mercoledì 18 settembre 2019

La Sardegna non ha il metano… - Antonio Muscas (Coordinamento Comitati Sardi)





“La Sardegna non ha il metano, è una delle pochissime regioni europee a non averlo”. Questa frase è il principale slogan con cui si sponsorizza la metanizzazione dell’isola ed è la più in voga e più ripetuta tra i suoi sostenitori. È un invito a non riflettere. Non spiega molto, non contiene nessun ragionamento, ma ci induce a considerare questa nostra presunta carenza un problema. Pertanto, nel nostro immaginario l’arrivo del metano, come logica conseguenza, produrrebbe quella spinta necessaria a metterci al passo con le restanti regioni europee.
Qualche giornalista intraprendente si è spinto addirittura ad affermare che “senza il metano la Sardegna rischia di restare al buio”. Come se nel lungo termine l’assenza di questo combustibile potesse causare un black-out permanente e irreversibile; come se questa ipotesi fosse realistica e plausibile.
In altri tempi per affermazioni di questa portata si sarebbe potuto parlare di procurato allarme, con tutte le inevitabili conseguenze politiche e giudiziarie. Ma nel caso specifico, alla luce degli enormi interessi in gioco e del dilagare delle affermazioni più false e strampalate dei Salvini e salviniani di turno, assurdità di questo calibro vengono relegate a battute innocue da inserire nel vasto catalogo di fesserie prodotte quotidianamente.
Ma cosa sappiamo realmente noi del metano e del progetto di metanizzazione della Sardegna, dei suoi costi, del suo impatto e dei reali benefici?
Cosa sa chi è convinto della sua bontà e ritiene indispensabile per il nostro futuro garantircene l’approvvigionamento?
Oserei dire niente, se non le poche e inutili informazioni fornite da chi ostinatamente, con le buone o con le cattive, ce lo vuole imporre.
“Combustibile di transizione” e “risparmi per le famiglie fino al 30%”. Questo è e questo basta per convincersi che senza non si può più andare avanti.
Ma il metano non è una novità tecnologica e non produce entusiasmo come avrebbe potuto invece 50 anni fa. Non c’è una narrazione in grado di dargli lo slancio necessario per promuoverlo nella nostra isola e si prospetta come l’ennesima fregatura per noi e la nostra terra.
Oggi, quando i ghiacci della Groenlandia e dell’Alaska si sciolgono ad un ritmo quattro volte superiore alla media, l’unica cosa certa è la necessità di un cambiamento drastico. E il cambiamento drastico non può avvenire attraverso una realizzazione di un’infrastruttura che forse ci garantirà il metano a cominciare dal 2030 per doverlo eliminare totalmente nel 2050 in quanto anch’esso inquinante e climalterante.
E infatti questo non viene detto da chi lo vuole a tutti i costi, altrimenti dovrebbe anche spiegare perché spendere oltre due miliardi di euro per la sola realizzazione della dorsale più diversi altri miliardi di euro per le infrastrutture e per stravolgere il nostro sistema energetico, per avere il metano per appena vent’anni.
Come verranno recuperati gli investimenti? E come sarà possibile nel frattempo investire in altre tecnologie, nelle rinnovabili e nel taglio dei consumi, se sarà necessario spingere i cittadini a consumare metano per recuperare le spese?

I conti non tornano, vero?
C’è chi contesta il riscaldamento climatico quale conseguenza delle attività antropiche e delle emissioni climalteranti. E in effetti, alcuni specialisti affermano che il riscaldamento globale è un processo naturale in corso da diverso tempo, forse accelerato in parte per responsabilità dell’uomo. Ma se anche così fosse, ci sono altre conseguenze anche peggiori del riscaldamento globale, quali l’inquinamento atmosferico, della terra e del mare, la cementificazione del suolo, la devastazione di intere aree del pianeta, l’accaparramento ossessivo e crescente di risorse non rinnovabili, il furto di territorio, la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi e il conseguente aumento delle diseguaglianze a valori mai registrati in precedenza, la crescita di disagi economici, sociali e sanitari e conseguentemente delle malattie correlate, lo stesso recente fenomeno della migrazione ambientale ed economica, a cui si aggiunge la migrazione dai Paesi in guerra per l’accaparramento delle risorse.
Sono problemi ai quali dobbiamo far fronte, ciascuno di noi col proprio contributo. E, pertanto, ogni nostra scelta deve tener conto delle ripercussioni nel mondo.
L’abbandono dei combustibili fossili non è una passeggiata indolore. Non lo è perché difficilmente chi detiene il controllo del mercato del fossile rinuncerà ai suoi profitti, e non lo è perché immaginare oggi un futuro rinnovabile richiede uno sforzo economico e sociale enorme.
A ciò si aggiunga l’affare delle rinnovabili, o presunte tali: un nuovo settore in cui gli speculatori si sono infilati a piè pari al solo scopo di garantirsi enormi ricavi senza ricadute sul territorio, se non ulteriore furto di risorse e di territorio e ulteriore inquinamento.
La transizione rinnovabile perciò deve necessariamente avere a che fare con il taglio drastico dei consumi, il controllo collettivo delle fonti energetiche, la ridistribuzione della ricchezza e l’eliminazione o riduzione delle diseguaglianze. Non esiste alternativa percorribile senza considerare questi aspetti.
In merito alla metanizzazione, quindi, le ipotesi sono due: o consapevolmente ci stiamo condannando al suicidio di massa oppure ci troviamo di fronte a dei maghi della strategia economica ed energetica.
Ma poiché sappiamo con chi abbiamo a che fare, e i soggetti in questione non si sono mai distinti in ambito filantropico, è molto probabile che il loro, alla moda dei tarli che mangiano il legno di un galeone alla deriva invece di assumerne la guida per portarlo in acque sicure, sia un semplice e banale intento di voler ancora una volta seguire i propri interessi senza badare troppo alle conseguenze. 


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