Nuovo codice della strada: quando la follia diventa legge - Matteo Gracis
domenica 29 dicembre 2024
Sua deficienza Matteo Salvini
giovedì 26 dicembre 2024
Dieta e salute mentale: evitare i cibi industriali vuol dire non cadere nella ‘trappola’ - Federico Mascagni
Nel 2022 un gruppo di scienziati in un
articolo (Nutrition and mental health: A review of current knowledge about
the impact of diet on mental health) ha selezionato gli studi
dedicati all’influenza dell’alimentazione sulla salute mentale cercandoli sul database Pubmed. Fra
quelli con il maggiore valore scientifico e le citazioni ricevute hanno
scoperto che i più autorevoli sono oltre un centinaio. Da allora il numero è
ulteriormente cresciuto.
Consultandoli è risultato ormai evidente
che la cosiddetta dieta mediterranea, che si potrebbe
definire un canone medico basato sull’alimentazione tradizionale italiana,
fondata su ingredienti come cereali integrali, legumi, verdura, frutta, olio
extra vergine di oliva e pesce, combatte le infiammazioni che influiscono
sull’umore, come ansia e depressione. Al contrario della cosiddetta dieta occidentale, nella quale predominano cibi
ultraprocessati a carattere industriale, un elevato consumo di carne rossa,
specie alla griglia, cibi fritti, prodotti a base di latte e latticini ricchi
di grassi saturi, dolci, cibi molto grassi e bevande dolcificate e gassate.
Una cattiva alimentazione (che ribadiamo è
quella della dieta occidentale, detta anche americana) provoca infiammazione
cronica di basso grado, un disturbo che ha a che fare con malattie come diabete
e tumori, e in generale velocizza il processo di invecchiamento psicofisico,
con debolezza e disturbi del sonno, come sottolineato anche dal dottor
Erzegovesi, psichiatra e primario del Centro per il Disturbi Alimentari
dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.
Evitare i cibi industriali processati
vuole dire non cadere nella “trappola” provocata
da zuccheri e altre sostanze gratificanti. Questi alimenti infatti muovono le
vie dopaminergiche causando l’effetto di “ricompensa”, alla
base del fenomeno della dipendenza.
Inoltre il famoso rapporto che esiste fra
salute mentale e microbiota intestinale attraverso l’asse che connette
intestino a cervello (la carne rossa è il suo peggior nemico, “Effect of Consumption of Animal Products on the Gut Microbiome
Composition and Gut Health”) è collegato alla ricchezza di nutrienti che i cibi coltivati
perdono a causa dei pesticidi, che impoveriscono la qualità del suolo.
Quest’ultimo rilievo è tratto dal dossier “Stop pesticidi nel piatto” di Legambiente, presentato il 3 dicembre 2024,
stilato da esperti nell’ambito agroalimentare e accademici, che in generale
mostra come i fertilizzanti e i pesticidi
usati nell’agricoltura convenzionale abbiano ricadute sulla salute dell’uomo
(endocrinologiche, tumorali, neurologiche) attraverso non solo il consumo di
frutta, verdura e cereali con residui dei trattamenti, ma soprattutto con la
dispersione dei pesticidi nell’ambiente, diventando così sostanze respirabili e
ingeribili attraverso le acque contaminate.
La politica deve concedere le stesse
opportunità degli agricoltori intensivi anche a chi sceglie la via del biologico, vale a dire ai tanti giovani che
stanno decidendo di tornare alla coltivazione utilizzando sistemi più
rispettosi della salute, attraverso pari opportunità di accesso a incentivi e
facilitazioni. Che vorrebbe dire aumentare le iniziative di impresa agricola, e
conseguentemente l’occupazione, e la garanzia al consumatore dell’accesso ad
alimenti sani a prezzi competitivi.
Il ministero dell’Agricoltura ha aggiunto
al dicastero il termine sovranità alimentare, giocando
sull’ambiguità che può suscitare evocando l’idea di uno nazione forte nel proteggere
la propria italianità contro i competitor internazionali, suggerendo sentimenti
ideologici sovranisti. In realtà per sovranità alimentare si intende il diritto
delle comunità a definire le proprie politiche di produzione, distribuzione e
consumo di cibo, basandole sulla piccola e media produzione. Rivedendo in
maniera corretta la definizione bisognerebbe coerentemente premiare non le
grandi realtà intensive, ma le filiere corte che
si rivolgono appunto alla comunità del territorio, favorendo un rapporto di
consapevolezza del consumatore e di rapporto diretto e solidale con il
produttore.
Un discorso ulteriore che va aggiunto è
quello delle micro e nanoplastiche, che inquinano
pesantemente soprattutto il comparto della pesca, e che attraverso il consumo
ittico si propagano nell’organismo umano. Molte ricerche (Exposure to Microplastics during Early Developmental Stage: Review
of Current Evidence, per fare un esempio) hanno individuato
microplastiche nel latte materno, nella
placenta, nei testicoli, nel cuore, nel fegato e nei reni, causando tumori,
disordini metabolici, disordini mentali, come l’ADHD, e infertilità. Nel mare
mediterraneo sono presenti dalle 1000 alle 3000 tonnellate di materiali
plastici galleggianti (Plastics in the Mediterranean, iucn.org); andrebbe
affrontato il problema della pulizia dei mari, nella speranza di una
prospettiva per una maggiore diffusione delle plastiche interamente biodegradabili.
Infine per gli
allevamenti intensivi di carne basta vedere le testimonianze
raccolte da alcuni documentari e servizi giornalistici per capire le condizioni
igieniche e l’uso di antibiotici che,
soprattutto a causa delle deiezioni che rientrano nell’ambiente attraverso
suolo e acque (Potential of Biological Processes to Eliminate Antibiotics in
Livestock Manure: An Overview), contribuiscono massicciamente a
causare nell’uomo quell’antibiotico resistenza che, soprattutto nelle campagne
delle amministrazioni pubbliche, viene imputata esclusivamente all’uso scorretto dei medicinali da parte delle
persone.
