Lo spopolamento dei paesi dell’interno è un fenomeno in corso da
decenni. Ora, con più insistenza, emerge il calo totale degli abitanti
dell’Isola. L’ultimo report è stato stilato dal Centro studi della
Cna Sardegna: i risultati sono chiari: tra il 2009 e il
2013 sono stati 11
mila i sardi che
hanno lasciato la Sardegna, in larga parte giovani emigrati in cerca di
lavoro. Lo studio ha analizzato il saldo reale tra le entrate e le
uscite e così ha scoperto l’incongruità del dato ufficiale evidenziando un invecchiamento
sempre più marcato della popolazione della Sardegna, fenomeno esasperato da una
sempre più preoccupante “fuga di cervelli”.
I dati ufficiali. Nonostante
dopo il Censimento Istat del 2011 sia stato registrato ufficialmente un aumento
di oltre 26mila residenti in Sardegna tra il 2011 e il 2013 (da 1.637.846 a
1.663.859 ovvero l’1,6% in più in appena due anni), tale incremento (peraltro
in controtendenza rispetto al periodo 2008-2011 caratterizzato da un calo
demografico di quasi 5mila abitanti) è stato solo un incremento virtuale,
ovvero un aggiustamento contabile dovuto all’attività post-censuaria delle
anagrafi comunali. Analizzando nel dettaglio i dati ufficiali dell’Istat,
l’associazione artigiana ha infatti rilevato che la sorprendente e improvvisa
crescita della popolazione sarda non è dovuta ad un incremento effettivo di
popolazione, ma piuttosto alle operazioni di verifica condotte dalle anagrafi
comunali in seguito all’ultimo Censimento della popolazione e delle abitazioni,
che dal 9 ottobre 2011 al 31 dicembre 2013, hanno portato al virtuale reinserimento nelle
liste anagrafiche di 28.716 residenti, contabilizzandoli come
iscritti e cancellati per “altri motivi”, e che un po’ brutalmente si possono
considerare individui “sfuggiti alle rilevazioni
censuarie”. Viceversa, in base al bilancio tra iscrizioni e
cancellazioni per nascita, morte e trasferimento di residenza, alla vigilia
dell’ultimo censimento (8 ottobre 2011) le statistiche ufficiali contavano
1.675.263 residenti, mentre con le operazioni censuarie ne sono stati rilevati
1.639.362: in pratica quasi 36mila abitanti in meno, una parte dei quali (quasi
29mila) sono poi stati reinseriti con le successive operazioni di verifica
delle liste anagrafiche.
Dunque, secondo l’ufficio studi della Cna, al netto di questi
artifici contabili che non corrispondono a un reale movimento della
popolazione, l’andamento
demografico della Sardegna conferma le tendenze in calo emerse già a partire
dal 2008.
Nel periodo 2011-2013 il saldo
migratorio positivo (2553
stranieri residenti in più) non è infatti riuscito a bilanciare gli effetti di
un saldo naturale
fortemente negativo, che dalla data dell’ultimo censimento
(ottobre 2011) al dicembre 2013 ha fatto registrare 6.772 morti in più delle
nascite con il conseguente calo di 4.219 abitanti (-0,3%). Questo decremento
trova conferma, peraltro, nel dato provvisorio riferito ad agosto 2014 che
fissando la popolazione pari a 1.661.723 residenti definisce un ulteriore calo
di 2.136 abitanti.
Gli scenari demografici fino al 2035
Per meglio comprendere il fenomeno del calo demografico in
regione, la CNA Sardegna ha elaborato tre
diversi scenari di evoluzione della
popolazione: uno ottimista (miglioramento delle condizione economiche e
inversione dei flussi, che diventano positivi), uno pessimista (prosecuzione
degli attuali trend negativi) e uno mediano (azzeramento dei flussi). E’
risaputo che la crisi economica in Sardegna si è manifestata con particolare
intensità. Nel terzo trimestre 2014 il tasso di disoccupazione è giunto al
19,1%, quasi il doppio del dato nazionale (11,8%) e la disoccupazione giovanile
(15-24 anni) nel 2013 ha sfiorato il 54,2%, contro il 40% dell’Italia. Tuttavia
– evidenzia l’associazione artigiana – quasi
mai è stato messo in risalto come la difficoltà di inserimento occupazionale
dei più giovani stia innescando un massiccio esodo di popolazione. Un
fenomeno che, se non contrastato, è destinato ad avviare un processo di declino
socio-economico che, in Regione, rischia di diventare veramente
“irreversibile”.
Gli anziani, i bimbi che non ci sono. la ricerca
della Cna sottolinea che il punto di partenza della nostra regione è già di per
sé estremamente problematico. L’evoluzione delle condizioni economico-culturali
ha abbassato infatti il
valore di fecondità in Sardegna ad 1,1 figli per donna (2013) assai sotto il livello di
sostituzione (2,1). In secondo luogo, il graduale invecchiamento delle generazioni
degli anni ’50 e ’60 (gli anni del boom economico e demografico) ha determinato
uno squilibrio generazionale di vastissima portata con una componente
anziana di ultrasessantacinquenni ormai arrivata a rappresentare oltre un
quinto della popolazione regionale (era l’11% nel 1985).
