sabato 1 dicembre 2018

Petrolio. E domani davvero finisse? - Guido Viale



Petrolio, olio di roccia: per milioni e milioni di anni si è andato formando nelle viscere della Terra attraverso il decadimento di residui organici che avevano sottratto all´atmosfera l´eccesso di anidride carbonica che la rendeva inadatta agli organismi superiori. Per altre migliaia di anni era rimasto dove si era formato, indisturbato e inosservato, fino a che, nel 1859, per sostituire il grasso di balena usato per l´illuminazione, scomparso dal mercato per uno sciopero dei balenieri, Edwin Drake aprì il primo pozzo da cui il petrolio cominciò a zampillare rigogliosamente. Presto sostituito, nel business appena scoperto, da Rockefeller, Drake non immaginava certo che quello sciopero avrebbe aperto una nuova epoca storica.
A diffondere nel mondo l´uso del petrolio non sarebbero state comunque le lampade a petrolio, ma la sua applicazione alla movimentazione delle carrozze (cioè all´automobile) e al volo umano (cioè all´aereo). Con carbone e macchina a vapore, protagonisti indiscussi della rivoluzione industriale, non sarebbe stato possibile: ci voleva un motore molto più leggero (il motore a scoppio) e un combustibile altrettanto compatto: la benzina. Così, proprio mentre i progressi realizzati nella produzione dell´energia elettrica facevano sperare agli utopisti dell´ultimo Ottocento di poter finalmente liberare le città e le fabbriche da quella coltre di smog – generata da treni, stufe e caldaie industriali a carbone – che le soffocava, petrolio e motori a scoppio, con le loro emissioni inquinanti, cominciavano la loro conquista di cielo, terra e mare. La mobilità del Ventesimo secolo non conoscerà altro nutrimento: dagli alianti di stoffa dei fratelli Wright ai Jumbo-jet di oggi; dalle prime automobili costruite per il diletto di pochi miliardari eccentrici ai seicento milioni di veicoli che oggi congestionano città e strade del pianeta; dai primi piroscafi a olio combustibile alle petroliere da un milione di tonnellate e al formicaio delle barche da diporto che infestano i mari. Oltre alla loro versione bellica: jeep e carri armati; caccia e bombardieri; sottomarini e portaerei. E siccome il petrolio sgorgava a fiotti e si prestava alle più diverse manipolazioni, il suo uso non si è fermato all´alimentazione dei motori: i materiali sintetici derivati dal petrolio, con una gamma infinita di impieghi e gadget usa e getta sono penetrati fin nei più intimi recessi del nostro corpo: gomma e fibre sintetiche, lubrificanti e bitumi per asfaltare le strade, cavi elettrici e tubi di scarico; e barche, e gommoni, e divani, e infissi, e giocattoli, e detersivi, e protesi, e chi più ne ha più ne metta. E insieme a loro, montagne di rifiuti, coltri di bitume spiaggiate dai naufragi delle petroliere, ingolfamento dell´atmosfera terrestre con il CO2 e dell´aria delle città con il PM10, e il benzene, e i policiclici aromatici, e gli ossidi di azoto.
per garantire che il petrolio continuasse a fluire a fiotti, si è spianata la strada ai più grandi macelli della storia umana: lo smembramento dell´impero ottomano per impadronirsi dei campi petroliferi del Medio Oriente(obiettivo non secondario della prima guerra mondiale); l´invasione dell´Unione Sovietica ad opera delle truppe hitleriane (la cui vera meta erano i pozzi petroliferi del Caspio); e, a seguire, il conflitto arabo-israeliano spalleggiato dalle allora contrapposte superpotenze, le guerre in Afghanistan, in Cecenia, in Kwait, in Iraq non avevano e non hanno altro scopo che il controllo dei serbatoi mondiali del petrolio. Per chi ritiene che il modello di consumo dell´Occidente non sia “negoziabile” non esiste altra strada.
