domenica 30 aprile 2017

Non era mai accaduto prima - Maria Rita D'Orsogna

 


Per la prima volta nella storia 410 ppm di anidride carbonica in atmosfera e per colpa nostra: sono condizioni che il pianeta non ha mai sperimentato prima. Ok, almeno fino a 800.000 anni fa. Ottocento mila. Perché è lì che possiamo fermarci con le “predizioni a ritroso”. Ma che sia mai o che siano ottocento mila non cambia niente.
Abbiamo concentrazioni di anidride carbonica a 410 ppm, con tassi di aumento galoppanti. La stampa scritta ne ha parlato? Il telegiornale ne ha parlato? I politici ne hanno parlato? Forse non ci si rende conto di cosa questo significhi. Significa che la terra e le condizioni di vita così come le conosciamo, presto non ci saranno più. Vita animale, vegetale e anche umana. Tutto cambierà. Ci sarà più calore che resta intrappolato nella nostra atmosfera, più squilibri, più eventi estremi, più disastri climatici, più terre che scompaiono, più livelli oceanici fuori dalla norma.

La concentrazione di 410 ppm è stata misurata alle Hawaii, presso l’ossservatorio Mauna Loa dal cosiddetto Keeling Curve, un programma gestito dallo Scripps Institution of Oceanography presso  l’Università di California a San Diego. Solo un anno fa eravamo arrivati a 400 ppm. Fino a pochi anni fa si parlava di contenere gli aumenti a 350 ppm. E invece guarda.I cambiamenti continuano, e anzi, accelerano pure. Addirittura, questo livello di 410 ppm è stato raggiunto prima ancora dell’estate, quando di solito il valori sono più alti. Cioé, la quantità di anidride carbonica aumenterà ancora nei mesi a venire.
Interessante che invece di correre ai ripari, non facciamo niente.
Si, c’è un presidente statunitense negazionista che si è circondato di negazionisti e che invece di pensare a come risolvere *il problema che definisce questa generazione* e cioé i cambiamenti climatici, dice che occorre che l’uomo arrivi su Marte, entro il suo secondo mandato. Ma noi altri? Dov’é la pressione che mettiamo ai nostri politici? Dove é il nostro ardore? Dov’è il  nostro scandalo? La principale fonte di CO2 in atmosfera resta l’uso smisurato di petrolio, gas e carbone. Dovremmo parlare di no trivelle tutti i santi giorni, e non solo perché l’Eni è corrotta o perché a Viggiano ci si ammala, ma perché con questa folle corsa all’estrazione delle fonti fossili stiamo distruggendo l’unico pianeta che abbiamo. E dunque, con ogni trivella in più, con ogni minuto che restiamo nella fossil fuel economy, ci stiamo avvelenando un pochino di più ogni giorno.
Come detto, mai prima d’ora, abbiamo avuto un’atmosfera cosi ricca di carbone. Mai.
Una economia 100 per cento rinnovabile è possibile. Tutti i giorni raccontiamo qui storie virtuose di comunità solarizzate, progressi nell’eolico, e del desiderio di cambiare lo status quo. Occorre volerlo di più, occorre protestare, occorre non avere paura di svergognare Eni e compari, occorre  volere che le nostre città disinvestano dalle fossili, occorre che il petrolio diventi un relitto del passato.
Ne abbiamo uno solo di pianeta. Occorre fare sul serio.

Orti condivisi in città. Urbi et Horti - Paolo Cacciari


La lattaia del rione Valmaura apre presto la mattina. Qui si può ancora prendere il latte e il pane e dire: “Segna”. Si pagherà a fine settimana. In tanti passano per la sua piccola bottega a bere il primo caffè. Saluti e ciacole continuano appena fuori in un triangolino di terra di nessuno, tra la strada e il sottopasso. Gli ortolani volontari di quartiere ci hanno ricavato un giardinetto, piantato degli arbusti e posizionato due panchine. Siamo a Trieste in uno dei popolari quartieri sulle colline che si affacciano sul Golfo.
Da qualche anno in città è partito un movimento spontaneo che va in cerca di aree non o male utilizzate e si propone di trasformarle in aree comuni affidate in gestione a gruppi di persone del posto. Il progetto si chiama Urbi et Horti. È guidato da Bioest, dall’Associazione per l’agricoltura biologica, da Legambiente e ha l’aiuto del Centro dei Servizi del Volontariato regionale. A tutt’oggi sono stati realizzati ventisei orti coltivati da duecentocinquanta nuovi contadini urbani.
Ogni orto ha un nome, dei responsabili e presenta specifiche caratteristiche. Molti sono piccoli (venti-quaranta metri quadrati) di proprietà di persone anziane che non hanno più la possibilità di tenerli in ordine. Altri sono veri e propri orti collettivi, coltivati da più persone, sede di corsi di orticultura e giardinaggio. A Le Piane il Comune ha concesso mille metri quadrati e varie associazioni vengono qui a lavorare la terra con persone svantaggiate. A Parchorto è stato creato un orto a spirale sinergico. A Vicolo delle Rose su cinquemila metri quadrati a terrazzamenti con vista sul mare c’è un vero bosco con alberi centenari, area giochi, un forno a legna. Al quartiere di edilizia popolare Zindis c’è un orto di condominio. A Giarizzole un’area degradata è stata trasformata in un orto scuola.
La formula adottata per regolare i rapporti con i privati è quella del comodato d’uso gratuito per cinque anni. In contropartita il proprietario ha il diritto di partecipare al gruppo di coltivazione e ottenere una quota parte del raccolto; “come ogni altro partecipante”, tengono a sottolineare nell’atto di sottoscrizione. Nei periodi di raccolta si assistono a strane forme di scambio delle eccedenze produttive mediate dai Gruppi di acquisto solidali alle fermate degli autobus e al banco dei prodotti biologici del vecchio mercato coperto: zucchine contro pomodori; mazzi di fiori contro albicocche e così via. Poche, ma importanti, le regole condivise per le coltivazioni: niente sostanze chimiche secondo i metodi biologici, niente recinzioni interne tra gli appezzamenti: Omnia sunt communia. Le associazioni capofila forniscono agli ortolani volontari i sostegni tecnici e le consulenze necessarie: un maestro contadino, un maestro potatore, un architetto, un coordinatore del Distretto di economia solidale e anche un medico fisiatra.
Tiziana, una delle persone che più ha creduto nel progetto degli orti comuni, ce li spiega così:
“Si creano luoghi di incontro tranquilli e salutari, con una particolare intensità di relazioni e densità culturale”.

sabato 29 aprile 2017

Un cane in gabbia ci da' lezioni di libertà - Carlo Gubitosa



Osservando questo video, questo cane ci da' importanti insegnamenti sulla libertà:

Fase 1: Il cane che preme sulla porta scondinzolando con inquietudine anzichè stare fermo e passivo come gli altri.

Insegnamento: Per essere liberi bisogna essere innamorati della libertà, essere in continua tensione verso la libertà, combattere la rassegnazione e la passivizzazione che colpisce chi viene privato della libertà.

Fase 2: Il cane che trova il modo giusto di mettere le zampe per arrampicarsi sulle reti.

Insegnamento: La libertà non è' gratis, ma richiede fantasia e atteggiamento creativo, ed e' frutto di studio dei problemi, ragionamenti fuori dagli schemi, ricerca di nuovi percorsi.

Fase 3: Il cane si arrampica faticosamente.

Insegnamento: La libertà non è qualcosa che va preteso dagli altri, ma qualcosa che va conquistato in prima persona, richiede uno sforzo e una fatica che non possono essere aggirati e non consentono scorciatoie.

Fase 4: Il cane sfonda il tetto.

Insegnamento: La conquista della libertà, quando ci viene negata da strutture esterne oppressive, richiede di forzare i limiti esterni, mettere in discussione le regole dello status quo, cercare spiragli di lotta nonviolenta dove far leva per affermare se stessi, aprire degli spazi per una nuova visione del mondo che consente di arrivare a nuove regole più giuste, spostare i limiti, migliorare le condizioni di vita di chi si libera.

