L’ipermercato, i punti vendita (store), il cinema
multisala, i ristoranti e i pub, la palestra e il centro benessere, sono tutti
inglobati nello stesso complesso, situato strategicamente vicino all’uscita
autostradale e alla stazione ferroviaria; al suo interno vi è un residence e a
pochissimi chilometri - facilmente raggiungibili - ci sono altre grosse
strutture commerciali come Carrefour, Ikea, Castorama, Comet: in questo
contesto, il classico centro commerciale si evolve in un vero e proprio
“distretto commerciale”.
Molti esempi di questa nuova realtà riempiono l’Emilia-Romagna: da Savignano sul Rubicone ai Lidi ferraresi, da Rimini a Ravenna a Ferrara.
E non solo. Madrid offre piscina e pista di sci dentro uno shopping village. A Vienna, una muraglia di insegne s’affaccia sull’autostrada formando un quartiere commerciale che attira il consumatore, proponendogli anche un museo e molti altri tipi di intrattenimento: concerti, arte di strada, lezioni di ballo, giochi per bambini, feste e mostre, per un totale coinvolgimento emotivo e culturale. Nei paesi dell’Europa dell’est, le scritte della propaganda comunista sono state sostituite da giganteschi cartelloni pubblicitari che indirizzano verso queste cittadelle del consumo fast, easy e low cost.
La prima conseguenza di un siffatto fenomeno mercantilista è una trasformazione: il “cittadino del centro storico” diviene “consumatore del centro commerciale”; tale mutamento è stato colto, fra gli altri, anche dal settimanale Economist, che ha posto la questione se il carrello della spesa abbia preso il posto della cabina elettorale. L’esposizione prosegue poi con una descrizione delle diverse forme distributive utilizzate dal moderno commercio organizzato e una breve esposizione della storia, del pensiero e dei fatti che hanno caratterizzato - e caratterizzano tutt’ora - i principali marchi della GDO, quali Coop, Esselunga, Auchan, Carrefour, Mediaworld, Lidl, McDonalds, Wal-Mart, IKEA e tanti altri; procedendo fra gli shopping center, gli outlet, i mall, e i village retail che li ospitano, viene proposta un’analisi critica di questi templi del consumo, oggi assurti al ruolo di protagonisti egemoni del panorama commerciale nazionale.
In Italia, infatti, si contano attualmente circa 850 centri commerciali, a cui se ne aggiungono altri 50 in corso di realizzazione o in fase di apertura nei prossimi cinque anni, con una forte concentrazione al centro e al sud, nelle periferie e nei centri storici. In questi luoghi, la grande distribuzione organizzata è conduttrice di rigide logiche capitalistiche, lavoro precario, soppressione delle piccole attività locali o di prossimità, danni ambientali e disintegrazione dei tradizionali legami comunitari.
Al riguardo, il sociologo Renato Curcio, nei suoi tre libri Il consumatore lavorato, Il dominio flessibile e L’azienda totale, denuncia azioni di sfruttamento e licenziamento praticate dalla GDO, in particolare dalla catena Esselunga. Qualche anno fa quest’ultima insegna, per rilanciare la sua immagine sociale, stipulò un accordo commerciale con CTM-Altromercato per la fornitura di prodotti appartenenti al circuito del commercio equo e solidale, tra cui banane provenienti dall’Equador. L’intesa, tuttavia, durò solo pochi mesi, dato che Esselunga decise all’improvviso di tagliare gli ordini in quanto la logica della competitività, delle strategie aziendali di breve periodo e del profitto prevalsero aggressivamente sull’economia solidale.
Ma la GDO non si limita ad assumere semplicemente le sembianze ingannatrici dell’azienda socialmente responsabile; una componente fondamentale della sua politica dell’immagine si basa sulle innumerevoli e incessanti iniziative volte a conquistare l’affezione dei clienti, per indurli ad acquistare sempre di più attraverso carte fedeltà, sconti, premi, raccolte punti, “paghi 1 prendi 2”, carrelli più grandi, merchandising, prezzi low cost, percorsi prestabiliti e molte altre trovate pubblicitarie inibitrici della capacità critica dei consumatori.
Questi ultimi sono poi sorvegliati da telecamere onnipresenti, che hanno il compito di individuare eventuali ladruncoli – certo – ma soprattutto di spiare e analizzare il comportamento della clientela effettiva e potenziale.
