domenica 8 gennaio 2017

La Paesitudine dell’Isola, il ‘non luogo’ social sulla vita dei micro centri



Il manifesto poetico più che politico dei micro paesi (in Sardegna l’80 per cento del totale) è un mix di citazioni, mappe e foto. Niente (o poca) malinconia ma sprazzi di vita, energie e riflessioni: scorci di case al crepuscolo, stradine in salita e decisamente poco affollate che si accompagnano a frasi rigorosamente in italiano. Su Facebook a inizio dicembre è apparsa una pagina dedicata alla Paesitudine – neologismo che forza in sintesi paese e solitudine, accompagnato dall’immancabile hashtag –  uno spazio social voluto e animato soprattutto da uno dei sindaci di frontiera, Emiliano Deiana da Bortigiadas (Gallura, 767 abitanti). L’intento è quello di raccogliere e attirare l’attenzione sui progetti di resistenza dei paesi dell’interno Sardegna: dall’Ogliastra, alla Nurra, passando per il Medio Campidano. Al di là e nonostante il frequente allarme sullo spopolamento e il rischio estinzione che grava su circa 31 paesi (secondo l’interessante e dettagliato studio SPOP) l’obiettivo è quello di creare una comunità trasversale che si muove attorno all’idea di un territorio da vivere in modo alternativo, in un futuro concreto e che parte da ora. Uno dei temi che tiene banco anche nell’agenda politica tra ripercussioni molto pratiche: dalle pluriclassi (alunni di diverse età che frequentano insieme), ai servizi – come quelli postali – a giorni alterni.
Cosa è la Paesitudine? “Questo è, per ora, un non-luogo che ci parla dei paesi della Sardegna e, più in generale, di tutti i paesi”. Intesi – si legge – come “una possibilità e un delirio. I paesi – in Sardegna – rappresentano l’unica possibilità di un riscatto a portata di sguardo e di abbraccio. Sono, i paesi, dei punti del mondo, connessi col mondo e con le Città. Non sono l’antitesi della forma urbana: sono la forma urbana embrionale. Sono la Città prima della Città.La Paesitudine è il modo di raccontarli, i paesi. In un impasto sentimentale di gocce di solitudine e polvere. Il fango dell’assenza. La Paesitudine è, dunque, un sentimento, un’urgenza, un castigo.
E nello spazio si vuole raccontare i paesi, abbandonando l’autocommiserazione e urlando “al mondo il diritto alla resistenza e alle esistenze”. Con voce corale. Le intenzioni sono tracciate in un post sintetico dal titolo “Cosa vogliamo fare”, una possibile risposta a una domanda ovviamente ricorrente: “Di preciso nulla. Il mondo è pieno di persone che vogliono fare delle cose “di preciso”. Noi, più umilmente, stiamo provando a costruire una comunità di “sognatori coi piedi per terra”.
Il 2017, anno della paesitudine. E sul finire del 2016 gli amministratori della pagina nel dare gli auguri tracciano confini ambiziosi e rivendicano con orgoglio : “Il 2017 sarà l’anno della Paesitudine, l’anno in cui si affermerà – come detto – il nostro diritto a esistere, a vivere, ad abitare i luoghi, a consumare le distanze fra il cuore e il pensiero. Ci sarà bisogno di tutti noi e di altri che nel tempo comprenderanno meglio e più chiaramente la vicenda dei paesi nel rilancio morale, sociale, economico di questa terra e, di più ancora, della follia che si possa vivere, ammassati, in pochi luoghi segnando nuovi confini fra periferie”. Il retrogusto amaro non manca: “L’augurio è che ci si renda sempre di più conto che questa è una follia che uccide tutti: il piccolo e il grande. Il primo per asfissia il secondo per bulimia. Il primo per abbandono il secondo per metastasi”. Ma, si insiste: “Il 2017 deve essere anche l’anno della cura con la quale si fanno le cose, della cura per le persone, dei bambini, dei vecchi. E deve essere l’anno della Parola: di quella detta e di quella taciuta”. Da qui gli auguri dalle periferie: “Dai bordi screpolati della #paesitudine giungano gli auguri più sentiti per un 2017 pieno di salute, di ardimento e di tenerezze. Una salute che cura i luoghi e le distanze; un ardimento per difendere il nostro diritto a esistere; una tenerezza per i bambini, i vecchi, gli alberi, le lepri, le pernici, i cieli, le aurore, i tramonti, le notti”.

Lo scenario nazionale, i gesti locali. E tra una poesia di Umberto Saba, una citazione di Sergio Atzeni, un verso di Vinicio Capossela appare un omaggio al sindaco pescatore di Pollica Angelo Vassallo, campano, ucciso in un attentato nel 2010 rimasto senza colpevoli. “Lo Stato siamo noi – scriveva-. Sono i paesi che fanno il Paese: la vera ricchezza è il luogo in cui si vive. La malattia della politica è la lontananza dalla nostra comunità e dalla operosità delle nostre donne e dei nostri uomini”. La condizione di paesitudine  è quindi condivisa, diventa un urlo della politica dei “piccoli”, di chi sta nei territori. Ma lo scenario, seppur nazionale, è declinato in chiave locale. Un vezzo autarchico? “Non si tratta di scelte autarchiche, si tratta di scelte d’amore. Amore per i luoghi e per le persone che, testarde, continuano ad abitarli”. E poi non vale il principio di locale in senso lato: “Non astrattamente “prodotti locali”, ma prodotti locali buoni e genuini. Acquistate direttamente dal produttore, dal pastore, dall’agricoltore, dal pescatore, dal trasformatore. Fatelo con la cura che si riserva alle cose belle e nobili; fatelo con l’etica di chi difende e aiuta l’economia locale, quella vera e misurabile. Quella che produce reddito vero, vero lavoro. Usate la conoscenza diretta, il passaparola, lo scambio di esperienze”. Ancora una volta i dati dell’Isola non sono affatto confortanti: “Se è vero – come è vero – che in Sardegna consumiamo l’80% di prodotti che vengono dall’esterno questo dato deve diventare il punto di partenza per l’educazione al consumo responsabile e informato. Ciascuno di noi ha una parte di responsabilità – come consumatore – per come gira la nostra economia locale; ciascuno di noi può fare la sua parte per invertire la rotta, per rafforzare l’economia di prossimità, la socialità di vicinato, la tenerezza della cura di noi e del prossimo”. E così “La #paesitudine passa, anche, dell’orientamento delle scelte personali che, poi, diventano scelte collettive”. Perché la Sardegna lontana dalle città non diventi (solo) terra per turisti del week end. 
Mo. Me. 

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