Fase 5: Il cane resta appollaiato per qualche istante in cima al canile perche' il salto gli sembra troppo alto.

Insegnamento: Per alcuni la libertà può essere una fonte di ansia, paura e angoscia associate all'incertezza, al rischio, alle incognite di quello che ci aspetta fuori della gabbia, dove possiamo cadere, farci male, essere esposti ai pericoli. Questo porta molte persone ad accettare la schiavitù come prezzo da pagare per la tranquillità e un falso senso di sicurezza, e va ancora peggio a quelli che restano bloccati a metà strada tra l'oppressione e la libertà, e vivono al tempo stesso l'insofferenza di chi disprezza le situazioni vecchie e la paura di chi si sente troppo insicuro per cercare situazioni nuove.

Fase 6: Il cane trova il coraggio di saltare.

Insegnamento: Quando in noi la tensione verso la libertà diventa più forte della paura, riusciamo a spiccare il volo verso una nuova vita, e scopriamo che i fantasmi che ci spaventavano esistevano solo nella nostra testa, che siamo perfettamente in grado di fare quel salto che ci sembrava così alto e pericoloso, e che tuffandoci nel mondo reale non ci sbarazziamo solo delle nostre gabbie fisiche, ma anche della nostra gabbia mentale che ci teneva prigionieri delle nostre paure anche quando avevamo superato i limiti imposti dalle costrizioni esterne.


L'augurio che faccio a tutta l'umanità è quello di poter vivere l'esperienza inebriante di sentirci liberi come questo cane: pieni di tensione creativa e liberante, sicuri per la conoscenza dei problemi e degli strumenti per superarli, protagonisti del nostro destino, capaci di affrontare i rischi che accompagnano qualunque esistenza, più forti delle nostre paure, felici per i grandi risultati che possiamo ottenere se smettiamo di considerarci degli impotenti cani ingabbiati.

