La raccolta dei pomodori in Puglia o
Sicilia, delle arance in Calabria o delle mele in Trentino ha accesso i riflettori
su moderne forme illegali di reclutamento e organizzazione della manodopera.
Purtroppo a pochi chilometri da casa nostra, nel basso Piemonte, ci sono forme
di sfruttamento, che pensavo non potessero investire un settore agricolo di
eccellenza come la viticoltura.
In Langa e nel Monferrato se non ci
fossero i macedoni si fermerebbe tutto. Sarebbe peggio della grandine.
Un’apocalisse. La loro presenza è massiccia sia tra i dipendenti fissi delle
cantine sia tra i membri delle cooperative, che sopperiscono a gran parte del
lavoro in vigna nel periodo caldo dell’anno. È su queste cooperative che voglio
porre l’attenzione e sul sistema che alcune di esse hanno costruito.
Vorrei fare una premessa: l’inchiesta
che abbiamo realizzato non è tesa a screditare il sistema delle cooperative e a
criminalizzarne il ricorso. Questo non è il nostro obiettivo e il lettore deve
esserne consapevole, perché se salta il meccanismo virtuoso che sta alla base
di tutto salta la viticoltura piemontese e forse italiana. La maggioranza dei
produttori e delle cooperative agisce secondo le regole e la legge. Abbiamo
scoperto, grazie a interviste ai vignaioli, a registrazioni vocali, a
fotografie, che questo sistema ha acquisito dimensioni così grandi che è
piuttosto frequente la presenza di distorsioni. Ci sono lavoratori
sfruttati a tutti gli effetti, percepiscono salari da fame e dipendono da
connazionali arrivati prima di loro, che si arricchiscono alle loro spalle
sfruttandone le prestazioni.
Tutto è partito da una telefonata di un
produttore: «Voi che sbandierate tanto la sostenibilità ambientale perché non
vi interessate un po’ di quello che avviene in vigna ai lavoratori
stranieri?». Dopo tre settimane di indagini, effettuate telefonando a
diversi produttori di Langa e Monferrato e seguendo le briciole di pane
disseminate dai loro racconti e confessioni, sono giunto a queste 3 differenti
conclusioni.
1)
Partiamo dal costo orario
Da un incontro sotto falso nome col
direttore di una cooperativa considerata virtuosa e dalle tabelle che ci ha
fatto vedere un vignaiolo, sappiamo che il costo orario “ufficiale” e
fatturato di un manovale delle cooperative è di 10 euro più Iva l’ora (tutti i
prezzi sotto riportati si riferiscono a un’ora di lavoro).
Sempre la cooperativa “virtuosa”, dietro
nostra precisa richiesta, ci ha fatto sapere che in nero potevamo spendere 8
euro tutto compreso. Alcuni produttori ci hanno fatto capire che se l’azienda
in questione è grande e richiede molto lavoro si può arrivare a 6 euro.
Nel caso di lavoro regolare, il manovale
macedone percepisce 6 euro orari se è esperto e 4 euro se invece è alle prime
armi. Questo ce l’ha rivelato un ex dipendente di una cooperativa, che ora
lavora per un vignaiolo.
2) Lavoro
a cottimo
Questa è indubbiamente la formula più
utilizzata dalle aziende e dalle cooperative. Per esempio, nel mese di maggio
bisogna sfemminellare, ecco allora che il preventivo delle cooperative è fatto
in base alla superficie lavorata, nel caso nostro si parla di “giornata
piemontese” (3.810 metri quadrati). Per un compito di questo tipo la tariffa è
di 120 euro. Un produttore interrogato su questo punto mi ha detto che il costo
dei suoi dipendenti per la stessa superficie è di 800 euro. Una bella
differenza! Questa formula obiettivamente è quella che permette più ampi
margini di manovra perché si tratta di un lavoro chiavi in mano, in cui
l’azienda vinicola non mette becco, non è tenuta a controllare, non è
responsabile di nulla, se non del lavoro finito, e quindi non si preoccupa più
di tanto delle condizioni dei lavoratori impiegati. Per questi operai, ad
esempio, l’orario prevede anche la fase più calda della giornata, tra le 12 e
le 15, che determina numerosi casi di svenimento in vigna. Chi ha un mancamento
viene “gentilmente” rimpatriato e non più richiamato. Sul lavoro a cottimo
anche la cooperativa ha margini di manovra molto ampi, perché si assume i
rischi di impresa ma può spremere di più i suoi “soci”. Così facendo si abbattono
ancora di più i salari: quando un operaio lavora in nero la cifra arriva a 3
euro (in Sicilia, sempre grazie a una telefonata, abbiamo scoperto che si
arriva a 2,5 euro).