Inoltre, con il sistema del self-service - dal montaggio del mobile con brugola e cacciavite alla prezzatura in tempo reale degli acquisti tramite i dispositivi salvatempo – l’utente del supermarket è diventato un lavoratore non retribuito e produttore di plusvalore per l’azienda.
Di sicuro, con la GDO è già pronto un futuro fatto di totalizzanti tecniche di controllo e di fidelizzazione. Ad esempio, Wal-Mart ha munito il suo impero di un sistema bancario proprio, utilizzato per i rapporti con i fornitori, e ha intenzione di aprire 2000 ambulatori low cost dove infermieri professionali saranno in grado di fornire assistenza medica per le piccole patologie e consigliare i farmaci da acquistare all’ipermercato. Coop dispone già di diverse farmacie all’interno dei punti vendita e di sportelli per gestire il risparmio e - mediante la Telecom - è entrata nel mercato della telefonia mobile con il marchio CoopVoce. Oggi all’Iper è possibile acquistare anche l’automobile SUV DrMotor all’imbattibile prezzo di 16.000 euro oppure stipulare contratti per la fornitura di energia elettrica o il pieno di benzina. Banca, petrolio, farmaci, telecomunicazioni ed energia sono i nuovi obiettivi della moderna distribuzione, che avanza puntando verso tutto quello che può diventare consumo di massa. In Italia, le liberalizzazioni sancite dalla legge Bersani agevolano decisamente queste tendenze che, se a una prima occhiata sembrano avvantaggiare il consumatore, in ultima analisi fanno spudoratamente il gioco delle lobby commerciali e dei gruppi di potere.
Nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, Karl Marx scriveva: «Ogni uomo s’ingegna a procurare all’altro uomo un nuovo bisogno, per costringerlo a un nuovo sacrificio, per ridurlo a una nuova dipendenza e spingerlo a un nuovo modo di godimento e quindi di rovina economica».
Lo slogan “lavora, consuma, crepa” si adatta perfettamente alla situazione odierna di un consumatore che acquista beni indotti, di scarsa utilità e provenienti da paesi distanti migliaia di chilometri, come la Cina comunista - che paradossalmente è diventata la “classe operaia” dell’opulento occidente. Per rendere l’idea degli sprechi causati da questa catena, basti dire che un carrello con 26 prodotti alimentari percorre quasi 250.000 chilometri e produce 80 chili di gas serra prima di giungere al consumatore finale.
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Molti esempi di questa nuova realtà riempiono l’Emilia-Romagna: da Savignano sul Rubicone ai Lidi ferraresi, da Rimini a Ravenna a Ferrara.
E non solo. Madrid offre piscina e pista di sci dentro uno shopping village. A Vienna, una muraglia di insegne s’affaccia sull’autostrada formando un quartiere commerciale che attira il consumatore, proponendogli anche un museo e molti altri tipi di intrattenimento: concerti, arte di strada, lezioni di ballo, giochi per bambini, feste e mostre, per un totale coinvolgimento emotivo e culturale. Nei paesi dell’Europa dell’est, le scritte della propaganda comunista sono state sostituite da giganteschi cartelloni pubblicitari che indirizzano verso queste cittadelle del consumo fast, easy e low cost.
La prima conseguenza di un siffatto fenomeno mercantilista è una trasformazione: il “cittadino del centro storico” diviene “consumatore del centro commerciale”; tale mutamento è stato colto, fra gli altri, anche dal settimanale Economist, che ha posto la questione se il carrello della spesa abbia preso il posto della cabina elettorale. L’esposizione prosegue poi con una descrizione delle diverse forme distributive utilizzate dal moderno commercio organizzato e una breve esposizione della storia, del pensiero e dei fatti che hanno caratterizzato - e caratterizzano tutt’ora - i principali marchi della GDO, quali Coop, Esselunga, Auchan, Carrefour, Mediaworld, Lidl, McDonalds, Wal-Mart, IKEA e tanti altri; procedendo fra gli shopping center, gli outlet, i mall, e i village retail che li ospitano, viene proposta un’analisi critica di questi templi del consumo, oggi assurti al ruolo di protagonisti egemoni del panorama commerciale nazionale.