Ma torniamo alla Salute Mentale considerando
l’impatto che le sostanze inquinanti hanno
anche su cervello e sistema neurologico. Alla luce di quanto scritto, per chi
vive una condizione di sofferenza è di primaria importanza rivolgersi a un
medico professionista ma è sicuramente consigliabile avere una cura attenta anche della propria alimentazione. La
dieta mediterranea, soprattutto se esclusivamente vegetariana, è la scelta più
corretta, se possibile privilegiando i prodotti di natura biologica, privi di
residui chimici. Anche perché la farmacologia psichiatrica sottopone
l’organismo a controindicazioni che in parte proprio una dieta attenta può
contribuire a bilanciare. La salute si costruisce con la prevenzione, in tutti i campi, anche quelli
agricoli.
martedì 24 dicembre 2024
Accordo Ue-Mercosur, Von der Leyen sbaglia (ancora) mercato - Monica Di Sisto
La Commissione europea sponsorizza l’ennesimo trattato dannoso. La carne del Sudamerica è prodotta con standard ambientali più bassi. Mentre l’agroalimentare divora l’Amazzonia. Sarà competizione sleale.
“Il traguardo dell’accordo Ue-Mercosur è in vista. Abbiamo la
possibilità di creare un mercato di 700 milioni di persone. La più grande
partnership commerciale e di investimento che il mondo abbia mai visto.
Entrambe le regioni ne trarranno beneficio”.
La ri-presidente della
Commissione Ue Ursula von der Leyen dai suoi social prova a galvanizzare i
Paesi membri sventolando i presunti primati dell’ennesimo trattato di
liberalizzazione commerciale, quello con i Paesi dell’area di libero scambio
del Mercosur (Brasile, Argentina, Bolivia, Uruguay e Paraguay) in ballo da
oltre 25 anni, e che di vantaggi per lavoratori, cittadini e ambiente non ne
porterebbe nessuno.
Agricoltori in rivolta
Che questa non sia una posizione
a priori, delle ‘solite’ associazioni benaltriste, lo dimostrano i trattori
della federazione dei contadini belgi che tornano in piazza in queste ore
“disgustati – letteralmente – dalle scelte della Commissione europea”, perché
le attuali 215-250mila tonnellate di carni che arrivano in Europa da quei Paesi
ogni anno sono già prodotte con standard ambientali, salariali e sanitari molto
più bassi ed economici, in una competizione sleale con i produttori europei”,
denunciano manifestando a Bruxelles.
Se dovessero entrare senza dazi
né contingentamenti, come prevede l’incombente liberalizzazione, queste derrate
potrebbero arrivare a cancellare, ad esempio, l’intero settore del pollame
europeo, con una “schizofrenica inconsistenza” tra le diverse politiche
europee.
Il Brasile ha quadruplicato l’uso dei pesticidi
Non dimentichiamo, infatti, che
il Brasile negli ultimi venti anni ha quadruplicato l’uso di pesticidi in campo
aperto, e utilizza in larga parte principi attivi vietati nell’Unione
Europea. Nell’area si usano liberamente negli allevamenti antibiotici e
promotori della crescita, proibiti in Europa dal 2006. Il Sistema di allerta
rapido sulla sicurezza alimentare europeo, inoltre, solo nell’ultimo anno ha
diramato oltre duecento segnalazioni per cibo proveniente dai Paesi del
Mercosur con residui di pesticidi, sostanze tossiche e batteri oltre i livelli
di igiene pubblica.
Lo sfruttamento nelle miniere
In quei campi, per di più, come
nelle aree minerarie, sono diffuse le pratiche di riduzione in schiavitù e di
lavoro minorile fin dai 4-5 anni, che azzerano crudelmente i costi del lavoro,
nel momento in cui tutte le campagne europee contro il caporalato si
confrontano con una cronica compressione della catena del valore a svantaggio
di redditi e diritti.
L’agroalimentare divora l’Amazzonia
L’industria agroalimentare
nell’area amazzonica, anche per le pressioni delle filiere globali, sta
divorando ogni anno ecosistemi interi della foresta, come denunciato da tutte
le organizzazioni ambientali e indigene di quei Paesi. In barba alle ambizioni
del Green deal e delle politiche europee contro la deforestazione, si prevede
che il trattato Europa-Mercosur contribuirebbe direttamente a deforestarne
altri 1,35 milioni di ettari.
Tutti danneggiati
Nel complesso, secondo le analisi costi-benefici più accurate, a fronte di
una crescita realistica di Pil dello 0,1% in Europa, distribuito in modo
diseguale tra i diversi Paesi membri, per l’Europa si prevede una competizione
diretta su tutti i principali settori primari e della prima manifattura. I
Paesi del Mercosur verrebbero, invece, condannati a una progressiva
deindustrializzazione rimanendo intrappolati tra il settore estrattivo e
primario e i segmenti meno specializzati delle filiere interessate.
La posizione italiana non è chiara
La posizione italiana, al momento, ondeggia tra il “no” deciso del
ministro per l’Agricoltura Lollobrigida, sostenuto dalle organizzazioni
datoriali agricole, e il “sì” del ministro degli Esteri Tajani, condizionato a
imprecisate “modifiche” alle condizioni del trattato relative
all’agroalimentare.
Ma i presidenti del Mercosur, a partire dal brasiliano Lula, hanno ribadito più
volte che il trattato è un pacchetto complessivo e chiuso: “La Francia non conta nulla, decide la commissione”, è
stato il commento di Lula rispetto all’opposizione ferma di Francia e Polonia,
che fino a oggi hanno rallentato la firma dell’accordo da parte europea. E la
attuale crisi politica in Francia corrobora la sua affermazione, che però
denuncia la sua profonda devozione al vecchio sviluppismo industrialista e
fossile, superato ormai dalla storia e dalla cronaca della catastrofe
ambientale nella quale siamo tutti immersi.
Un momento delicato: la presidenza Milei
Questa accelerazione arriverebbe, per di più, in un momento
particolarmente delicato anche per gli equilibri politici dell’area
latino-americana: alla presidenza di turno del Mercosur sta per insediarsi il
presidente anarco-capitalista argentino Javier Milei,
che condivide con l’ex presidente brasiliano di destra Bolsonaro la scelta di
sacrificare agli interessi delle corporation nazionali e internazionali
l’agibilità dei propri e altrui diritti ambientali, democratici e sociali.
