mercoledì 15 giugno 2011

Permacoltura

In effetti il concetto che ci ha fulminato è stato: con la Permacultura occorre programmare di faticare il meno possibile con il massimo rendimento e rallegrandosi l'anima.
Mi viene da ridere se ripenso a ciò che credevo fosse l'argomento di questo corso: una tecnica agricola su terreno di Permafrost ovvero imbevuto di acqua, invece ho scoperto un sistema che rispetta la terra riciclando tutto ciò che di organico produciamo, evitando sprechi energetici, riconquistando terreni abbandonati alle erbacce o desertificati, aiutando chi soffre di carenze alimentari ad avere un proprio fabbisogno, facendo a meno delle nostre umilianti e mai disinteressate elemosine.
Ho scoperto che un giardino può essere bello anche pieno di biete e cavoli e, magari, di fiori di piante medicinali, che una siepe può andar su sostenendo zucche, fagioli e more, ma ho anche percepito che, coltivare in tale maniera, è seguire i meandri della nostra anima, disegnando spirali e Mandala come pregassimo.

Detta così sembra di descrivere sistemi da "figli dei fiori", invece una programmazione circostanziata, alle esigenze fisico-biologiche del territorio, precede sempre l'esecuzione di un orto o di una qualsiasi struttura in Permacultura…

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Il primo passo è stato capire se sul piano della prassi, i principi cardine della permacultura fossero concretamente applicabili in questa parte del mondo e non si limitassero a chimere rincorse da cuori colmi di speranza. Dal periodo di formazione è emerso come non solo la permacultura sia una tipologia di coltivazione già largamente utilizzata in Benin e nel Burkina, ma quanto essa possa apportare un consistente miglioramento all’economia dei Paesi africani (e non solo), a patto però di una presa di coscienza e della messa in atto di buone politiche da parte degli amministratori locali.

Emblematico è stato il mio incontro con alcuni ragazzi di Porto Novo, rappresentanti di ONG locali, che mi hanno illustrato alcuni progetti fondati sulle linee d’azione sposate dalla permacultura. Uno di loro, Ibrahim, appena 22 anni, è già presidente e fondatore di un’Associazione, Itinerance, con sede a Ouaga in Burkina Faso. Ibrahim, dopo aver visitato numerosi villaggi del Burkina si appresta ora a fare lo stesso in Benin, conducendo una battaglia contro l’ignoranza e la disinformazione attraverso una campagna di sensibilizzazione verso l’impiego di forme di agricoltura sostenibile. Come ci ha spiegato:

Spesso i coltivatori ricorrono a questi sistemi di coltivazione senza saperlo, per pura intuizione. Non è raro infatti trovare radici di piante diverse assemblate in unico spazio di terra. Le coltivazioni a ciclo corto di mais e di manioca sono gli esempi più comuni da osservare. Vengono chiamate a “ciclo corto” perché i tempi di produzione sono dimezzati.

Secondo Ibrahim, la permacultura può costituire un’autentica svolta per l’economia del Paese. L’Africa è ricca di distese di terra che però bisogna sottrarre agli utilizzi scorretti o alla cosiddetta pratica del land grabbing che consiste nel permettere a Stati esteri e multinazionali di utilizzare le terre per la produzione alimentare in larga scala, o per la produzione di biocombustibili, a discapito dell’economia e della produzione alimentare locale.

La direzione perseguita da Ibrahim e da quanti collaborano con la sua Associazione è quella di costruire degli “ecovillaggi” composti da 20 – 30 persone al massimo, basati su sistemi di riciclo delle risorse territoriali, dove vengano posti in primo piano i principi di utilizzo di energie rinnovabili, la difesa dell’ambiente e dell’economia locale, sistemi di irrigazione strettamente correlati alla morfologia dei terreni e uno spirito di cooperazione fondato su un senso del “noi” che costituisce la base irriducibile per il rispe tto della vita presente, ma anche di quella delle generazioni future.

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Prima parte

L’agricoltura naturale Dice il saggio: "Questo metodo contraddice completamente lemoderne tecniche agricole: butta tutte le conoscenze scientifiche e l’agricoltura tradizionale direttamente fuori della finestra. Con questo modo di coltivare che non usa né macchine, né alcun concime preparato e nessun prodotto chimico, è possibile ottenere una produzione uguale o superiore a quella della media azienda moderna".
Caspita! - mi sono detto, — come è possibile? L’agricoltura precapitalistica usava molta terra, molto lavoro e poco capitale, e produceva poco e male. Poi, l’avvento del capitalismo ha portato un aumento dell’intensità d’uso del capitale (trattori, concimi chimici e antiparassitari micidiali), ottenendo in questo modo un aumento della produttività del lavoro e della terra.
Ecco cosa ci dice la teoria economica: per ridurre l’intensità d’impiego e aumentare la produttività di un fattore produttivo, ad esempio terra o lavoro, bisogna aumentare l’intensità d’impiego di almeno un altro fattore, ad esempio il capitale. È una norma fisica, prima ancora che economica, e deriva dalla seconda legge della termodinamica. L’entropia fa sì che non si può ottenere il più dal meno. Fukuoka invece pretende proprio questo: meno lavoro, meno capitale, meno terra e, ciononostante, più prodotto.
Come è possibile? — continuavo a chiedermi, — sta barando? La risposta che mi sembrava di aver trovato nei libri del guru giapponese era ancora più sorprendente della domanda. Non esistono solo tre fattori produttivi - terra, lavoro e capitale - ma quattro. Così, basta aumentare l’impiego del quarto fattore, per ottenere un aumento della produttività degli altri tre…

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Le regole di condotta
Ci sono tre regole di condotta che costituiscono, per così dire, i fondamenti etici e politici della permacoltura.
E sono:
a) prendersi cura della terra,
b) prendersi cura della gente,
c) condividere le risorse.
La permacoltura è basata su un’etica della responsabilità, verso la natura e verso gli altri. E le tre regole si sostengono a vicenda, l’una implicando l’altra. La gente è sostenuta dalla terra, e non può vivere bene se non se ne prende cura. E la terra è coltivata dalla gente. Non puoi coltivarla bene se la gente è costretta al lavoro salariato, cioè è ridotta a mezzo per raggiungere un fine quale che sia.
E se gli esseri umani non sono un mezzo, ma un fine, allora devi condividere le risorse. Non più padroni e operai, ma uomini liberi. Non competizione, ma cooperazione.
La permacoltura è refrattaria al capitalismo. Puoi fare profitti con l’agricoltura biologica (specialmente ora che va molto di moda), con quella sinergica, con quella biodinamica, ma non con quella basata sul principio del "non fare".
Il punto è che tra gli output della produzione rientra il godersi la vita. Lavorare poco, lavorare bene, lavorare con gusto. Dunque non c’è solo un altro fattore produttivo, accanto al capitale, alla terra e al lavoro. C’è anche un secondo output, accanto al prodotto lordo: la qualità della vita

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2 commenti:

  1. ripartire dalla permacultura è, probabilmente, la vera rivoluzione.
    grazie e complimenti per il post!

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  2. bisogna ripartire dalla qualità e non dalla quantità, la qualità dura e paga, e sarà la salvezza.
    e grazie dei complimenti:)

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