Con il lavoro a cottimo entrano tra i filari soprattutto le squadre non regolari delle cooperative, quelle che annoverano tra le file lavoratori macedoni con permessi turistici. Questi gruppi operano soprattutto nei week end, quando il rischio di controlli delle autorità è minimo. Capita, di sabato e domenica nei mesi di aprile, maggio e inizio giugno, girando in auto nelle strade di campagna di Langa e Monferrato, di vedere grandi gruppi di persone impegnate tra i filari.
Con il lavoro a cottimo entrano tra i filari soprattutto le squadre non regolari delle cooperative, quelle che annoverano tra le file lavoratori macedoni con permessi turistici. Questi gruppi operano soprattutto nei week end, quando il rischio di controlli delle autorità è minimo. Capita, di sabato e domenica nei mesi di aprile, maggio e inizio giugno, girando in auto nelle strade di campagna di Langa e Monferrato, di vedere grandi gruppi di persone impegnate tra i filari.
3) “Bianco”
e “nero” convivono in questo sistema distorto
Il sottobosco che si è creato con il
tempo prevede la presenza di soggetti differenti che collaborano e ingrossano
il traffico di manodopera. Ci sono cooperative regolari, anche piuttosto
strutturate e con uffici fisici, che hanno due tariffari differenti: bianco (10
euro + Iva) e nero (da 8 euro in giù). Queste fatturano a ora o a cottimo, in
base al tipo di lavoro richiesto. Esistono poi cooperative di servizio più
piccole, meno semplici da individuare per noi, che hanno tariffe ancora più
basse (da 6 euro a scalare). Infine, ci sono dei veri e propri caporali (che
lavorano per altre cooperative e quindi sanno che esistono punte di richiesta
di manodopera), che assoldano per periodi molto brevi i propri connazionali e
spesso forniscono anche il passaggio in Italia. In questo caso non esiste
fatturazione, si fa tutto in nero e le tariffe calano fino ai 3 euro l’ora,
anche per 10 ore di lavoro giornaliero. I caporali alcune volte riforniscono di
manodopera le cooperative regolari, e così guadagnano anche una percentuale.
La tratta di questi “schiavi” comprende
l’offerta di un letto in camerate sovraffollate a 200 euro il mese. Il
pacchetto “turistico” prevede anche la creazione di servizi di trasporto tra
Macedonia e Italia a prezzi concordati (70 euro andata e ritorno).
Uno dei produttori di Langa, che si
serve saltuariamente di cooperative, mi ha detto testualmente questo: «Se
venisse mai Report in Langa qui salterebbe tutto, perché è davvero uno schifo».
Per una volta questa funzione d’inchiesta l’abbiamo voluta svolgere noi. Ci
sono tre aggettivi a cui siamo particolarmente affezionati: buono, pulito e
giusto. Il terzo ha la stessa dignità degli altri due. Non è l’ultima ruota del
carro, come non lo sono le persone che creano i vini che tanto amiamo e che tanto
celebriamo.
Se la situazione di schiavitù è così nel basso Piemonte, si può facilmente immaginare cosa accada nel resto d’Italia, magari in regioni in cui il prezzo delle uve e del vino è sensibilmente più basso…
Se la situazione di schiavitù è così nel basso Piemonte, si può facilmente immaginare cosa accada nel resto d’Italia, magari in regioni in cui il prezzo delle uve e del vino è sensibilmente più basso…