mercoledì 30 gennaio 2019

“Scusatemi, vorrei darvi buone notizie…” - Alessandro Ghebreigziabiher



È il 27 gennaio del 2019. Siamo ad Auschwitz, nella data giusta, per valore del ricordo e, soprattutto, del riverbero che quest’ultimo dovrebbe avere nella nostra vita. Dove il suddetto verbo, perdonate la ripetizione, non dovrebbe essere al condizionale. Ecco, è tutta una questione di tempo, questa nostra comune vicenda che tutti ci lega, dei verbi come delle storie.
È notte fonda e Claudia è in giro anche stavolta, come spesso le capita. A sedici anni non è una buona cosa stare fuori fino a tardi, lamenta la nonna, ma è messaggio che si fa labile, una volta giunto alle orecchie della ragazza.
Da quando i genitori sono scomparsi in un maledetto incidente d’auto, avvenuto tre anni addietro, la notte è la sua scenografia preferita, è il colore ideale per tinteggiare le pareti della sua immaginazione ferita, è la madre che tutti accoglie e nell’equa oscurità non fa distinzione alcuna tra umano e umano.
Nondimeno, non è in giro per far danni o per trasgredire qualche regola. La giovane è semplicemente convinta che le cose più importanti, come la verità e l’amore, alla stregua dei quadri più riusciti, meritino la luce migliore. Quella della notte, già.
Così, malgrado avesse ascoltato attentamente il racconto della guida, insieme agli studenti presenti alla lodevole visita al campo di concentramento, non ha resistito al bisogno di osservare i resti dell’abominio legalizzato con la personale cura.
Non fa tanto freddo quanto credeva, si dice scendendo dalla bicicletta temporaneamente presa in prestito, dopo averla già adocchiata nel pomeriggio, al rientro in albergo con i compagni. Così, avanza lentamente, assaporando con avidità il silenzio che quella terra esige, così come uno sguardo ampio e pronto a registrare ogni cosa, prendendo nota di ciascun dettaglio.
Sarà per colpa dell’atmosfera lugubre, o forse della sua macabra fantasia, nel tempo nutrita da quantità industriali di letteratura gotica e film horror, improvvisamente un rumore sinistro raggiunge le sue orecchie.
Quindi, magari proprio per la naturale predisposizione a tali inammissibili apparizioni, Claudia non batte ciglio e anzi avanza incuriosita scorgendo i fantasmi che in massa avanzano verso di lei, emergendo in ordine sparso dai casolari abbandonati nel campo. Poi, a un tratto, si fermano tutti al cancello, evitando accuratamente di oltrepassarlo. La ragazza, tutt’altro che impaurita, si avvicina, come se si trovasse davanti qualcuno che conosce da tempo.
Capita sovente a coloro i quali hanno incontrato la morte degli intimi affetti da troppo giovani.
“Voi siete le anime delle vittime, vero?” chiede rivolgendosi a un ragazzo più o meno della sua età, nell’aspetto. “Sì”, fa lui, accompagnando la parola con il movimento in avanti del capo. “So che serve a poco, ormai”, mormora la ragazzina, “ma voglio dirti che mi dispiace tantissimo per quello che vi è successo”. “Grazie”, fa lo spettro dalle giovanili fattezze. “Ma dimmi, piuttosto, com’è adesso il mondo, là fuori? La guerra è finita? Siete in pace, ora? Chi governa sulla terra?”. Claudia ha come l’impressione di non essere la prima a cui costui rivolge quelle domande. E difatti, solo in quel momento, si accorge che tutti gli altri la stanno fissando, ansiosi di conoscere la sua risposta.