In Italia, infatti, si contano attualmente circa 850 centri commerciali, a cui se ne aggiungono altri 50 in corso di realizzazione o in fase di apertura nei prossimi cinque anni, con una forte concentrazione al centro e al sud, nelle periferie e nei centri storici. In questi luoghi, la grande distribuzione organizzata è conduttrice di rigide logiche capitalistiche, lavoro precario, soppressione delle piccole attività locali o di prossimità, danni ambientali e disintegrazione dei tradizionali legami comunitari.
Al riguardo, il sociologo Renato Curcio, nei suoi tre libri Il consumatore lavorato, Il dominio flessibile e L’azienda totale, denuncia azioni di sfruttamento e licenziamento praticate dalla GDO, in particolare dalla catena Esselunga. Qualche anno fa quest’ultima insegna, per rilanciare la sua immagine sociale, stipulò un accordo commerciale con CTM-Altromercato per la fornitura di prodotti appartenenti al circuito del commercio equo e solidale, tra cui banane provenienti dall’Equador. L’intesa, tuttavia, durò solo pochi mesi, dato che Esselunga decise all’improvviso di tagliare gli ordini in quanto la logica della competitività, delle strategie aziendali di breve periodo e del profitto prevalsero aggressivamente sull’economia solidale.
Ma la GDO non si limita ad assumere semplicemente le sembianze ingannatrici dell’azienda socialmente responsabile; una componente fondamentale della sua politica dell’immagine si basa sulle innumerevoli e incessanti iniziative volte a conquistare l’affezione dei clienti, per indurli ad acquistare sempre di più attraverso carte fedeltà, sconti, premi, raccolte punti, “paghi 1 prendi 2”, carrelli più grandi, merchandising, prezzi low cost, percorsi prestabiliti e molte altre trovate pubblicitarie inibitrici della capacità critica dei consumatori.
Questi ultimi sono poi sorvegliati da telecamere onnipresenti, che hanno il compito di individuare eventuali ladruncoli – certo – ma soprattutto di spiare e analizzare il comportamento della clientela effettiva e potenziale.
Inoltre, con il sistema del self-service - dal montaggio del mobile con brugola e cacciavite alla prezzatura in tempo reale degli acquisti tramite i dispositivi salvatempo – l’utente del supermarket è diventato un lavoratore non retribuito e produttore di plusvalore per l’azienda.
Di sicuro, con la GDO è già pronto un futuro fatto di totalizzanti tecniche di controllo e di fidelizzazione. Ad esempio, Wal-Mart ha munito il suo impero di un sistema bancario proprio, utilizzato per i rapporti con i fornitori, e ha intenzione di aprire 2000 ambulatori low cost dove infermieri professionali saranno in grado di fornire assistenza medica per le piccole patologie e consigliare i farmaci da acquistare all’ipermercato. Coop dispone già di diverse farmacie all’interno dei punti vendita e di sportelli per gestire il risparmio e - mediante la Telecom - è entrata nel mercato della telefonia mobile con il marchio CoopVoce. Oggi all’Iper è possibile acquistare anche l’automobile SUV DrMotor all’imbattibile prezzo di 16.000 euro oppure stipulare contratti per la fornitura di energia elettrica o il pieno di benzina. Banca, petrolio, farmaci, telecomunicazioni ed energia sono i nuovi obiettivi della moderna distribuzione, che avanza puntando verso tutto quello che può diventare consumo di massa. In Italia, le liberalizzazioni sancite dalla legge Bersani agevolano decisamente queste tendenze che, se a una prima occhiata sembrano avvantaggiare il consumatore, in ultima analisi fanno spudoratamente il gioco delle lobby commerciali e dei gruppi di potere.
Nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, Karl Marx scriveva: «Ogni uomo s’ingegna a procurare all’altro uomo un nuovo bisogno, per costringerlo a un nuovo sacrificio, per ridurlo a una nuova dipendenza e spingerlo a un nuovo modo di godimento e quindi di rovina economica».
Lo slogan “lavora, consuma, crepa” si adatta perfettamente alla situazione odierna di un consumatore che acquista beni indotti, di scarsa utilità e provenienti da paesi distanti migliaia di chilometri, come la Cina comunista - che paradossalmente è diventata la “classe operaia” dell’opulento occidente. Per rendere l’idea degli sprechi causati da questa catena, basti dire che un carrello con 26 prodotti alimentari percorre quasi 250.000 chilometri e produce 80 chili di gas serra prima di giungere al consumatore finale.
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