lunedì 29 novembre 2010

Penuria di cotone - Marinella Correggia

…Lo spettro della scarsità dovrebbe far riflettere. Forse è finita l'epoca dell'abbigliamento usa e getta, economico - quando non si aggiunge la «cresta» della firma - e subito rottamato per i continui cambiamenti di forma e colore dettati dalla «moda».
Gli abiti sono a buon mercato sia per le scarse paghe dei lavoratori tessili del Sud del mondo, sia per il basso prezzo della materia prima, che nasconde elevati costi ambientali e sociali. Il cotone ha in effetti virtù e difetti. È chiamato da un economista francese «il maiale della botanica», nel senso che della pianta si usa tutto, anche i semi per farne olio. Se coltivato in modo appropriato e su scala minore potrebbe essere davvero utile. Ma attualmente è una commodity internazionale a basso prezzo dalla quale spesso milioni di piccoli coltivatori del sud del mondo ricavano solo debiti con i venditori di semi e pesticidi - sono cotonicoltori molti dei contadini indiani che si tolgono la vita. Del resto la coltura richiede un elevato impiego di acqua e sostanze nutritive ed è molto sensibile ai parassiti (dunque è abbondantemente irrorata di pesticidi). In Uzbekistan, poi, è notorio il cotone è tuttora raccolto da lavoro infantile coatto.
Invece, nel cotone biologico ed equo la formazione del prezzo e addirittura l'ideazione delle collezioni parte dalla garanzia di un reddito sufficiente per i produttori e dall'individuazione di modi di coltivare sostenibili. Nel mercato convenzionale è il contrario: si cerca e si trova la fibra più a buon mercato. Una camicia di cotone bioequo di qualità contiene fino a 500 grammi di fibra, rispetto ai soli 50 di una maglietta ordinaria che contiene prodotti di finitura e colori chimici, talvolta così mefitici da essere in grado di inquinare le acque di intere città «tessili». La qualità ecoequa costa (parecchio) di più e dura di più: diversi anni anziché qualche lavaggio. Rimane in gran parte da esplorare anzi da riscoprire il mondo delle fibre tessili vegetali alternative al cotone: il «lino di Nuova Zelanda» (Phormium tenax) che è una pianta perenne - non annuale - e produce una fibra di alta qualità risparmiando acqua, degrado dei suoli e input chimici. E l'eterna canapa.
In ogni caso occorrerà che la moda universale cambi: meno abiti (dunque meno fibre), più durevoli e senza sfruttamento.

da qui

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