Ma l´era del petrolio non ha forse i giorni contati? E che cosa ci si può aspettare in un mondo senza petrolio? Molto dipende da come si arriverà a quel punto: se in modo graduale e guidato, o in forma improvvisa e traumatica. Potremmo superare – o aver già superato, senza accorgercene – l´apice della curva di Hubber: quel punto al di là del quale l´estrazione del petrolio residuo si farà sempre più ardua e costosa. Oppure vedere governi e imprese, convertite improvvisamente all´ambientalismo, imporre limitazioni improvvisate e inefficaci all´utilizzo dei combustibili fossili, nel tardivo tentativo di contenere le devastazioni provocate dall´effetto serra: che anni fa aspettavamo come un graduale innalzamento del livello dei mari e un altrettanto graduale spostamento verso i poli dei climi tropicali e temperati, mentre ormai si manifesta con cataclismi metereologici imprevedibili. Ma potremmo anche trovarci di fronte a una diffusione incontenibile di Ogm, capaci di metabolizzare il petrolio e i suoi derivati; quelli che oggi si utilizzano in ambienti confinati per bonificare le aree inquinate (bioremediation) e che domani – liberati dall´incuria dei tecnologi o da nuove forme di terrorismo – potrebbero attraversare il mondo nutrendosi dei residui petroliferi che ricoprono la superficie dei mari, dei fiumi e delle strade, fino a incontrare – divorandoli – gli scafi in resina delle imbarcazioni, il rivestimento dei cavi elettrici, i tubi del sistema fognario, i polimeri dei nostri elettrodomestici, dei nostri computer, dei nostri telefoni, del nostro arredamento, dei nostri abiti: con le conseguenze che tutti possiamo immaginare.
Tuttavia, la cosa più probabile è che la guerra “preventiva” e “infinita” contro un terrorismo che di essa si alimenta renda rapidamente impraticabili i campi petroliferi e costringa le economie che di petrolio si nutrono a farne improvvisamente a meno. Certo resta sempre – cioè per qualche secolo – il buon vecchio carbone, molto più inquinante, anche se più abbondante e più ubiquo; oppure il metano: ma non basta; e viene quasi tutto dai campi petroliferi; oppure il nucleare (con la prospettiva di trasformare il pianeta in un´unica grande Cernobyl); ma se il problema di oggi è il terrorismo – scorie e incuria tecnologica a parte – moltiplicare le centrali nucleari sarà come buttarsi in bocca al lupo; oppure le energie rinnovabili: ma l´idea di far marciare con l´idrogeno prodotto con il vento o con il sole una flotta di seicento milioni di veicoli (o di un miliardo e mezzo come dovrebbe essere, secondo le previsioni correnti, il parco macchine di qui a dieci anni) è un puro non senso.
È molto più probabile che ci ritroveremo costretti a lasciare arrugginire la nostra auto là dove l´avremo posteggiata per l´ultima volta; a rinunciare per sempre ai viaggi aerei, accalcandoci come sardine su autobus sgangherati e treni sempre in ritardo per la scarsa cura che abbiamo loro dedicato negli anni delle vacche grasse; o a traversare gli oceani in nave come gli emigranti all´inizio del secolo scorso. E poi? E poi, magari, passeremo inverni al freddo, tutti riuniti nella stessa stanza come nel medioevo, per non esagerare con il consumo di carbone e non turbare ulteriormente un´atmosfera già satura; e giornate intere a rimestare nelle discariche per recuperare tutta quella plastica che con tanta leggerezza avevamo gettato nella pattumiera per anni. E magari si tornerà anche a rivestire i cavi elettrici con il lattice che oggi si usa quasi solo più per produrre diaframmi e profilattici; e a vestirci solo più di fibre naturali o al massimo di viscosa; e a costruire giocattoli e involucri di telefoni, computer e televisori con la bakelite – qualcuno sa ancora che cos´è? – o con la più italica galalite – una plastica ricavata dal latte; risolvendo così una volta per sempre il problema eminentemente padano delle quote latte – e a far giocare i bambini con bambole di gesso e pupazzi di stoffa. Naturalmente, niente di tutto questo potrebbe succedere – è solo un incubo. Ma nondimeno il petrolio potrebbe finire da un giorno all´altro. C´è qualcuno che sta veramente pensando al da farsi?

Pubblicato su Repubblica il 13 ottobre 2004


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