venerdì 28 aprile 2017

Frutta al veleno - Sharon Lerner


I lunedì Magda e Amilcar Galindo portano la loro figlia Eva a un corso di autodifesa. Eva ha 12 anni ma il suo sorriso fiducioso e le sue treccine ad arco la fanno sembrare più giovane. Diagnosticata di autismo e di sindrome da deficit di attenzione e iperattività, o ADHD, Eva non apprende e non si comporta come una dodicenne tipica. Lotta per cambiare e ha bisogno di aiuto per leggere e in situazioni sociali. I compagni di classe di Eva spesso non sono gentili con lei e Magda è preoccupata per i sentimenti e la sicurezza di sua figlia. Così una volta alla settimana, dopo averla portata in auto dalla scuola media a Modesto, California, al suo tutore nella vicina Riverbank, i Galindo si affrettano alla palestra dove fanno il tifo per Eva mentre lei combatte con un sacco pesante e tira pugni in aria con le sue braccia magre.
I Galindo vorrebbero aver potuto proteggere la loro figlia da qualsiasi cosa abbia causato i suoi problemi, iniziati nell’infanzia, quando urlava incessantemente. Crescendo, è stata lenta nel parlare e nel fare amicizie. Nove anni fa, quando il suo pediatra le ha diagnosticato l’autismo, questi ha detto loro che nessuno sapeva davvero perché i bambini sviluppavano quei problemi. E per certi versi ciò è tuttora vero; sia le cause di queste situazioni di sviluppo neurologico sia il loro aumento tra i bambini statunitensi restano misteriose.
Ma uno studio cui la famiglia ha partecipato quando Eva aveva tre anni ha indicato un possibile responsabile: il clorpirifos, un pesticida usato diffusamente che era stato spruzzato vicino alla loro casa quando Magda era incinta. All’epoca la famiglia viveva a Salida, una piccola cittadina della California centrale, circondata da campi di mandorle, mais e pesche. I Galindo potevano vedere i campi coltivati giusto di là della strada dalla loro casa. E Magda poteva sentire il loro odore dal patio dove trascorreva gran parte della sua gravidanza. A volte il distinto odore di letame di mucca riempiva l’aria. Altre volte avvertiva l’odore della fermentazione di fertilizzanti. E c’era anche un terzo odore, “l’odore della chimica” ha detto la Galindo. “Lo si distingue, è diverso dal pacciame e dal letame. Quando lo irroravano l’odore era diverso.”
Nel 2014 il primo e più completo esame delle cause ambientali dell’autismo e del ritardo nello sviluppo, noto come lo studio CHARGE, ha scoperto che l’applicazione prossima di pesticidi agricoli aumenta di molto il rischio di autismo. Le donne che vivevano a meno di un miglio da campi dove era irrorato il clorpirifos nel corso del secondo trimestre della loro gravidanza, come accaduto a Magda, avevano più che triplicata la probabilità di partorire un figlio autistico. Ed era solo uno di dozzine di studi recenti che hanno collegato anche piccole quantità di esposizione fetale al clorpirifos a problemi di sviluppo neurologico, compreso l’ADHD, deficit d’intelligenza e difficoltà di apprendimento.
Il 10 novembre l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente statunitense ha pubblicato un innovativo rapporto che espone i gravi pericoli del clorpirifos. La “Valutazione Aggiornata dei Rischi del Clorpirifos per la Salute Umana”, come è stata chiamata, ha esposto le prove che il pesticida può causare deficit di intelligenza e di attenzione, di memoria e problemi motori nei bambini. Secondo il rapporto i bambini di uno e due anni rischiano esposizioni dal solo cibo che sono del 14.000 per cento superiori al livello che oggi l’agenzia considera sicuro.
La Dow, il gigante della chimica che ha brevettato il clorpirifos e che tuttora produce la maggior parte dei prodotti che lo contengono, ha costantemente contestato la montante evidenza scientifica che la sua sostanza chimica di successo causi danni ai bambini. Ma il rapporto governativo ha reso chiaro che l’EPA ora accetta i dati scientifici indipendenti che mostrano che il pesticida usato per coltivare così tanto del nostro cibo è insicuro. La “copia pre-pubblicazione” del rapporto affermava che “residui di clorpirifos nella maggior parte dei singoli raccolti alimentari supera gli standard di sicurezza di ‘ragionevole certezza di non nocività’ stabiliti dalla Legge Federale su Cibo, Sostanze e Cosmetici”, il che significa, in parole povere, che ogni dato campione di cibo può contenere livelli pericolosi di clorpirifos. Inoltre esposizioni stimate di acqua potabile e non potabile alla sostanza chimica superano anch’esse gli standard di sicurezza. Il passo successivo consisteva per formalizzare un divieto del clorpirifos.
Promotori della salute pubblica hanno sollecitato per anni l’EPA a mettere al bando il pesticida. Quattro mesi prima dell’uscita del rapporto, un gruppo di 47 scienziati e medici con competenza nello sviluppo cerebrale infantile, compreso il direttore dell’Istituto Nazionale delle Scienze della Salute Ambientale, hanno diffuso un grave avvertimento che sostanze chimiche tossiche nell’ambiente stavano aumentando i rischi che i bambini sviluppassero problemi comportamentali, cognitivi e sociali e contribuivano all’aumento dei casi di autismo e di ADHD. La dichiarazione TENDR, come è stata chiamata, accludeva un elenco delle neurotossine peggiori e costituiva un appello disperato a un intervento immediato. I pesticidi organofosforici, la classe di sostanze chimiche cui appartiene il clorpirifos, erano in cima alla lista.
Tuttavia quando è stato pubblicato il rapporto dell’EPA, indicante che l’agenzia stava finalmente agendo riguardo al clorpirifos, c’è stato poco di cui rallegrarsi tra gli scienziati e gli ambientalisti, perché due giorni prima Donald Trump aveva vinto le elezioni presidenziali.
Anche se la nuova valutazione del rischio era la tessera mancante necessaria per escludere il clorpirifos dalla catena alimentare e dalla fornitura di acqua, la legge prescrive un periodo di 60 giorni per i commenti prima che una tale decisione possa essere formalizzata. Trump si insedierà tre giorni dopo la fine del periodo dei commenti il 17 gennaio. La scadenza finale per includere i commenti nel rapporto è il 31 marzo 2017, concedendo alla nuova amministrazione quasi due mesi per far deragliare la normativa a lungo attesa.
Eva Galindo legge una rivista il 29 dicembre 2016 a Modesto, California – Foto di Shaun Lucas per The Internet
Il clorpirifos è “la Coca Cola dei coltivatori”, come me l’ha descritto un ex dipendente dell’Ufficio della California per i Pesticidi. “Lo usano tutti, là fuori”. In tutto il paese circa 44.000 coltivatori statunitensi, in totale, usano tra 6 milioni e 10 milioni di libbre di clorpirifos ogni anno su qualsiasi cosa, dal mais, alla soia, agli asparagi e alle pesche, alle fragole, ai broccoli, ai cavolfiori, alle cipolle, alle noci e ai mirtilli. Usato su più di metà di tutte le mele e i broccoli venduti negli USA, il clorpirifos arriva nella vasta maggioranza delle cucine statunitensi. La sostanza è stata trovata nel 15 per cento dei campioni d’acqua prelevati nel paese tra il 1991 e il 2012 dal Programma Nazionale di Valutazione della Qualità dell’Acqua dell’Osservatorio Geologico statunitense.
Numerosi agricoltori con i quali ho parlato al congresso sponsorizzato dalla Dow dei coltivatori di agrumi, hanno spiegato di aver usato il Lorsbanuno dei prodotti della Dow contenente clorpirifos, perché è uno dei prodotti più affidabili e accessibili per uccidere le formiche. I coltivatori speravano anche chiaramente che il pesticida, che uccide circa 400 specie diverse, avrebbe aiutato a combattere lo psillide asiatico degli agrumi, un insetto che succhia la linfa che ha ucciso alberi da frutta in tutto il paese.