Sotto la neoausterity di Milei,
infatti, il tasso di povertà in Argentina è salito a quasi il 55% della
popolazione, e sotto le motoseghe dell’agribusiness e dell’estrattivismo che lo
sostengono arretra a vista d’occhio la foresta del Chaco, la seconda più grande
dell’America latina che, come l’Amazzonia, è considerata di importanza globale
per il suo ruolo nella mitigazione degli effetti del cambiamento climatico,
essendo uno dei più grandi pozzi d’assorbimento di CO2 del pianeta. Un
abbraccio concretamente mortale tra negazionisti conservatori europei, del Sud
e del Nord delle Americhe, considerato il ritorno di Trump alla Casa Bianca.
Fermare il Titanic
Quanto queste scelte siano lontane da qualsiasi barlume di democrazia
e lungimiranza lo dimostra che, dopo anni di resistenza comune, oltre 400
organizzazioni della società civile delle due sponde dell’Atlantico, molto
diverse tra loro per orientamenti e specializzazioni, solo un paio di settimane
fa, hanno chiesto a una voce con un documento congiunto a
tutti i governi coinvolti lo stop definitivo a questo ennesimo
Titanic.
“I politici che promuovono questo accordo per contrastare
l’influenza della Cina nella regione del Mercosur sono intrappolati in
un’ideologia di libero scambio che dà priorità ai profitti delle imprese
rispetto alle persone e al pianeta – sostiene l’appello -. Rafforzare i legami
tra i nostri Paesi, sebbene innegabilmente necessario, richiede solidarietà,
uguaglianza, cooperazione, sostenibilità e democrazia, non approfondire le
asimmetrie commerciali”.
Un altro commercio, basato su
solidarietà, democrazia, cooperazione reciproca e uguaglianza, è possibile ma
ci serve adesso.
(*) Tratto da www.collettiva.it/copertine/internazionale/accordo-ue-mercosur-von-der-leyen-sbaglia-xdq413tl
domenica 22 dicembre 2024
sabato 21 dicembre 2024
venerdì 20 dicembre 2024
Terre collettive, il tesoro ambientale della Sardegna - Stefano Deliperi
Circa 5 milioni di ettari di boschi, zone umide, terreni agricoli, coste in tutta Italia. Sono le terre collettive, una straordinaria cassaforte di risorse naturali di grandissimo rilievo ambientale e socio-economico presente in tutte le regioni.
Dai dati molto risalenti dell’Istituto
Nazionale di Economia Agraria emergeva che al 1947
erano stati oggetto di accertamento della presenza di diritti di uso civico
3.085.028 ettari (dei quali 2.596.236 gestiti dai relativi Comuni e 488.792
gestiti da Associazioni agrarie di varia denominazione), circa il 10% del
territorio nazionale, mentre accertamenti successivi tuttora non completati
fanno propendere per almeno altri due milioni di ettari di terre collettive.
Recentemente, dopo decenni di colpevole
trascuratezza, in diversi zone c’è stata una positiva inversione di tendenza,
grazie a una maggiore attenzione dovuta a vari fattori, non ultime alcune
azioni legali.
E’ il caso, in particolare dei demani
civici della Sardegna.
In seguito a istanze di accesso civico e
informazioni ambientali inoltrata (13 giugno 2023 e 21 novembre 2024) dal Gruppo
d’Intervento Giuridico (GrIG), l’Assessorato dell’Agricoltura e Riforma
Agro-Pastorale della Regione autonoma della Sardegna ha comunicato
(note prot. n. n. 13558 del 15 giugno 2023 e n. 29028 del 27 novembre 2024)
importanti aggiornamenti in merito alle operazioni di trasferimento dei diritti
di uso civico da terreni irrimediabilmente compromessi ad aree di elevato
valore naturalistico.
Si ricorda, infatti, che la legge n.
168/2017 in materia di usi civici è stata integrata con
le disposizioni poste dall’art. 63 bis della legge
n. 108 del 29 luglio 2021 di conversione con modificazioni e
integrazioni del decreto-legge
n. 77/2021, il c.d. decreto governance PNRR) che consente il trasferimento
dei diritti di uso civico da terreni ormai irrimediabilmente compromessi (es.
perché edificati) ad aree provenienti dal patrimonio comunale o
regionale di valore ambientale (es. boschi, coste, zone umide, ecc.).
In
seguito, l’Assessorato dell’Agricoltura e Riforma Agro-Pastorale della Regione
autonoma della Sardegna aveva comunicato che, dopo l’aggiornamento
delle relative procedure, è stata data concreta attuazione alle nuove
disposizioni nazionali.
Erano pervenute all’Assessorato
regionale dell’Agricoltura e Riforma Agro-Pastorale – Direzione generale
Agricoltura “n° 9 richieste di autorizzazione al trasferimento degli
usi civici, presentate dai Comuni di Allai, Oristano, Santa Giusta,
Siamaggiore, Benetutti, Borore, Monti, Santu Lussurgiu e Abbasanta, per le
quali sono stati avviati altrettanti procedimenti amministrativi. Dei 9
procedimenti avviati 5 sono stati conclusi (rigetto per Allai e autorizzazione
per Santa Giusta,Siamaggiore, Monti e Abbasanta), e gli altri 4 sono in corso
di svolgimento (Oristano, Benetutti, Borore e Santu Lussurgiu)”.
Erano stati autorizzati:
* Siamaggiore, trasferimento dei
diritti di uso civico da 505 metri quadrati di area urbana edificata (Via
Eleonora d’Arborea) a 730 metri quadrati di terreno agricolo (determinazione
dirigenziale n. 555 del 2 agosto 2022);
* Santa Giusta, trasferimento dei
diritti di uso civico di 1.060 metri quadrati da area della Caserma dei
Carabinieri a terreni agricoli (determinazione
dirigenziale n. 609 del 31 agosto 2022);
* Monti, trasferimento dei
diritti di uso civico da 105.836 metri quadrati di area urbana edificata
(abitazioni, scuola elementare, cimitero) e viabilità a 131.334 metri quadrati
di terreno agricolo, macchia mediterranea, pascolo (determinazione
dirigenziale n. 894 del 28 ottobre 2022);
* Abbasanta, trasferimento dei
diritti di uso civico da 2.313 metri quadrati di area urbana edificata a 3.155
metri quadrati di area agricola (determinazione
dirigenziale n. 419 del 17 maggio 2023).
