giovedì 7 febbraio 2019

Il libro di chimica di Jerry - Andrea Segre


Ci sono notizie su cui bisognerebbe avere la decenza di tacere per rispetto della loro tragicità. E vorrei poterlo fare anche in questo caso. Ma essendo la tragicità generale di ciò che ci sta succedendo così profonda, allora il silenzio purtroppo non basta. Purtroppo lo sentiamo tutti il brusio di fondo che accompagna la morte del giovane nigeriano Prince Jerry: “Mi spiace, ma lo avevamo detto che qui non c’era posto” o qualcosa di maledettamente simile, che striscia nelle viscere confuse del Paese. Allora bisogna dire altro, muovere altre parole, fornire vie di uscita dal vortice della banalità del male. Di certo non possiamo mettere da parte certe notizie, essere distratti, risolvere tutto con qualche like, abbiamo bisogno di pensare con calma e di agire.
In molti per fortuna lo stanno facendo. La maggior parte dei commenti finora sembra concentrarsi sul legame tra il diniego dell’asilo e la tragedia. Ed è importante che sia così perché la connessione l’ha espressa lo stesso Jerry. Ma il libro di chimica che Jerry tiene tra le braccia nella foto che rimbalza sui social ci può aiutare forse a capire qualcosa di più.
Lo esprimo con una provocazione: il diniego alla richiesta asilo di Jerry nella sua tragicità è giusto, perché riconosce che Jerry non doveva chiedere asilo, non doveva essere accolto. Jerry doveva poter chiedere di venire regolarmente a studiare chimica in Italia.
Mio padre era professore di Chimica e mi spiegava che la riduzione di studenti di chimica era uno dei problemi seri del nostro Paese, perché un Paese, mi diceva, “non può avere solo comunicatori, creativi o registi…”. Un Paese serio ha bisogno di esperti di chimica, come di fisica, di ingegneria, di biologia…. E in un mondo globale non ha nessuna importanza, nessuna, lo ribadisco nessuna, che questi esperti siano bianchi, gialli, neri, italiani, tedeschi, nigeriani, giapponesi. I Paesi meno provinciali fanno di tutto per attrarre studenti da altri Paesi più poveri che abbiano voglia di studiare ciò che i propri giovani in un determinato momento storico non hanno voglia. È normale e sano.
Noi invece consideriamo Prince Jerry una povera vittima che deve fare richiesta asilo, lo obblighiamo a viaggiare su camion e barconi, ad essere torturato in Libia, a pagare i trafficanti e poi, se sopravvive, ad aspettare per anni il responso di una commissione che verifica non i suoi desideri, i suoi progetti, ma la sua sofferenza. Se la sua sofferenza non è certificata, gli diciamo che non può più stare qui, esattamente dove invece avremmo bisogno di ragazzi che hanno voglia di studiare chimica.
Così produciamo morte, solo morte. La morte di un ragazzo di venticinque anni, la morte di migliaia di suoi coetanei che non riescono nemmeno ad arrivare fin qui e la morte civile e strutturale del nostro Paese, destinato a chiudersi in una miopia incapace di costruire futuro. È questo il nostro progetto?

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