Che il pesticida abbia potuto diventare uno strumento così diffusamente utilizzato è una testimonianza sia della deferenza che il governo ha mostrato nei confronti di grandi società, sia della mancanza di lungimiranza circa le conseguenze dell’irrorazione del nostro cibo con sostanze chimiche tossiche. Dopotutto, non ci sono mai stati grandi dubbi che gli organofosforici danneggino le persone. Il chimico tedesco Gerhard Schrader documentò per la prima volta gli effetti delle sostanze chimiche sul sistema nervoso umano mentre tentava di sviluppare pesticidi per proteggere gli alimenti per lo sforzo bellico nazista. Come Schrader segnalava nel 1936 dopo che lui e un collega si erano gravemente ammalati per una semplice goccia di un organofosforico caduta su un banco del laboratorio vicino a loro, le persone esposte soffocavano, tremavano, vomitavano e sudavano. Poiché l’esposizione a volte determinava attacchi epilettici, coma e morte, la scoperta diede origine all’utilizzo di organofosforici come armi e Schrader trascorse gran parte della guerra a produrre uno dei primi agenti nervini, il Tabun, in un laboratorio segreto nazista.
Più di due decenni dopo, la scrittrice ambientalista Rachel Carson descrisse gli effetti dei pesticidi organofosforici, o insetticidi organici fosforici, come li chiamò, in termini sinistramente simili a quelli di Schrader nel suo best seller del 1962 “Primavera silenziosa”: “Il loro bersaglio è il sistema nervoso, che la vittima sia un insetto o un animale a sangue caldo … I movimenti dell’intero corpo diventano scoordinati: ne seguono rapidamente tremori, spasmi muscolari, convulsioni e la morte”.
Persino allora i pesticidi organofosforici che si riteneva concentrassero il loro potere letale su scarafaggi, zecche, formiche e termiti, stavano chiaramente scatenando alcune delle stesse reazioni negli umani.
Il clorpirifos – e, quanto a questo, gli agenti nervini Sarin e Tabun – operano bloccando la colinesterasi, un enzima che scompone il neurotrasmettitore acetilcolina. Quando la colinesterasi non funziona correttamente, il sistema nervoso può andare in sovraccarico, poiché i nervi scaricano ripetutamente senza essere bloccati. Così, tra il momento in cui sono irrorati con organofosforici e quello della morte, gli scarafaggi diventano iperattivi, ipereccitabili e in preda a convulsioni. E, come la Carson descrisse delicatamente nel 1962, “le api mellifere diventano ferocemente agitate e bellicose”.
Anche se introdotto sul mercato nel 1965, l’uso del clorpirifos in agricoltura cominciò a decollare solo negli anni ’80 dopo che un altro gruppo di sostanze chimiche era stato gradualmente abbandonato a causa dei problemi che causava alla salute. La Carson, che morì di cancro all’età di 56 anni, solo 18 mesi dopo la pubblicazione di “Primavera silenziosa”, sarebbe indubbiamente rimasta sgomenta nel sapere che la messa al bando del DDT, di cui spesso le è dato il merito, aveva dato luogo al diffuso utilizzo di organofosforici, come il clorpirifos. Nel 1962 lei aveva già visto la follia della sostituzione di una sostanza neurotossica con un’altra e aveva indicato che il DDT era esso stesso un sostituto del pesticida arseniato di piombo, che era stato abbandonato perché anch’esso aveva causato problemi alla salute.
Col crescere dell’uso del pesticida, crebbero anche le preoccupazioni al suo riguardo. Nel 1988 il Congresso chiese all’Accademia Nazionale delle Scienze di verificare se i pesticidi nelle diete dei bambini potevano essere pericolosi. Il relativo rapporto descrisse una serie di danni che i pesticidi possono causare e segnalava che gli organofosforici hanno “conseguenze neurocomportamentali sottili e durature” negli animali. Quando fu presentato al Congresso nel 1993, l’epidemiologo Philip Landrigan, che dirigeva il comitato, avvertì che i bambini erano particolarmente vulnerabili e sollecitò il Congresso ad applicare standard più severi sui pesticidi.
I pericoli a più breve termine della sostanza chimica erano già evidenti nel 1996, quando il numero annuale di avvelenamenti da clorpirifos, che può causare contrazioni muscolari, tremori, biascicamento e persino paralisi e morte, riferiti ai Centri Controllo Veleni raggiunse i 7.000. Stava anche diventando chiaro che i bambini erano particolarmente sensibili al pesticida, che era disponibile in molti prodotti domestici usati per uccidere scarafaggi, termiti, pulci e altri insetti.
Vicki Herb lo apprese poco dopo aver portato dall’ospedale nella sua casa in West Virginia suo figlio in fasce. Joshua Herb erano nato sano nel 1990. Ma giorni dopo un disinfestatore arrivò per una visita regolarmente programmata e, non notando Joshua addormentato nella sua culla, spruzzò clorpirifos su un davanzale vicino, mentre il piccolo faceva un sonnellino. Nel giro di giorni Joshua finì parzialmente paralizzato. Anche se i medici che lo videro per la prima volta scartavano l’idea, Vicki Herb ritenne che suo figlio fosse stato avvelenato da pesticidi e nel 1992 assunse l’avvocato Stuart Calwell per citare in giudizio la Dow. Da allora le prove dei suoi pericoli – particolarmente per i bambini – sono andate montando.
La causa Herb, assieme a molte altre che Calwell avviò contro la Dow, fece più che rivelare quanto potentemente il clorpirifos poteva colpire i bambini. Portò anche alla luce quanto duramente la società avrebbe operato per proteggere il suo lucroso pesticida. Divenne presto chiaro che la strategia della Dow consisteva nel proteggere l’immagine pubblica del clorpirifos, promuovendo pesantemente la visione più positiva della sua sostanza chimica e attaccando la ricerca avversa.
Nel corso del processo di esibizione della documentazione nella causa Herb, Calwell chiese agli avvocati della Dow di fornire rapporti di eventi negativi collegati alla sostanza chimica, che alle società è prescritto dalla legge di depositare presso l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente. Gli avvocati della Dow gli dissero di ottenere i rapporti direttamente dall’EPA, secondo Calwell. Ma un giudice sostenne la richiesta di Calwell e la Dow fu costretta a consegnare più di 220 rapporti di incidenti, compresi avvelenamenti, che non aveva depositato presso l’agenzia. Calwell, che continuò a querelare numerosi casi di persone esposte al clorpirifos, ricorda ancora il giorno in cui gli avvocati della si presentarono in tribunale portando il raccoglitore marrone pieno dei rapporti.
Mentre la Dow celava al pubblico alcune delle informazioni più allarmanti sulla sua sostanza chimica, la sua ricerca mostrava il clorpirifos molto più sicuro. Anche se erano rassicuranti, gli studi della società erano anche “scientificamente privi di valore”, secondo il neuroscienziato e docente alla Stanford Robert Sapolsky. Calwell ingaggiò Sapolsky, un esperto della degenerazione delle cellule nervose e beneficiario di una borsa di studio MacArthur, per esaminare gli studi della Dow sul pesticida. Dopo averli letti, Sapolsky mi ha scritto in una email, fu “semplicemente sbalordito per quanto cattivo fosse il lavoro, quanto terribile era ogni aspetto di essi, dalla competenza a come gli studi erano stati condotti, a come i dati erano stati analizzati, a come tutto era stato poi interpretato”.
Alla fine Sapolsky ha arruolato una dozzina di neuroscienziati post-dottorato alla Stanford per esaminare sistematicamente quanta più documentazione della ricerca della società sul pesticida egli avesse potuto trovare. Secondo un rapporto non pubblicato da loro prodotto nel 2008-2009, tutti gli studi della Dow sul clorpirifos da loro esaminati contenevano degli errori e l’89 per cento conteneva errori che violavano le regole fondamentali della scienza. E non si trattava di errori distribuiti casualmente, secondo Sapolsky. “Ciascuno degli errori nei documenti era a favore della Dow”. Così cuciti su misura, gli studi della società “erano tutti testimonianze perfette dell’assoluta sicurezza della roba”, secondo il neuroscienziato.
La Dow ha propagandato pesantemente questa visione rosea del clorpirifos. Persino mentre manipolava i dati scientifici, raccoglieva notizie di casi di avvelenamento e respingeva reponsabilità legali per essi, la Dow – o Dowelanco, come era chiamata all’epoca – stava anche vantando la sicurezza del suo pesticida. “I più di vent’anni di utilizzo del pesticida che hanno visto milioni di applicazioni confermano che non c’è un singolo caso documentato di significativo effetto negativo sulla salute derivante dall’uso corretto degli insetticidi Dursban”, annunciava un opuscolo del 1991 sotto l’immagine di una donna con un bambino piccolo in grembo. “Il Dursban ha effetti a lungo termine?” chiedeva l’opuscolo prima di fornire la risposta: “No”.