Non è stato autorizzato il trasferimento
dei diritti di uso civico proposto dal Comune di Allai, in quanto
fornito di carente documentazione, non formulato con maggioranza dei due terzi
del Consiglio comunale e in assenza del previsto regolamento comunale di
gestione delle terre civiche (determinazione
dirigenziale n. 786 del 10 ottobre 2022).
Successivamente, con determinazione
dirigenziale n. 806 del 25 settembre 2023 (+ allegato), è stato autorizzato
il piano di trasferimento dei diritti di uso civico proposto
dal Comune di Oristano con deliberazione Consiglio comunale n.
38 del 28 luglio 2023 nella località costiera di Torre Grande: i diritti di uso
civico sono stati trasferiti dall’area
compresa fra la Torre spagnola e il porticciolo, ormai
irreversibilmente trasformata da circa 300 edifici (più di 15 ettari), alla
vicina pineta
litoranea (più di 16 ettari). Così è stato rintemprato il demanio civico
oristanese con una pineta di rilevante interesse ambientale ed è stata avviata
la soluzione alle problematiche residenziali per centinaia di cittadini
incolpevoli.
Sono stati, inoltre, autorizzati:
* Benetutti – Piano di
Trasferimento delle terre civiche (da metri quadri 3.627 a metri quadri 8.324)
autorizzato con determinazione. n. 933/19523 del 24 luglio 2024;
* Borore – Piano di
Trasferimento terre civiche autorizzato (da metri quadri 109,87 a metri quadri
16.896) con determinazione n. 924/19301 del 22 luglio 2024;
* San Vero Milis – Autorizzazione
trasferimento usi civici nelle Borgate marine (da circa ettari 12 a
ettari 36,77), autorizzato con determinazione n. 8847/18637 del 16 luglio 2024;
* Lanusei – Trasferimento
di uso civico su terreni comunali (deliberazione Consiglio comunale n. 21 del
31 luglio 2023), autorizzato con determinazione n. 1196/27587 del 7 dicembre
2023 (da metri quadri 4.072 a metri quadri 14.835);
* Vallermosa – Trasferimento
di diritti di uso (da metri quadri 20.501 a metri quadri 43.235), autorizzato
con determinazione n. 937/19551 del 25 luglio 2024.
Sono attualmente in corso di esame le
seguenti richieste:
* Urzulei – Richiesta
autorizzazione al trasferimento dei diritti di uso civico su altri terreni del
patrimonio disponibile comunale, aree in loc. Giustizieri e Silana;
* Ardauli – Richiesta
autorizzazione trasferimento usi civici (deliberazione Consiglio comunale n. 12
del 27 giugno 2024);
* Sindia – Richiesta
autorizzazione trasferimento usi civici (deliberazione Consiglio comunale n. 5
del 24 marzo 2023).
Sono state, invece, respinte le seguenti
richieste:
* Santu Lussurgiu – Trasferimento
uso civico vari terreni comunali (deliberazione Consiglio comunale n. 48 del 28
dicembre 2022), diniego con determinazione n. 1014/25195 del 13 novembre 2023
per inidoneità dei terreni (acquisizione mediante permuta di area già a uso
civico, probabilmente occupata senza titolo) su cui trasferire i diritti di uso
civico;
* Ardauli – Richiesta
autorizzazione trasferimento usi civici, diniego con determinazione n.
908/23597 del 24 ottobre 2023, per inidoneità dei terreni (area d’interesse
archeologico, parco extraurbano) su cui trasferire i diritti di uso civico;
* Pattada – Richiesta
autorizzazione al trasferimento dei diritti di uso civico su altri terreni del
patrimonio disponibile comunale, diniego con determinazione n. 327/8144
del 25 marzo 2024 per inidoneità dei terreni (parco urbano) su cui trasferire i
diritti di uso civico;
* Abbasanta – Richiesta
autorizzazione al trasferimento dei diritti di uso civico su altri terreni del
patrimonio disponibile comunale relativamente all’immobile ex ARST,
diniego con determinazione n. 146/4167 del 12 febbraio 2024 per carenza
parziale dei terreni su cui trasferire i diritti di uso civico..
L’Assessorato ha, infine, reso noto che
“sono in fase di conclusione gli studi propedeutici all’accertamento per
gli ultimi sette comuni nei quali gli usi civici sono ancora da accertare
(Jerzu, Loceri, Osini, Riola Sardo, San Vito, Silanus e Sorgono) oltre che per
tre comuni nei quali l’accertamento si sta riesaminando (Orosei, San Nicolò
d’Arcidano e Villacidro)”.
Complessivamente, “al momento, sono
182 i comuni dotati del Regolamento di gestione degli usi civici approvato
ai sensi dell’art. 12 della L.R. n. 12/1994, e 58 quelli dotati del Piano
di Valorizzazione e recupero delle terre civiche approvato ai sensi
dell’art. 10 della stessa L.R. Sia per i Regolamenti sia per i Piani di
Valorizzazione molti comuni stanno provvedendo alla loro predisposizione per la
successiva approvazione da parte dei Consigli Comunali e conseguente
trasmissione alla Direzione Generale dell’Agricoltura per il parere di
competenza.”.
Il GrIG non può che
esprimere grande soddisfazione per vedere i concreti risultati in
Sardegna della propria campagna per la difesa e la buona gestione
delle terre collettive che da anni conduce in tutta Italia.
Che cosa sono gli usi civici?
Come noto, i terreni a uso
civico e i demani civici (legge
n. 1766/1927 e s.m.i., legge
n. 168/2017, regio
decreto n. 332/1928 e s.m.i.) costituiscono un patrimonio di
grandissimo rilievo per le Collettività locali, sia sotto il profilo
economico-sociale che per gli aspetti di salvaguardia ambientale (valore
riconosciuto sistematicamente in giurisprudenza)[1].
