ritorno dalla cima. «Era bloccato nel traffico per più di 12 ore ed era esausto. Le guide Sherpa lo hanno portato al Campo 4 ma è spirato là», ha spiegato Keshav Paudel di Peak Promotion.

Bloccati dal «traffico»
Mercoledì l’esperta scalatrice indiana Anjali Kulkarni, 55 anni, è morta sulla via del ritorno dall’arrampicata alla vetta, ha confermato il figlio Shantanu Kulkarni alla Cnn. Era rimasta bloccata nel “traffico” sopra il campo quattro, che a 8.000 metri è il campo finale prima della vetta. Anche l’alpinista americano Donald Lynn Cash, 55 anni, è deceduto mercoledì dopo essere svenuto a causa di un malessere dovuto all’alta quota mentre discendeva dalla vetta, riferisce la compagnia di spedizione nepalese Pioneer Adventure Pvt. Ltd. Un alpinista austriaco è invece morto sul lato settentrionale del Tibet, ha confermato l’organizzatore della spedizione: il 65enne è deceduto vicino al vertice della montagna, durante la discesa. La scorsa settimana, un alpinista indiano è morto e un alpinista irlandese è morto dopo essere scivolato e caduto, sempre nei pressi della cima.

11.000 dollari di permesso a persona: un affare per il Nepal
Molti alpinisti, non professionisti, salgono con le bombole di ossigeno che rischiano di consumarsi nell’attesa che «ingorghi» e rallentamenti si risolvano: le riserve qui ndi si esauriscono nel momento più critico, cioè nelle ultime fasi della discesa, quando la stanchezza fa aumentare in modo esponenziale il rischio di incidenti. L’alpinismo in Nepal è diventato un affare redditizio rispetto ai tempi in cui Edmund Hillary e Tenzing Norgay hanno compiuto la prima ascesa dell’Everest, nel 1953. La nazione himalayana ha emesso finora, per la stagione primaverile di quest’anno, 381 permessi che costano 11.000 dollari ciascuno. Ciò ha innescato i «colli di bottiglia» nel percorso verso la vetta dopo che il cattivo tempo ha ridotto il numero di giorni disponibili per l’arrampicata. La maggior parte degli scalatori dell’Everest è scortata da una guida nepalese, il che significa che più di 750 persone devono percorrere la stessa strada fino alla cima della stagione in corso. Almeno altri 140 hanno ottenuto permessi per scalare l’Everest dal fianco settentrionale in Tibet. Questi numeri potrebbe far superare il record dello scorso anno, ovvero le 807 persone che hanno raggiunto la vetta. Altri sette alpinisti sono morti su cime himalayane di 8.000 metri in questa stagione, mentre restano dispersi sul Nanga Parbat i corpi di Daniele Nardi e Tom Ballard.

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