Tali affermazioni erano, anche allora, palesemente false, come sostenne il procuratore generale di New York in una causa del 1991, accusando la società di pubblicità ingannevole. Citando i pericoli dei pesticidi e i particolari rischi posti ai bambini, la definizione della causa prescrisse alla Dowelanco di smettere immediatamente di usare tale linguaggio nel pubblicizzare i suoi prodotti contenenti clorpirifos, Dursban e Lorsban.
Ma la Dow si attenne alle sue affermazioni di sicurezza, persino quando ponevano la società in contrasto con la verità, e con la legge. Quasi immediatamente dopo aver sottoscritto un accordo riguardo alla prima causa promossa dal procuratore generale di New York, la Dow continuò a violarlo con altre affermazioni falsamente rassicuranti sul clorpirifos, secondo un’altra causa dell’ufficio del procuratore generale. La Dow pagò 2 milioni di dollari per risolvere tale causa nel 2003. Per l’ufficio del procuratore generale si trattava di una sanzione record. Per la Dow fu forse un piccolo prezzo da pagare per un decennio di messaggi rassicuranti.
Le vertenze legali sono state un costo solo modesto per la società. La Dow ha sistemato molte delle cause per avvelenamento e risulta aver pagato alla famiglia di Joshua Herb 10 milioni di dollari, che hanno contribuito a coprire la spesa dell’assistenza a tempo pieno a Joshua. E la scoperta da parte di Calwell che la Dow aveva nascosto informazioni critiche a proposito della sua sostanza chimica indussero l’EPA a sanzionare la società per 876.000 dollari nel 1995. Ma la società non ha mai ammesso alcun comportamento scorretto, persino nel caso di Joshua Herb, morto adolescente.
Alla fine degli anni ’90, quando la Dow aveva in corso negoziati con l’EPA riguardo al clorpirifos, più di 10 milioni di libbre del pesticida erano usate ogni anno sui raccolti. Nel 2000 gruppi di pressione, tra cui Beyond Pesticides e Californians for Pesticide Reform [rispettivamente, ‘Oltre i pesticidi’ e ‘ Californiani per la riforma dei pesticidi’ – n.d.t.] chiesero all’EPA di vietare del tutto la sostanza chimica, compreso il suo utilizzo in agricoltura. Ma la Dow minacciò di citare in giudizio l’agenzia se avesse tentato un divieto assoluto, secondo un tossicologo in pensione dell’EPA, di nome Jeremy Blondell.
“Hanno negoziato con noi e hanno detto: ‘Bene, non vi porteremo in tribunale’”, ha spiegato Blondell in un’intervista. La prospettiva di una lunga e costosa battaglia legale ha evidentemente dissuaso l’agenzia dall’andare avanti. “Se fossimo andati in tribunale, ci sarebbero voluti quattro o cinque anni”, ha detto Blondell. Invece nel 2000 l’agenzia ha sottoscritto un accordo con la Dow per l’abbandono graduale della maggior parte degli usi domestici del clorpirifos, ma ha preservato il crescente mercato agricolo da serie restrizioni.
Alcuni anni prima la Dow aveva gestito una minaccia ancor maggiore ai suoi pesticidi. Da maggiore finanziatore in una coalizione di imprese, la Dow aveva attivamente combattuto l’attuazione di una clausola di una legge del 1958 che aveva assolutamente vietato l’uso di additivi alimentari che causavano il cancro a umani o animali. Se fosse stata attuata avrebbero potuto essere messi fuori legge decine di pesticidi. Invece nel 1996 la Dow guidò una coalizione che contribuì ad annacquare il rigido standard di “zero rischi” fissato dalla legge trasformandolo in uno inteso a minimizzare il rischio per la salute.
Toccò all’EPA calcolare quanto rischio per la salute era accettabile sulla base del rischio di cancro e di altre malattie. Come fa con la maggior parte dei pesticidi, l’agenzia usò gli stessi studi della società per determinare la sicurezza per gli umani, compresi alcuni di quelli che Sapolsky aveva giudicato difettosi e prevenuti. Nel 1996, quando l’agenzia registrò nuovamente il clorpirifos, l’EPA fissò un limite di sicurezza che consentiva che la sostanza chimica fosse utilizzata in quantità che causavano solo una piccola riduzione dell’attività dell’enzima colinesterasi. Per i bambini, divenne presto chiaro, ciò non era sufficiente.
E’ una prassi standard per le società affidarsi a studi sugli animali per dimostrare la sicurezza dei loro prodotti chimici. Condotti in laboratori di ricerca, tali esperimenti consentono agli scienziati di controllare da vicino le loro condizioni, mettere a punto le dosi esatte associate ai risultati e replicare interi studi. Ma specie differenti non rispondono sempre nello stesso modo alle sostanze chimiche. E, anche se gli scienziati hanno tradizionalmente verificato la sicurezza dei pesticidi esponendo gli animali da laboratorio a dosi relativamente elevate, tali studi non colgono necessariamente i rischi posti dalle quantità inferiori che le persone respirano o ingeriscono mangiando.
Nel 1998, quando la Dow ancora si confrontava con le vittime in tribunale, tre squadre di scienziati cominciarono le domande su come tali esposizioni nel mondo reale influissero sulle persone vere. All’Università della California, Berkeley, e al Mt. Sinai Hospital e alla Columbia University a New York, i ricercatori si imbarcarono in una serie di studi finanziati dal governo per capire come i bambini piccoli erano influenzati dalle sostanze chimiche nell’ambiente.
Virginia Rauh, un’epidemiologa alla guida della squadra sullo sviluppo neurologico al Centro della Columbia per la Salute Ambientale dei Bambini, scelse di indagare il clorpirifos perché lei e i suoi colleghi sapevano che i pesticidi organofosforici avevano effetti neurologici potenzialmente irreversibili sugli animali da laboratorio. Sapeva anche che il clorpirifos poteva attraversare la placenta umana ed entrare nel sangue fetale prima della nascita. Inoltre, come mi ha spiegato recentemente nel suo ufficio che dà sul fiume Hudson, “ci sono sostanze chimiche specificamente progettate per attaccare il sistema nervoso dei mammiferi”.
La Rauh e i suoi colleghi, che alla fine coinvolsero 725 madri afroamericane e dominicane e i loro figli a New York, erano anche consapevoli, come la maggior parte dei newyorchesi, che le donne dello studio della Columbia usavano la sostanza per uccidere zecche, formiche e scarafaggi nelle loro case.
Come lei si aspettava, la squadra di ricerca trovò presto ampie prove di esposizione al clorpirifos. Il novantanove per cento dei campioni di aria prelevati dagli appartamenti dei soggetti risultarono positivi al clorpirifos, così come il 70 per cento dei campioni di sangue prelevati dalle madri e dai loro bambini. Quello che la Rauh non si era aspettata era che il divieto dell’EPA all’uso domestico del clorpirifos sarebbe entrato in vigore nel 2001, anche mentre la squadra stava ingaggiando donne nello studio, determinando quasi immediatamente il calo della sostanza chimica nei loro corpi. “Abbiamo questa magnifica slide che mostra la discesa dei livelli di concentrazione appena dopo il divieto e arrivati al 2006 quasi tutti i livelli erano non identificabili”, mi ha detto la Rauh.
Questa casualità temporale divise in due la popolazione del suo studio: bambini che erano nati prima del divieto e avevano livelli relativamente alti di esposizione e quelli nati dopo, i cui livelli erano molto inferiori. Quando i ricercatori della Columbia confrontarono i gruppi altrimenti indistinguibili, riscontrarono chiare differenze. I bambini esposti a una quantità maggiore della sostanza tendevano a essere più piccoli, ad avere riflessi più deboli, e a pesare meno. In effetti i bambini con il livello più elevato di clorpirifos pesavano in media mezza libbra di meno rispetto a quelli con i livelli più bassi.