I diritti di uso civico sono
inalienabili, indivisibili, inusucapibili e imprescrittibili (artt. 3, comma
3°, della legge n. 168/2017 e 2, 9, 12 della legge n. 1766/1927 e s.m.i.). I
demani civici sono tutelati ex lege con il vincolo
paesaggistico (art. 142, comma 1°, lettera h, del decreto
legislativo n. 42/2004 e s.m.i.). Ogni atto di disposizione che
comporti ablazione o che comunque incida su diritti di uso civico può essere
adottato dalla pubblica amministrazione competente soltanto a particolari
condizioni, previa autorizzazione regionale e verso corrispettivo di un
indennizzo da corrispondere alla collettività titolare del diritto medesimo e
destinato a opere permanenti di interesse pubblico generale (artt. 12 della
legge n. 1766/1927 e s.m.i.).
La nuova norma per una migliore gestione
dei demani civici.
Su proposta dell’on. Alberto Manca
(M5S), è stato approvato l’art. 63 bis della legge
n. 108 del 29 luglio 2021 di conversione con modificazioni e
integrazioni del decreto-legge
n. 77/2021, il c.d. decreto governance PNRR) consente alle Regioni e
Province autonome di legiferare sul trasferimento dei diritti di uso civico (o
la permuta) da terreni ormai irrimediabilmente compromessi (es. perché
edificati) ad aree provenienti dal patrimonio comunale o regionale di valore ambientale
(es. boschi, coste, zone umide, ecc.).
Così verrebbe preservato il capitale
ambientale della collettività e, contemporaneamente, verrebbe offerta una
soluzione per le tante famiglie incolpevoli che hanno magari realizzato la
propria casa su aree a uso civico.
Legge n. 108 del 29 luglio 2021
–omissis –
art. 63 bis
Modifiche all’articolo 3 della legge 20
novembre 2017, n. 168, in materia di trasferimenti di diritti di uso civico e
permute aventi a oggetto terreni a uso civico
1.All’articolo 3 della legge 20 novembre
2017, n. 168, sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:
«8 -bis. Le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano possono autorizzare trasferimenti di diritti di
uso civico e permute aventi a oggetto terreni a uso civico appartenenti al
demanio civico in caso di accertata e irreversibile trasformazione, a
condizione che i predetti terreni:
a) abbiano irreversibilmente perso la
conformazione fisica o la destinazione funzionale di terreni agrari, boschivi o
pascolativi per oggettiva trasformazione prima della data di entrata in vigore
della legge 8 agosto 1985, n. 431, e le eventuali opere realizzate siano state
autorizzate dall’amministrazione comunale;
b) siano stati utilizzati in conformità
ai vigenti strumenti di pianificazione urbanistica;
c) non siano stati trasformati in
assenza dell’autorizzazione paesaggistica o in difformità da essa.
8 -ter I trasferimenti di diritti
di uso civico e le permute di cui al comma 8 -bis hanno a oggetto terreni di
superficie e valore ambientale equivalenti che appartengono al patrimonio
disponibile dei comuni, delle regioni e delle province autonome di Trento e di
Bolzano. I trasferimenti dei diritti e le permute comportano la
demanializzazione dei terreni di cui al periodo precedente e a essi si applica
l’articolo 142, comma 1, lettera h) , del codice dei beni culturali e del
paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
8 -quater. I terreni dai quali sono
trasferiti i diritti di uso civico ai sensi di quanto disposto dai commi 8 -bis
e 8 -ter sono sdemanializzati e su di essi è mantenuto il vincolo
paesaggistico».
2. Dall’attuazione delle
disposizioni di cui al presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori
oneri a carico della finanza pubblica.
La Regione autonoma della Sardegna e la
Regione Piemonte (art. 77 della legge regionale Piemonte n. 3/2003 e D.P.G.R.
Piemonte n. 7/R del 2003; F.A.Q.) sono state le prime
ad aver predisposto una normativa finalizzata ai trasferimenti dei diritti di
uso civico.
La disciplina attuativa in Sardegna.
Con la deliberazione
del 10 dicembre 2021, n. 48/15 la Giunta regionale sarda ha
approvato lo specifico “Atto
di indirizzo interpretativo e applicativo per la gestione dei procedimenti
amministrativi relativi agli usi civici di cui alla L.R. n. 12/1994, alla L. n.
1766/1927 e alla L. n. 168/2017” anche in attuazione delle disposizioni
nazionali in materia di usi civici, comprese quelle sul trasferimento dei
diritti di uso civico.
Successivamente sono stati approvati
il decreto
assessoriale n. 2539 DecA/50 dell’1 agosto 2022 – Aggiornamento delle direttive
operative per lo svolgimento dei procedimenti amministrativi in materia di usi
civici con il suo Allegato
al decreto assessoriale n. 2539 DecA/50 dell’1 agosto 2022 e il decreto
assessoriale n. 125 DecA/1 del 16 gennaio 2023 – Aggiornamento delle direttive
operative in materia di mutamento di destinazione funzionale alla stipula di
convenzioni tra i Comuni e l’Agenzia Forestas.
I vari procedimenti di competenza
regionale in materia sono stati raccolti in un unico atto d’indirizzo, dalle
procedure di accertamento all’inventario generale, dal recupero dei terreni
illegittimamente occupati ai piani di valorizzazione, dai regolamenti comunali
di gestione agli atti di disposizione dei terreni a uso civico, dalle
competenze sulla vigilanza alle legittimazioni, ai trasferimenti dei diritti di
uso civico, alle permute.
Ora, come i primi provvedimenti
regionali di autorizzazione al trasferimento di diritti di uso civico
testimoniano, molte vicende di riordino dei demani civici potranno essere
finalmente affrontate e risolte concretamente con beneficio per le collettività
locali, l’ambiente e i cittadini, a iniziare – se le rispettive amministrazioni
comunali avessero un sussulto di buon senso – da Orosei e da Villasimius.
