mercoledì 8 ottobre 2025

Solo l’1,5% dei suoli agricoli della Striscia di Gaza resta coltivabile. È ecocidio - Paolo Pileri

 

Abbiamo già scritto di ecocidio mesi fa riportando i dati di distruzione dei suoli nella striscia di Gaza da parte dell’esercito israeliano. È venuto il momento di tornare sulla questione a favore dei lettori visto che la Fao ad agosto ha pubblicato un foglio statistico aggiornandoci sulla distruzione dei suoli agricoli a Gaza. I dati sono sconvolgenti.

Al 28 luglio 2025 l’86,1% dei campi è stato deliberatamente distrutto, affamando tutta la popolazione sopravvissuta, di cui l’80% è stata dichiarata in emergenza alimentare. Per capirci meglio, dei 15.000 ettari coltivati a Gaza ne sono rimasti solo 2.090, praticamente, niente. Nella regione più a Nord della Striscia, la distruzione è del 94% circa. A veder meglio i dati, di quel paio di migliaia di ettari i campi ancora coltivabili in sicurezza ammontano a soli 232 ettari ovvero l’1,5% delle aree agricole di tutta la striscia di Gaza. Sono numeri che fanno tremare i polsi. Se non è un ecocidio questo non oso immaginare che cosa lo sia.

A definire che cosa si intende per ecocidio si è occupato tra il 2020 e il 2021 un nutrito e autorevole gruppo di giuristi ed esperti indipendenti (Iep) in materie ambientali, ripetutamente riunitosi sotto il tetto della Stop ecocide Foundation (Sef). La definizione che ne è uscita è la seguente: quell’insieme di “atti illegali o arbitrari commessi nella consapevolezza di una sostanziale probabilità di causare un danno grave e diffuso o duraturo all’ambiente con tali atti”. Attenzione agli aggettivi. Con “grave” si intende riferirsi a “un danno che implica cambiamenti avversi molto significativi, distruzione o deterioramento di qualsiasi componente dell’ambiente, incluse le gravi ripercussioni sulla vita umana, o sulle risorse naturali, culturali o economiche”. Con l’aggettivo “diffuso” si intende “un danno che si estende oltre una limitata area geografica, valica i confini nazionali o è patito da un intero ecosistema o specie, o da un gran numero di esseri umani”. E infine con “duraturo” ci si riferisce a “un danno che è irreversibile o che non può essere sanato in maniera naturale in un periodo di tempo ragionevole” e per “ambiente” significa “la terra, la sua biosfera, criosfera, litosfera, idrosfera ed atmosfera, così come il cosmo”.

Sottolineo quattro concetti sopra riportati: “cambiamenti avversi molto significativi”, “gravi ripercussioni sulla vita umana”, “patito da un intero ecosistema” e “patito da un gran numero di esseri umani”. Nel caso di Gaza ritengo ragionevolmente che siano purtroppo soddisfatte tutte le quattro casistiche visto che quasi due milioni di persone a Gaza sono soggette a un’acuta crisi alimentare, di cui il 32% sono considerate a livello di allarme definito da “catastrofe” (Ipc, 2025) e visto che dell’ecosistema suolo agricolo rimane sano e sicuro solo 1,5%. Non mi pare ci siano dubbi che quanto è stato fatto da Israele nella terra di Palestina sia un ecocidio con particolare accanimento verso i suoli (da cui potremmo dire anche suolicidio).

Oltre a sanzionare e isolare Israele e lavorare diplomaticamente alla pace e oltre a riconoscere lo Stato di Palestina, il nostro governo, insieme ad altri, dovrebbe avviare presto il riconoscimento del reato di ecocidio. Mi viene da suggerirlo anche alle opposizioni a cui non vorrei fosse sfuggito. Non occuparsene ci mette in una condizione di maggior impotenza e accettazione, di fatto, dei crimini e delle ingiustizie perpetrate a milioni di persone e all’ambiente a Gaza. In altre parole, ci rende in qualche modo ancor più complici (cosa di cui personalmente mi vergogno). Detto tra noi, il riconoscimento di ecocidio sarebbe anche molto utile per le nostre beghe interne.

Non vorrei che questo sia il vero freno al riconoscimento. Rivolgo il medesimo appello anche ai nostri parlamentari europei che, anziché mollare tutto (ma non lo stipendio) e correre a candidarsi alle elezioni regionali, dovrebbero darsi da fare per far approvare la proposta di direttiva europea sulla tutela penale dell’ambiente che potrebbe essere un passo importante anche verso il futuro riconoscimento del reato di ecocidio. Ogni indugio, ogni rallentamento e ogni opportunità rimandata concorrono non solo ad accelerare e acutizzare i disastri ambientali e umanitari in corso ma anche, nel caso delle guerre, a porsi di fatto dalla parte opposta a quella dei processi di pace. Sbaglio?

da qui

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