Inoltre, anche se le esposizioni avevano avuto luogo prima della nascita, i loro effetti sembravano durare per anni. La Rauh e i suoi colleghi continuarono a seguire i bambini coinvolti nello studio e scoprirono che, all’età di tre anni, quelli che avevano livelli più elevati di clorpirifos avevano più probabilità di ritardi in termini di sviluppo sia motorio sia mentale. Le differenze non erano sottili. I bambini del gruppo a maggiore esposizione avevano una probabilità più di due volte superiore di essere mentalmente ritardati; una probabilità più di cinque volte maggiore di avere sintomi disturbi pervasivi dello sviluppo, una diagnosi successivamente inclusa nello spettro della sindrome autistica; una probabilità più di sei volte maggiore di avere sintomi di tipo ADHD e una probabilità più di 11 volte maggiore di avere sintomi di altri disturbi dell’attenzione.
Da una presentazione di Virginia Rauh del Centro Per la Salute Ambientale dei Bambini della Columbia University, basata su uno studio di 317 bambini di New York. Ai bambini era stato chiesto di sottoporsi a un test motorio a mano libera chiamato Spirale di Archimede. I bambini del gruppo con una maggiore esposizione al clorpirifos avevano livelli maggiori di tremore clinicamente significativo. 
Nel frattempo anche la squadra di Berkely stava collegando l’esposizione al clorpirifos a numerose conseguenze sullo sviluppo neurologico, come i ricercatori di entrambe le squadre scoprirono quando si incontrarono a un congresso. Lo studio di Berkeley, noto come CHAMACOS (da Center for the Health Assessment of Mothers and Children of Salinas [Centro per la valutazione della salute di madri e bambini di Salinas]) stava studiando donne e bambini delle comunità agricole rurali della California. Le loro scoperte erano considerevolmente simili a ciò che la Rauh aveva rilevato in un ambiente urbano. Quando confrontati con i bambini con le esposizioni prenatali inferiori, i bambini CHAMACOS che erano stati più esposti tendevano anche ad avere quozienti d’intelligenza inferiori, funzioni cognitive minori, riflessi anormali e un accresciuto rischio di problemi dell’attenzione.
E quando seguirono i bambini nel loro studio mentre crescevano, entrambe le squadre scoprirono che gli effetti persistevano. All’età di 7 anni, i bambini maggiormente esposti del campione della Rauh avevano quozienti d’intelligenza inferiori e deficit della memoria di lavoro. La squadra di Berkeley scoprì anche che l’esposizione agli organofosforici aveva considerevoli effetti duraturi. Nel loro gruppo i bambini di 7 anni che avevano il livello più elevato di esposizione ai pesticidi organofosforici, compreso il clorpirifos, avevano quozienti d’intelligenza che erano sette punti più bassi di quelli con l’esposizione inferiore.
I ricercatori del Mt. Sinai avevano risultati simili. In effetti i risultati di tutti e tre i gruppi di scienziati che studiavano il clorpirifos erano così simili che decisero di pubblicarli insieme. Ciascuno aveva scoperto indipendentemente che il clorpirifos aveva effetti sullo sviluppo neurologico dei bambini. Forse più sorprendentemente i ricercatori vedevano effetti a livelli di clorpirifos inferiori a quelli che interferivano con la colinesterasi. Nello studio della Rauh, il pesticida aveva effetti duraturi sul cervello dei bambini a livelli venti volte inferiori al livello considerato di sicurezza dall’EPA.
La Dow, che spesso si riferisce allo studio della Rauh definendolo “controverso”, ha dissentito dalle sue rilevazioni precisamente perché mostrano che possono avere effetti piccole quantità della sostanza chimica. Chlorpyrifos.com, un sito creato dalla società, cita il fatto che le soglie dello studio della Columbia sono inferiori a quelle di altri studi come uno dei motivi per cui gli effetti “non è probabile siano stati causati dal clorpirifos”.
Gli studi della società, che il sito descrive come “quarant’anni di ricerca animale di alta qualità”, non cercavano i cambiamenti osservati dalla Rauh e non avrebbero potuto individuarli perché erano condotti su animali. Né sarebbe stato etico esporre deliberatamente esseri umani a livelli di clorpirifos alteranti il cervello. Tuttavia, semplicemente utilizzando il pesticida nelle loro case le persone erano esposte alla sostanza a questi livelli. Gli epidemiologi osservavano cambiamenti che avevano luogo quando le persone incontravano il pesticida nella loro vita quotidiana.
“Erano livelli di esposizione relativamente modesti”, ha detto la Rauh. “Molte persone nel paese continuano ad avere queste esposizioni”.
Zenaida Muñoz aveva probabilmente esposizioni anche maggiori al clorpirifos quando era incinta del suo bambino di otto anni, Alan. All’epoca la Muñoz viveva direttamente di là dalla strada da una coltivazione di arance nella cittadina di Woodlake, nella California centrale. La sua casa a un piano era a circa dieci metri dalle piante. E quando il frutteto era irrorato, i fumi entravano attraverso le finestre. Inoltre uno dei suoi modi preferiti per rilassarsi consisteva nel passeggiare nel frutteto. Trascorse in questo modo gran parte del suo tempo libero durante la gravidanza, girovagando lungo le file di alberi perfettamente distanziati.
A volte nelle sue camminate l’odore delle sostanze chimiche era tanto forte da darle la nausea. Ma all’epoca non le venne in mente che lei – o il bambino che cresceva in lei – potessero subire effetti duraturi. “I pesticidi fanno parte della vita qui, sono normali”, mi ha detto attraverso un interprete. E, in effetti, sono i residenti delle comunità agricole come Woodlake che tendono ad avere le esposizioni più alte. Un regista di documentari che recentemente ha analizzato campioni di capelli di sei bambini in comunità agricole della California ha scoperto che ciascuno era positivo ad almeno 50 pesticidi diversi, compreso il clorpirifos. Oltre a essere esposti ai residui sulla frutta e sulle verdure, com’è la gente di tutto il paese, hanno più probabilità di inalare il clorpirifos portato dall’aria dopo le irrorazioni e di berne piccole quantità che a volte filtrano nell’acqua potabile. Come tutti quelli che vivono attorno alle griglie di campi che costituiscono gran parte della California centrale, la Muñoz era abituata a vedere i lavoratori irrorare le sostanze chimiche. E supponeva che se una sostanza era davvero pericolosa, ai coltivatori non sarebbe stato permesso di utilizzarla.
Nei quattro anni da quando ad Alan è stato diagnosticato l’autismo e l’ADHD, la Muñoz ha pensato spesso a quelle passeggiate. A quel punto sapeva che suo figlio stava lottando da molto. Alan è il suo secondo figlio e a solo otto mesi già sembrava più irrequieto e difficile del suo primo. Correva in ogni occasione e sembrava non fermarsi mai. Arrivato a quattro anni era chiaramente meno in grado di parlare rispetto ai suoi coetanei. Aveva anche difficoltà a farsi degli amici. Le sue molte frustrazioni portavano a improvvisi accessi.
La Muñoz, che si è trasferita quattro anni fa nella vicina cittadina di Cutler, conosce altre madri i cui figli hanno conseguenze sulla salute che ritengono collegate ai pesticidi. Appartiene a un gruppo di 20 donne che si incontrano regolarmente per occuparsi di problemi locali. Quattro di loro hanno bambini con problemi di sviluppo neurologico, due hanno bambini con ADHD, e una madre ha descritto la sua figlia di tre anni come “mentalmente ritardata e con altri problemi cognitivi”.
Oggi incinta di un terzo figlio la Muñoz cerca di evitare l’esposizione a pesticidi. Non è facile. Sta il più possibile dentro case e ha smesso di fare le sue passeggiate attraverso i frutteti. Ma la Muñoz continua a passarli ogni giorno quando porta Alan a scuola. E anche mentre lotta, egli continua a rischiare l’esposizione a pesticidi. La scuola di Alan, le elementari di Cutler, è a breve distanza dai campi, come tutto a Cutler. L’attenta mappatura californiana delle località e delle quantità di applicazioni di pesticidi ha mostrato che Alan è uno dei 500.000 bambini in California che frequenta una scuola a un quarto di miglio da campi dove sono applicati “pesticidi che preoccupano per la salute pubblica”, come il clorpirifos.