La situazione dei demani civici in
Sardegna.
Anche in Sardegna, dopo troppi anni di
cattiva gestione, di lassismo e di abusi, il futuro dei diritti di uso civico
appare migliore.
Dopo parecchi anni di lavoro e – nel
piccolo – tante azioni legali e di sensibilizzazione da parte del GrIG, sta
giungendo a positiva conclusione l’operazione di accertamento dei demani
civici presenti nel territorio isolano da parte dell’Agenzia Argea Sardegna, già delegata in
materia dalla Regione autonoma della Sardegna, e poi dalla Direzione
generale dell’Agricoltura e Riforma Agro-Pastorale.
E’ stato così finalmente reso nuovamente
consultabile l’Inventario
regionale delle Terre civiche, il documento fondamentale, di
natura ricognitiva, per la conoscibilità dei terreni appartenenti ai demani
civici in Sardegna.
Secondo quanto oggetto di provvedimenti
di accertamento, risultano terreni a uso civico in 340 Comuni sui 369 su cui
sono state condotte le operazioni. I Comuni sardi sono 377: mancano ancora le
attività di accertamento su 7 Comuni, nei quali si stima, comunque, la presenza
di terre collettive.
In 30 Comuni, al termine delle
operazioni, non sono risultati terreni a uso civico.
Complessivamente (considerando anche gli
ultimi 7 Comuni dove devono esser svolte le operazioni di accertamento, ma dove
se ne stima la presenza), dovrebbero essere 348 su 377 i Comuni dove sono
presenti i demani civici, ben il 92% dei Comuni sardi.
Sono stati, inoltre, verificati e
aggiornati i dati (estensione, catasto, ecc.) relativi ai 340 demani civici
accertati (luglio 2021).
L’estensione complessiva delle terre
collettive finora accertate è di circa 303.676 ettari, pari al 12,62%
dell’Isola.
L’Istituto Nazionale di Economia Agraria
stimava (1947) la presenza di 314.814 ettari di terreni a uso civico in
Sardegna.
Tasti dolenti rimangono alcune gravi
carenze gestionali, soprattutto in tema di recupero dei terreni a uso
civico illegittimamente occupati, migliaia
di ettariattendono il recupero alla fruizione collettiva.
A Carloforte ben 48
ettari illegittimamente occupati sono stati recuperati in via bonaria al
demanio civico nel
2018, ma – a quanto pare – l’esempio virtuoso non è stato seguito.
I rispettivi Comuni e
la Regione autonoma della Sardegna (in via sostitutiva) sono
competenti per le azioni di recupero (art. 22 della legge
regionale Sardegna n. 12/1994 e s.m.i.), che cosa si aspetta?
[1] vds. sentenze
Corte cost. nn. 345/1997, 46/1995, 210/2014, 103/2017, 178/2018 e ordinanze
Corte cost. nn. 71/1999, 316/1998, 158/1998, 133/1993. Vds.. anche Cass.
civ., SS.UU., 12 dicembre 1995, n. 12719; Cass. pen., Sez. III, 29 maggio 1992,
n. 6537.
Stefano Deliperi è il portavoce del
Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)
giovedì 19 dicembre 2024
Un caffè buono per tutti. Davvero. L’impegno ventennale di Tatawelo - Cristina Borio
Tratto
da Altreconomia 258 — Aprile 2023
“Dopo otto
anni di risparmi i cafetaleros delle comunità indigene del
Chiapas sono riusciti a realizzare un sogno: acquistare la maquilla,
che permetterà loro di gestire tutta la filiera del caffè: dal campo alla
tostatura”, racconta ad Altreconomia Walter Vassallo,
referente del progetto Tatawelo che nel novembre 2022 ha
festeggiato assieme ai produttori questo importante risultato durante una
visita in Messico alla cooperativa Yachil Xojobal Chu’lchan. “Quando ci hanno
chiesto di salire sul palco per raccontare il viaggio del loro caffè verso
l’Italia ci siamo sentiti piccolissimi -continua Walter-.Perché in questi anni
non abbiamo solo acquistato del caffè, ma sostenuto un’economia giusta ed equa.
Come dovrebbe essere normale”.
Sono ormai
passati vent’anni da quando un piccolo gruppo di persone appartenenti a varie
realtà dell’economia solidale e del commercio equo si è chiesto che cosa ci
fosse dietro il gesto quotidiano di bere una tazzina di caffè. Così nel 2003 ha
preso vita Tatawelo, con l’obiettivo di creare una filiera giusta per
commercializzare il prodotto della neonata cooperativa zapatista Ssit Lequil
Lum (“I frutti della Madre Terra”, in lingua tzeltal).
Nove anni
prima, nel 1994, l’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln) era
insorto contro il governo messicano per chiedere riforme agrarie, sanitarie e
del sistema educativo a favore dei popoli indigeni. Allo stesso modo, nel 1999,
i membri di Yachil si erano organizzati per spezzare la dipendenza dai grandi proprietari
terrieri e rivendicare l’autonomia dei nativi. Da allora, i sacchi di juta di
Café Tatawelo raggiungono l’Italia anche grazie alla compartecipazione della
cooperativa LiberoMondo per poi essere tostati a
Diano d’Alba (CN) e distribuiti a oltre 200 soci tra 190 Gruppi di acquisto
solidale (Gas) e otto botteghe del commercio equo.
I principali
produttori sono le cooperative zapatiste Yachil e Yochin, che arrivano a
esportare in Europa fino a 300 tonnellate di caffè verde all’anno. La Yachil
Xojobal Chu’lchan (“Nuova luce nel cielo” in tzeltal) oggi conta
circa 800 membri in otto municipalità e basa la crescita della comunità sulla
coltivazione di caffè in agroecologia e certificato biologico Certimex. I suoi
prodotti vengono sia esportati all’estero, sia venduti sul mercato locale. La
commercializzazione in Italia avviene grazie a Tatawelo che distribuisce il
caffè attraverso una rete estremamente ramificata che comprende Gas,
cooperative, empori di comunità, food coop e botteghe del
mondo.Una filiera trasparente, dalla pianta alla tazzina.