Sebbene si renda conto della notevole responsabilità che le tocca, capisce anche che ormai ha l’obbligo di parlare. Perché è questo che chiedono i caduti, soprattutto coloro rimasti ingiustamente indietro. La nostra voce, la nostra onesta e consapevole voce. “La guerra è stata vinta dagli Stati Uniti, il cui attuale presidente ha spaccato la nazione a metà come mai prima. Minaccia ogni giorno i paesi, le persone e le culture che non gli piacciono, e vuole costruire un muro tra il Nord America e il Messico”.
“E la Russia?” la incalza il ragazzo. “È guidata da un uomo che dimostra di non avere alcun rispetto per i diritti umani e per la democrazia, mentre il suo governo, come quello degli USA, si intromette nelle elezioni straniere sistematicamente, per dividere e creare caos a suo vantaggio”.
“Vai avanti”, esclama il fantasma di una donna accanto al ragazzo. “Perdonate”, fa Claudia sentendo i propri occhi farsi umidi. “Scusatemi davvero, vorrei darvi buone notizie. Vorrei dirvi che i nazisti non ci sono più, ma non è così. Sono ovunque, hanno facce diverse, modi nuovi di parlare, e in alcuni Stati siedono perfino in parlamento. E malgrado usino altri nomi e altri simboli, il loro messaggio razzista e disumano è lo stesso. Alcuni sono al governo del mio paese, oggi, come in Austria… sì, proprio dove è nato lui, ma anche in Ungheria e pure in Brasile. Perfino qui in Polonia… sì, lo so, è folle, è incredibile, ma è tutto vero. Questa è la vera assurdità, non i fantasmi innanzi a me, con cui sto parlando in questo momento, bensì la realtà che c’è alle mie spalle”.
E gli ebrei?”. Chiede un vecchio dal fondo della folla. “Sono ancora perseguitati?”. “No, ma ogni epoca ha le sue vittime preferite. Oggi sono i migranti”. “Chi sono i migranti?” domanda il ragazzo. “I migranti sono esseri umani che vengono discriminati e umiliati, sacrificati e strumentalizzati, uccisi o lasciati morire, proprio come è accaduto a voi”. “Se non sono ebrei”, chiede un bambino facendosi largo tra il ragazzo e la donna. “Di cosa li accusano?”. “Di essere ciò che sono, ovvero migranti, gente che tenta di sopravvivere al meglio lasciando la propria terra per quella nuova”.
“Ma gli ebrei sono arrivati nella terra promessa?”. “Non tutti, ora sono sparsi per il mondo, ma quelli che sono in Israele vivono sotto un governo che fa di tutto per essere in guerra con il più vicino e, malgrado ciò che entrambi gli schieramenti sostengano, maggiormente simile popolo sulla terra, ovvero i Palestinesi.
Claudia non ha quasi più fiato e la voce è stremata dal pianto che con fatica ha trattenuto. Non ho diritto di mostrare lacrime di fronte al dolore di costoro, si è detta per darsi forza.
“Ma uscite da qui”, aggiunge un attimo dopo. “Siete liberi, ormai”. “No”, risponde immediatamente e con strenua fermezza il ragazzo, parlando anche a nome degli altri. “Noi siamo liberi, ma voi non lo siete affatto. E di fronte all’immane tragedia che è accaduta qui avete fatto la scelta peggiore”. “Quale?”. “Sull’altare delle offerte a vostra disposizione, da un lato c’eravamo noi, i morti e le nostre illuminanti storie da cui trarre insegnamento e dall’altro il campo stesso, con i suoi strumenti di tortura e i suoi ottusi recinti. E voi avete scelto di far sopravvivere quest’ultimo”. Ora siamo noi nel campo, pensa Claudia, non voi.
Quindi, come se fosse la cosa più naturale del mondo, attraversa la soglia e si unisce ai fantasmi. C’è ancora tempo prima che farà giorno, c’è tempo per tornare all’albergo, c’è tempo per ascoltare e capire ancora di più di quel che abbiamo perso. Perché, malgrado tutto, per nostra fortuna, anche se non sarà per sempre. Siamo ancora in tempo.

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