La documentazione scientifica che il clorpirifos ha effetti a lungo termine sul cervello dei bambini aveva raggiunto una massa critica nel 2007. Quell’anno, Earthjustice ha citato in giudizio l’EPA per conto della Pesticide Action Network, del Natural Resources Defense Council [rispettivamente, ‘Rete d’Intervento sui Pesticidi’ e ‘Comitato di Difesa delle Risorse Naturali’ – n.d.t.] e di gruppi di lavoratori dei campi, chiedendo che considerasse gli effetti a lungo termine del clorpirifos e vietasse la sostanza. Quella causa risultò essere la prima di molte. L’EPA non intervenne, tuttavia, e così gruppi ambientalisti citarono di nuovo l’agenzia nel 2010, sollecitandola a bloccare tutti gli utilizzi del clorpirifos. Nel 2012, quando l’EPA non aveva ancora vietato il pesticida, i gruppi avviarono una nuova causa, invano. E nel settembre del 2014, sette anni dopo aver depositato la loro prima denuncia, i promotori hanno citato l’EPA per la quarta volta, di nuovo chiedendo che l’agenzia revochi la sua approvazione del clorpirifos.
Tali ritardi sono purtroppo tipici del processo di eliminazione di pesticidi pericolosi dal mercato, secondo Patti Goldman, un avvocato di Earthjustice che ha lavorato alla causa sul clorpirifos. Parte del motivo del passo di lumaca, secondo la Goldman, è l’influenza dei produttori di pesticidi.
“L’industria passa un mucchio di tempo nelle sale dell’EPA a sollecitare l’agenzia a non fare nulla fino a quando non sia assolutamente sicura”, ha detto la Goldman, che ha notato un’accresciuta presenza della Dow in anni recenti. In effetti la Dow, una multinazionale che ha avuto più di 48 miliardi di entrate nel 2015, ha uno stanziamento per il lobbismo e la ricerca scientifica molto maggiore di quello delle organizzazioni non a fini di lucro che rappresentano gli interessi della salute di bambini e coltivatori. “Possono spendere un mucchio di soldi su tutto questo”, ha detto la Goldman. “Noi semplicemente non abbiamo le risorse”.
Ciò nonostante, tre mesi dopo l’ultima querela dei gruppi, nel dicembre 2014, l’EPA ha fatto ciò che gruppi più piccoli avevano sollecitato per anni, riconoscendo i gradi rischi posti dal clorpirifos al cervello in sviluppo. In una bozza della valutazione del rischio completata a novembre, l’agenzia ha evidenziato il lavoro della Rauh che mostra un’accresciuta probabilità di patologie dello sviluppo, problemi dell’attenzione, perdita della memoria di lavoro, e deficit dell’intelligenza in bambini esposti al pesticida nel periodo prenatale. Tuttavia l’EPA non è passata a escludere il clorpirifos dal mercato.
Nell’agosto del 2015, dopo che l’EPA aveva richiesto ancora un’altra dilazione prima di assumere una decisione finale, il tribunale che aveva seguito la causa del clorpirifos ha raggiunto il limite della propria pazienza. Definendo “vergognoso” il ritardo nel rispondere alla petizione del 2007 dei promotori, tre giudici del Nono Circuito hanno dato all’EPA una scadenza ferrea per completare la sua decisione: 31 ottobre 2015.
In una risposta via email a domande del The Intercept un portavoce dell’EPA ha affermato che il ritardo nel rispondere alla richiesta dei gruppi era dovuto al fatto che la causa “ha sollevato numerose questioni scientifiche nuove e complesse”, che hanno richiesto numerose revisioni scientifiche. Tali revisioni, ha scritto il rappresentante dell’agenzia, “hanno richiesto anni per essere completate, il che non è insolito nel caso di problemi scientifici d’avanguardia”.
Tuttavia, pur con una chiara scadenza fissata, l’EPA ha richiesto un’altra proroga. E, una volta concessa, la lobby dell’agricoltura si è mossa per allungare ancor di più la procedura. Nel luglio del 2016 quindici gruppi, l’American Sugarbeet Growers Association, il National Potato Council, la National Corn Growers Association, l’American Soybean Association e la CropLife America, un’associazione commerciali agroindustriale i cui membri includono la Dow, hanno scritto al tribunale. Anche se l’EPA aveva valutato il divieto del clorpirifos per almeno nove anni, i gruppi hanno insistito che non era stato loro concesso “un tempo nemmeno lontanamente sufficiente” per rispondere. La comparsa dell’industria ha descritto l’EPA come “forzata ad accelerare il giudizio” e ha sostenuto che l’agenzia aveva bisogno almeno di un altro anno oltre la scadenza attuale del tribunale per condurre il suo lavoro scientifico.
A quel punto la Dow aveva arruolato Exponent, un gruppo scientifico a pagamento, perché pubblicasse articoli che contestassero l’accumulo di dati scientifici sul clorpirifos e sostenessero che non ci sono motivi scientifici per modificare gli standard di sicurezza. Tuttavia, una volta escluse tali pubblicazioni, la letteratura scientifica ha concordato in misura schiacciante sui danni dei pesticidi organofosforici, compreso il clorpirifos. Di 27 articoli pubblicati nel 2012, tutti salvo uno hanno mostrato che i pesticidi organofosforici causavano “effetti negativi” sul cervello dei bambini. E da allora numerosi altri, compreso lo studio CHARGE, hanno aumentato i risultati. Tuttavia poiché l’EPA ha citato più spesso il lavoro della Rauh nella sua decisione di procedere sul clorpirifos, l’industria ha concentrato la sua attenzione sull’epidemiologa della Columbia, passando al setaccio i suoi documenti e criticando la stessa ricercatrice.
Oltre a dissentire dalla sua concentrazione sugli esseri umani, la Dow ha lamentato che la squadra della Columbia si è rifiutata di rendere pubblici i propri dati. “I dati grezzi [della Rauh] non sono stati resi disponibili per un esame indipendente da parte dell’EPA e di altre parti interessate, nonostante molteplici richieste dell’agenzia agli autori dello studio, in occasioni precedenti, di fornirli”, ha affermato la società su Chlorpyrifos.com.
La Dow ha mosso tale accusa anche in commenti pubblici all’EPA e in documenti legali sottoposti al tribunale. L’argomento cardine dell’industria è emerso in un’udienza di febbraio sugli “impatti delle azioni dell’Agenzia della Protezione dell’Ambiente sull’economia rurale”, quando il presidente della commissione, K. Michael Conaway, ha detto di aver “sentito” che “i dati della ricerca [della Rauh] possono non essere affidabili” e che la Columbia aveva “rifiutato di fornire i dati grezzi all’EPA anche se l’EPA aveva fornito fondi per lo studio”, secondo i suoi commenti preparati.
“Conduciamo la ricerca, pubblichiamo il lavoro, consegniamo i dati quando ci è richiesto. Tutto è stato fatto correttamente”.
In risposta a domande di The Intercept per questo articolo, la Dow AgroSciences ha affermato in una dichiarazione che la società “dissente con forza dalla proposta dell’EPA di revocare le tolleranze del clorpirifos”. La Dow ha anche affermato che “la proposta dell’EPA di revocare tutte le tolleranze appare basata su uno studio epidemiologico non replicato per il quale non stati forniti dati grezzi all’agenzia. La Dow AgroSciences ha fiducia che utilizzi autorizzati di prodotti a base di clorpirifos offrano ampi margini di protezione per la salute e la sicurezza umana, quando utilizzati come indicato”.
Ma quando ho chiesto alla stessa Rauh se avesse condiviso i suoi dati con l’EPA è apparsa avere familiarità con l’accusa ed esserne perplessa. “E’ difficile da prendere sul serio, perché non è vera”, ha detto la Rauh con un sospiro. “Noi conduciamo la ricerca, pubblichiamo il lavoro, consegniamo i dati quando ci è richiesto. Tutto è stato fatto correttamente”.
La Rauh ha affermato che lei e altri ricercatori della sua squadra hanno avuto numerosi incontri con funzionari dell’EPA. “L’EPA è stata invitata a ricevere i nostri dati. Non li ha voluti. Non c’è controversia al riguardo. Li hanno visti, sono stati presentati a loro molte, molte volte”. Quando ho chiesto se la Rauh si fosse rifiutata di fornire i dati l’EPA ha rimandato a una nota inserita dall’agenzia nella documentazione pubblica nel 2014 e che affermava che anche se l’agenzia aveva inizialmente richiesto i dati grezzi al Centro della Columbia per la Salute Ambientale dei Bambini e il centro “non aveva consentito a fornirli”, in seguito “i ricercatori si sono incontrati con l’EPA e hanno discusso le domande dell’agenzia riguardo ai dati per contribuire a stabilire se un’ulteriore esame dei dati grezzi poteva assistere l’EPA nel risolvere incertezze. In conseguenza di nuove informazioni raccolte in un incontro in sede e da altre fonti, l’EPA non persegue più la richiesta dei dati analitici originali ai ricercatori del CCCEH”.
La ricercatrice della Columbia sa che il suo lavoro ha attirato le ire dell’industria. “Hanno un esercito”, ha detto la Rauh dei molti scienziati assunti dalla Dow per concentrarsi sul suo lavoro. Riceve email inquisitorie da loro ogni volta che pubblica un documento, e li ha incontrati in riunioni, quando “la Dow ha riservato la maggior parte della giornata alle sue obiezioni, cercando di creare delle fratture”. Ma la Rauh sceglie di non coinvolgersi direttamente con i suoi detrattori. Ha invece indicato le dozzine di studi oltre al suo che mostrano collegamenti tra una precoce esposizione al clorpirifos e problemi di sviluppo neurologico, segnalando: “Le prove aumentano e sono largamente coerenti”. Il nuovo rapporto dell’EPA la sostiene, rilevando che con l’eccezione di due studi negativi del 2015, “tutti gli altri autori di studi hanno identificato associazioni significative con conseguenze sullo sviluppo neurologico”.