Due pilastri
sostengono tutto il progetto. Il primo è il prefinanziamento, che consiste nel
pagare in anticipo il caffè ordinato alle cooperative chiapaneche, per fornire
loro le risorse finanziarie necessarie all’avvio della produzione. In questo
modo i contadini evitano lo strozzinaggio degli intermediari delle grandi
imprese, i “coyotes” locali. Il secondo pilastro è la quota progetto,
ovvero un contributo solidale fisso di 10 centesimi di euro a pacchetto che
viene utilizzato per finanziare iniziative nelle comunità. Grazie alle risorse
raccolte negli anni, Yachil ha potuto costruire una torrefazione per vendere i
propri prodotti sul mercato locale.
La macchina
per la torrefazione acquistata dalla cooperativa Yachil © Tatawelo
“Un’economia
solidale promuove soprattutto lo sviluppo delle comunità in loco -spiega
Vassallo mostrando le foto dell’ultimo macchinario acquistato dalla cooperativa
nel 2022, la maquilla-. Prima di questo investimento i produttori
dovevano affidarsi a terzi per far selezionare il caffè. E restavano presso gli
impianti per tre o quattro giorni, dormendo sui sacchi, per controllare che non
venissero rubati o sostituiti, essendo il loro un prodotto di alta qualità”.
Quest’anno
la campagna di prefinanziamento che solitamente si svolge nel mese di maggio, è
stata organizzata tra il 30 gennaio e l’8 marzo “poiché il cambiamento
climatico ha portato a un anticipo della maturazione delle bacche -spiega Dulce
Chan Cab, presidente di Tatawelo-. Parlando con i contadini, a novembre ci
hanno manifestato le difficoltà che stavano affrontando. Solo incontrando di
persona le comunità puoi comprendere le loro esigenze: è dalla relazione di
persona che nasce il confronto sulle problematiche economiche e sociali”.
Dal dialogo
nasce la mediazione, anche sul prezzo di vendita: “Frutto di una valutazione
complessiva fatta con i contadini in base ai loro costi di produzione, quelli
di trasporto e torrefazione”, spiega Vassallo. Quello finale è quindi un prezzo
trasparente: per ogni pacchetto di caffè il 42% va al produttore, il 16% copre
le spese di trasformazione, il 2% quelle di trasporto e il 24% la
distribuzione, oltre che per la quota progetto. Un meccanismo che traduce
concretamente il motto di Tatawelo: “Para todos todo”. Chi acquista in
prefinanziamento il caffè della cooperativa può scegliere tra diverse miscele:
la qualità arabica monorigine delle terre dei cafetaleros del
Chiapas e Guatemala e la robusta della Kagera cooperative union dalla Tanzania.
Mentre
scriviamo, a metà marzo, nonostante l’anticipo della campagna, la risposta
della rete di prefinanziatori sta arrivando. Tra questi c’è anche Fabrizio
Cuniberti, fondatore della cooperativa di commercio equo Ponte solidale di
Perugia, socia di Tatawelo e di Altreconomia. “Per noi Café
Tatawelo non è un prodotto, ma una storia che viene raccontata in ogni
pacchetto, una scommessa fatta insieme, un movimento di persone che hanno
scoperto il valore politico dietro i loro acquisti”.
mercoledì 18 dicembre 2024
Ancora consumo di suolo. Meno ma sempre troppo per rimanere nel futuro - Paolo Pileri
È appena stato pubblicato l’undicesimo Rapporto sul consumo di suolo.
Apriamo dicendo che l’incremento lordo di consumo di suolo dell’ultimo anno è
sceso, passando da 8.500 ettari del periodo 2021-2022 a 7.254 del periodo
2022-2023. È innegabilmente una buona notizia.
Però non cantiamo vittoria troppo presto perché gli oltre settemila ettari
rimangono un’esagerazione e continuano a tenerci ben al di sopra di ogni limite
accettabile di sostenibilità: 19,9 ettari/giorno, ovvero 2,3 metri quadrati al
secondo. Sempre troppi, sempre uno sfregio che sfigura il nostro territorio.
Una contrazione per la quale non abbiamo nessun elemento per considerarla
l’esito di una folgorazione ecologica delle politiche urbanistiche dell’ultimo
anno. Probabilmente parte della riduzione è da attribuirsi al ripristino di
aree di cantiere prima conteggiate come suolo consumato e ora ripristinato. Un
ripristino che, ricordiamolo, non azzera i danni e i disturbi ecosistemici che
il suolo ha comunque subito negli anni di cantierizzazione.
Siamo un Paese che ancora corre a cementificare, condannandosi a rimanere
lontanissimo dall’obiettivo del consumo netto di suolo zero.
La classifica regionale del consumo di suolo porta delle novità. La più
inaspettata (per alcuni) è quella del primato dell’Emilia-Romagna che è balzata
al primo posto per consumo di suolo netto (735 ettari nel 2023) nonché seconda
per consumo di suolo lordo (815 ettari) dietro al Veneto (891 ettari).
Per chi ancora non ci credeva, è arrivata ora la dimostrazione che la tanto
decantata legge urbanistica emiliano-romagnola (L.R. 24/2017) non è capace di
fermare il consumo di suolo nonostante i proclami di quel governo regionale.
Emilia-Romagna e Veneto hanno disarcionato l’eterna prima della classe, la
Lombardia, che ora si attesta a 728 ettari/anno di consumo di suolo netto.
Pur salutando con interesse la contrazione lombarda, anche qui non possiamo
dire che la diminuzione sia l’esito di una legge sul consumo di suolo che,
semmai lo fosse, lo sarebbe a scoppio assai ritardato visto che sono passati
dieci anni. Sta di fatto che a livello nazionale siamo saliti al 7,16% di
superficie consumata pari a 365,7 metri quadrati di asfalto e cemento per ogni
cittadino (+1,23 metri quadrati rispetto all’anno precedente).
A fronte di una generale riduzione del consumo di suolo, vi sono Regioni
che hanno invece segnato un tasso di variazione positivo: Toscana (+23,5%),
Umbria (+39,3%), Campania (+0,8%) e Basilicata (+8,6%). Stupisce e preoccupa il
caso della Toscana dove è vigente la legge urbanistica più conservativa per il
suolo ma che, probabilmente, le forze del cemento sono riuscite ad aggirare
nell’ultimo anno.