Le diverse ipotesi sui flussi migratori (che
riguardando in prevalenza giovani sardi)hanno un impatto
soprattutto sulla dinamica delle nascite e non sulle morti (stabili intorno a 20 mila all’anno),
con una forchetta tra ipotesi bassa ed ipotesi alta variabile tra gli 8mila ed
i 10mila nuovi nati in Sardegna all’anno. In altre parole, in tutte le ipotesi
di scenario tra 2015 e 2035 la popolazione complessiva è destinata
inevitabilmente a ridursi. L’entità del calo varia però
consistentemente: 95mila residenti in meno dell’ipotesi alta, quella ottimista
(-5,7%); 130mila dell’ipotesi centrale, ovvero quella mediana (-7,8%); fino a 173mila residenti in
Sardegna in meno nell’ipotesi più pessimista(-10,4%), vale a
dire una città intera più grande di Cagliari scomparsa dall’Isola.
La ricerca cerca di analizzare la situazione andando oltre il
dato assoluto del calo totale della popolazione. Quello che conta maggiormente,
infatti, è il differente assetto della struttura demografica che si verrebbe a
creare, con una
componente anziana che dal 22% della popolazione complessiva (era l’11% nel 1985), considerando
anche solo lo scenario centrale (azzeramento dei flussi di giovani sardi in
uscita), potrebbe arrivare al 34%(addirittura 36% nell’ipotesi
bassa) contro le stime nazionali che definiscono valori inferiori al 29%.
Ma solo rapportando la popolazione in età non lavorativa
(oltre 64 anni e meno di 15) con la popolazione potenzialmente attiva,
sottolinea la ricerca, ci si rende realmente conto di quanto la sostenibilità del
sistema socio-economico regionale potrebbe raggiungere livelli estremamente
critici, ben più allarmanti della seppur problematica
situazione media nazionale.
Infatti l’indice di dipendenza strutturale potrebbe arrivare,
nell’ipotesi peggiore, ad un valore del 78% (72% nell’ipotesi più ottimista): in altre parole
– dichiarano Pierpaolo Piras e Francesco Porcu, rispettivamente
presidente e segretario regionali di CNA – tra vent’anni quasi 8
residenti in Sardegna in età non lavorativa (anziani a cui sommare la popolazione
con meno di 15 anni) saranno
“a carico” di dieci persone in età lavorativa(15-64 anni), e se
si considera il tradizionalmente basso tasso di partecipazione della componente
femminile al mercato del lavoro (in Regione oggi solo una donna su due è
attiva, contro una media nazionale del 54% e di oltre il 60% del Centro-Nord)
si capisce di quanto la
sostenibilità del sistema socio-economico della Sardegna sarà messa veramente a
durissima prova sia
in termini previdenziali (si tenga presente che la situazione economica
attuale, in termini di disoccupazione, salari e welfare critico per i più
giovani, si riverbererà nella previdenza di domani, cioè in livelli
pensionistici sempre più critici), socio-economici (necessità di sopperire con
il tessuto sociale alla mancanza di strutture di sostegno ed assistenza per i
più anziani, carico sulle strutture sanitarie, spesa farmaceutica regionale,
ecc.), o puramente economici, ovvero, in una visione complessiva, una ancora
minore competitività territoriale. Per inciso, al livello nazionale, anche
nell’ipotesi più negativa, il tasso di dipendenza strutturale non andrà al di
sopra del 72%.
La proposta. «Il calo delle nascite e la crescita
del numero dei morti sta provocando un inesorabile processo di invecchiamento
della nostra struttura demografica – commentano Piras e Porcu –. In appena un decennio la Sardegna
ha registrato un calo del 9% della popolazione in età feconda (75mila abitanti
in meno nella classe 15 e 49 anni tra 2003 e 2013) e a un incremento del 31%
degli ultrasessantacinquenni (oltre 83mila in più nello stesso periodo). Questo
fenomeno, determinato dall’evoluzione della struttura demografica, ha trovato
in Sardegna un fattore di accelerazione nella crisi economica che ha portato a
un riacutizzarsi del drammatico fenomeno dell’emigrazione: oltre al calo
demografico tra il 2009 ed il 2013 sono stati infatti registrati in Sardegna
oltre 11mila residenti in meno per cambio di residenza, in gran parte giovani
in cerca di lavoro. Occorre che la Regione prenda finalmente atto di queste
dinamiche e si adoperi per rilanciare la crescita economica e lo sviluppo,
unica condizione per poter offrire ai nostri giovani opportunità di lavoro e
formazione».