Andiamo a vedere la situazione a livello provinciale aiutandoci con il
coefficiente di urbanizzazione ovvero il rapporto tra aree urbanizzate e area
totale. In molte aree del Paese il coefficiente è molto alto ed è ulteriormente
aumentato, generando squilibri e criticità ecologiche e ambientali sempre più
gravi: isole di calore, maggior esposizione a danni da alluvioni, etc. Ci sono
province con coefficienti che sfiorano il 41% (Monza Brianza), il 32% (Milano),
il 35% (Napoli), il 21% (Trieste).
Scendendo al livello comunale, la situazione rimane anche qui assai grave:
in Campania si arriva a Comuni con oltre il 90% di superficie impermeabile
(Casavatore), in Lombardia Lissone arriva circa al 71,5%, Sesto San Giovani al
70%; in Emilia-Romagna Cattolica è al 62,5%, in Abruzzo Pescara al 52%. E
tantissimi sono i Comuni con oltre il 40% di superficie urbanizzata, valore che
farebbe preoccupare immensamente uno scienziato come Johan Rockstrom per il
quale la situazione è già ampiamente grave quando il peso delle aree urbane
sommate a quelle agricole supera il 15% rispetto alla superficie totale.
Valori che sono figli di consumi di suolo più o meno elevati in molti
Comuni. Il più elevato consumo di suolo lo ha totalizzato un piccolo Comune
alle porte di Cagliari, Uta, con ben 105 ettari dovuti a serre e nuovi impianti
fotovoltaici (ribadiamo la preoccupazione per la mancata
pianificazione rigorosa della localizzazione delle rinnovabili). Segue Ravenna
(il cui sindaco è ora il neopresidente della Regione Emilia-Romagna) con +89
ettari che scavalca Roma (+71,3 ettari) da sempre la top-consumer.
Tra le prime città consumatrici abbiamo anche Alessandria (+61,7 ettari),
dove il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è recato il 26
novembre scorso per ricordare la terribile alluvione del 1994 e dove, ne concludo,
il buon governo del territorio non è stato per nulla buono con il suolo,
impermeabilizzando altre decine di ettari, esponendo la città e il territorio a
nuovi rischi alluvionali.
A proposito di buon governo del territorio, non possiamo non ricordare la
prestazione sempre scintillante di Milano, Comune recentemente oggetto di
pseudo condoni edilizi (“Salva Milano”), che pur
professandosi città green, ha cementificato altri 19 ettari circa
(330,5 ettari tra il 2006 e il 2021 di cui il 23% solo tra il 2017 e il 2022).
Anche Bologna non ha spento la betoniera: +21,4 ettari nel 2022-23, + 16,8
nel 2021-22. Idem Venezia con +23,3 ettari nel 2022-23 e +40,32 nel 2021-22. E
potremmo proseguire quasi all’infinito per arrivare a dire che le città
continuano a macinare suolo, a rincorrere la rendita, a conformarsi a un
modello di insostenibilità che procurerà grossi problemi nel futuro.
Con la grave crisi ecologica in corso abbiamo bisogno dell’esatto opposto:
città che fermano il consumo di suolo, usano solo quel che hanno e liberano
spazi. E invece, continuano a spalmarsi di asfalto per poi stendersi al sole
della crisi climatica e abbrustolirsi (e noi con loro).
Ma anche gli altri Comuni consumano? Più i piccoli o i grandi? La maggior
responsabilità va sulle spalle dei Comuni medi (quelli tra i 5mila e i 50mila
abitanti) con il 58,3% del consumo di suolo dell’ultimo anno. Seguono i piccoli
(sotto i 5mila abitanti) con il 23,6%. Si affaccia di nuovo il tema della
frammentazione amministrativa come fattore che spinge il consumo di suolo.
Oppure il fatto che i piccoli Comuni si trovano a subire le grandi trasformazioni
funzionali ai capoluoghi ma che sarebbe troppo caro localizzare là. Ad esempio,
la logistica o i data center o le grandi aree parcheggio o gli
impianti energetici per le rinnovabili.
E poi ci sono gli effetti ambientali negativi che il consumo di suolo produce
e scarica sulle spalle dell’ambiente e degli abitanti. Sono tanti e nel
Rapporto sono documentati. Ricordiamo l’effetto isola di calore urbana.
L’aumento del cemento significa aumento delle superfici che si scaldano di
giorno e che scaldano le notti, rilasciando il calore accumulato, abbassando la
qualità della vita urbana sia di giorno che di notte. Il differenziale di
temperatura tra aree urbane e rurali è di oltre 10° C in molte città al punto
da condannare intere Regioni alla graticola. Così nelle città di Piemonte,
Valle d’Aosta, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e
Liguria.
E poi, da non crederci, continuano i consumi di suolo in aree a
pericolosità idraulica (+1.108 ettari in media pericolosità) come se non
fossimo stati mai travolti da tragedie come quelle subite da poco nelle Marche,
in Romagna e in Toscana. E continuano anche le cementificazioni in aree a
pericolosità di frana: +37,7 ettari in aree a pericolosità di frana molto
elevata; +79,2 in aree a elevata pericolosità; +146,5 in aree a media
pericolosità.
Come vedete il consumo di suolo non si è fermato e mai si fermerà da solo.
Siamo noi a doverlo fermare. È la responsabilità di politici, tecnici e
urbanisti in primis. Ognuno dando voce a questa emorragia per come può fare.
Importante è non distrarsi. La distrazione è assolutamente vietata soprattutto
per chi ha responsabilità politiche di governo del territorio. Occorre
accelerare sulla approvazione di una legge che fermi il consumo di suolo. Vedo
invece che il Parlamento e tanta politica spendono energia a profusione per
proroghe, condoni e interpretazioni autentiche. Autentiche non certo per il
suolo e per il clima. Autentiche ancora una volta per il cemento, i soldi, il
consumismo avido e le speculazioni.