L’aggiunta recente forse più impressionante alla conoscenza scientifica del clorpirifos è lo studio CHARGE, cui ha partecipato Eva Galindo. Diretto dall’epidemiologa Irva Herz-Picciotto CHARGE guarda sia ai fattori ambientali sia a quelli genetici nello sviluppo dell’autismo e ha contribuito a stabilire collegamenti tra l’autismo e l’assunzione di acido folico nonché condizioni metaboliche, quali il diabete, l’obesità e l’ipertensione nelle madri.
Nel 2014 i ricercatori di CHARGE hanno aggiunto i pesticidi alla loro lista di fattori ambientali collegati alla malattia con uno studio di 486 bambini con autismo. Pubblicato su Enviromental Health Perspectives nel 2014, il documento ha mostrato che i bambini nati da donne che durante la gravidanza vivevano vicino a campi agricoli sui quali erano applicati pesticidi hanno percentuali considerevolmente più elevate di autismo.
Numerosi organofosforici, oltre al clorpirifos, sono stati associati ad accresciute percentuali di autismo, così come lo è stato un altro gruppo di pesticidi chiamati piretroidi. E anche altri tipi di ritardo nello sviluppo sono stati associati ai pesticidi. Ma il collegamento tra autismo e clorpirifos è stato il più forte. Mentre il tasso nazionale di autismo è oggi di uno su 68, per le donne che hanno vissuto in prossimità di campi in cui è stato irrorato il clorpirifos durante il loro secondo trimestre, la possibilità di avere un figlio con autismo è stata di uno su 21.
Hertz-Picciotto, arrivata al Mind Institute presso l’Università della California, Davis, nel 2001, è stata in grado di concentrarsi sul collegamento grazie ai dati californiani sui casi sia di uso dei pesticidi, sia di autismo, che sono entrambi i più dettagliati della nazione. Dopo aver identificato i bambini con autismo ha interrogato le madri su dove vivevano durante la gravidanza e ha combinato tali informazioni con i dati su dove avevano avuto luogo le irrorazioni di pesticidi.
I suoi sforzi sono arrivati in un momento delicato. Poiché l’idea che i vaccini causassero l’autismo era stata dapprima accanitamente dibattuta per poi essere screditata durante l’ultimo decennio, il pubblico ha finito per diffidare degli esperti che si concentrano su cause ambientali dei problemi dello sviluppo. “C’è questa cultura nella scienza che favorisce l’approccio più tecnologicamente avanzato a tutto il resto”, ha affermato la Hertz-Picciotto. “A causa di questa rivoluzione molecolare, la genetica ha assunto il posto centrale in grande misura. Se si guarda ai finanziamenti del NIH [Istituto Nazionale della Sanità – n.d.t.] alla genetica rispetto ai fattori ambientali, la proporzione è di venti a uno”. Ma la Hertz-Picciotto, il cui precedente lavoro era stato concentrato sull’impatto del piombo sui bambini, sente che è inutile mettere i fattori genetici e quelli ambientali gli uni contro gli altri. Entrambi contribuiscono allo sviluppo della patologia in misura all’incirca uguale, ha detto, e persino interagiscono. Numerosi studi, ad esempio, hanno mostrato che particolari variazioni genetiche aumentano la suscettibilità sia dei bambini sia degli adulti al clorpirifors. E numerose situazioni genetiche e ambientali possono contribuire a ciascun caso della malattia.
“Sospetto che ci siano fattori multipli”, ha detto la Hertz-Picciotto. “Forse non assumere le vitamine prenatali non determina il punto di rottura; crea solo la suscettibilità. Forse la madre si era ammalata. Forse aveva avuto l’influenza. E anche ciò ha avuto un impatto sulla migrazione delle cellule al posto giusto nel cervello. E poi il cordone è stato bloccato troppo presto. C’è una certa misura di resilienza nell’adattamento del corpo. Ma oltre un certo punto, l’adattabilità è superata.”
L’esposizione al clorpirifos è solo una delle situazioni che possono sommarsi nel causare l’autismo. Ma diversamente dalla genetica individuale, è una situazione che può essere cambiata facilmente. E’ in questo, dice la Hertz-Picciotto, l’attrattiva dell’indagine delle cause ambientali dell’autismo. Anche se la ricerca genetica ha maggiori probabilità di produrre cure per l’autismo, esplorare gli inneschi ambientali della malattia può contribuire a prevenire casi futuri.
Jennifer e Patrick Coleman hanno partecipato allo studio CHARGE proprio per tale motivo; perché speravano che potesse impedire che altri bambini sviluppassero l’autismo e potesse risparmiare ad altri genitori le difficoltà che la loro famiglia ha sopportato. “Per noi è troppo tardi, noi abbiamo già il problema”, mi ha detto Jennifer Coleman recentemente. Con “noi” la Coleman ha inteso i suoi due figli, Jackson, dodicenne, e il suo fratellino Drake di sette anni.
Prendersi cura dei suoi bambini è chiaramente più impegnativo in termini di tempo e di fatica di quanto sarebbe se non avessero l’autismo. Drake ha anche l’ADHD e il comportamento dei bambini può essere imprevedibile e irritante, le loro crisi frequenti e intense.
“Tutto, come genitori, è più difficile”, mi ha detto Jennifer seduti nel suo cortile ombroso a Modesto, California. Entrambi i bambini in realtà stavano giocando tranquillamente in quel momento, ma “altri genitori possono dire ai loro piccoli ‘Non fate questo’ e loro non lo faranno. Con i miei bambini succede tipo ‘Che cosa?’. Quando dici ‘Non fate questo’ i miei bambini lo faranno dodicimila volte di più.
Fare i genitori può essere più emotivamente straziante in modi che è impossibile misurare. C’è la tristezza di Patrick Coleman per il fatto che Jackson non potrà mai entrare negli scout, ad esempio, o la sua paura che la turbolenza di Drake alla fine lo faccia finire in carcere. Persino la prospettiva di dire a Jackson la verità su Babbo Natale ha gettato i suoi genitori in un terrore che la maggior parte dei genitori dei bambini neurologicamente normali non proveranno mai. Lui ci crede “dalla A alla Z”, nelle parole di sua madre, e loro temono che egli considererà i loro anni di disinformazione un tradimento imperdonabile.
In realtà, anche se è un bambino che prende tutto alla lettera, Jackson ha anche una sensibilità squisita. Dopo aver recentemente subito prepotenze a scuola da bambini che lo trovano strano, Jackson ha detto a sua madre in tono pratico che voleva morire. Jennifer Coleman è stata in grado di trasferire suo figlio in un’altra classe e adesso lo vede più felice. Ma sa che entrambi i suoi figli continueranno a lottare – e che c’è poco che lei possa fare, a parte essere una madre quanto più possibile amorevole e paziente – e partecipare alla ricerca potrebbe risparmiare ad altri bambini e genitori lo stesso destino.
L’EPA, d’altro canto, ha il potere di vietare il clorpirifos. Per legge all’agenzia è richiesto di rivalutare regolarmente i pesticidi per assicurare che continuino a soddisfare lo standard di sicurezza di non causare “alcun effetto avverso”. E nel suo modo di una lentezza che fa infuriare l’agenzia ha fatto ciò che doveva fare. Il rapporto dell’EPA del 10 novembre ha dimostrato che nonostante le intense pressioni dell’industria l’agenzia ha finito per considerare i pericoli del clorpirifos un dato scientifico consolidato. Stava per agire e se le elezioni fossero andate diversamente – o se l’EPA non avesse richiesto la sua finale proroga della sua scadenza – anche la direttiva avrebbe potuto essere consolidata.
Invece l’industria chimica ha rinnovato i suoi sforzi per far deragliare la disciplina proposta. Il 29 novembre CropLife America ha lanciato un’iniziativa di ultima istanza per bloccare il divieto. Il gruppo industriale ha presentato una petizione al capo dell’ufficio dei programmi sui pesticidi perché “sospenda la decisione sulla disciplina” del clorpirifos fino a quando non abbia sviluppato entrambi gli standard “per l’accettazione degli studi epidemiologici sulla valutazione dei rischi per la salute umana”, un processo che potrebbe facilmente richiedere molti anni.
Il disprezzo di Donald Trump per la scienza e il suo abbraccio di idee diffusamente screditate, compresa la teoria che i vaccini causino l’autismo, ha a lungo terrorizzato la comunità scientifica. Per quelli che lavorano sul clorpirifos tale terrore è a volte accompagnato da un senso di destabilizzazione. “Ci chiediamo tutti che cosa succederà dopo”, ha detto Nathan Donley, scienziato capo al Centro per la Diversità Biologica, che ha studiato il clorpirifos. “E’ questo che mi tiene sveglio la notte”.
Donley mi ha detto di pensare che l’industria potrebbe essere stata rimbaldanzita da Trump. Ed è facile capire perché potrebbe esserlo. Nei primi mesi dall’elezione Trump ha rafforzato la sua fedeltà all’industria in generale e alla Dow in particolare. Mike McKenna, un lobbista della Dow, è stato uno dei primi a entrare nella sua squadra della transizione e Myron Ebell, un nemico della disciplina della chimica che ha ricevuto fondi dalla Dow, ha sovrinteso al personale della nuova EPA. A dicembre Trump ha nominato l’amministratore delegato della Dow, Andrew Liveris, a capo dell’American Manufacturing Council, un comitato del settore privato che consiglia il segretario al commercio. Al tempo stesso Scott Pruitt, la scelta di Trump per dirigere l’EPA, è un nemico giurato della disciplina dell’ambiente.
La Dow è già riuscita a rallentare la procedura di disciplina del clorpirifos facendola virtualmente arrancare negli ultimi decenni. Un processo che è stato neutralizzato da almeno due amministrazioni precedenti potrebbe finalmente riuscire sotto Trump?
Alcuni sostenitori di lungo corso sono inclini a sperare che la disciplina in sospeso sia arrivata troppo in là perché la nuova amministrazione la blocchi. Ignorare la montagna di prove scientifiche sarebbe una mossa troppo vergognosa persino per Trump, secondo Patti Goldman, l’avvocatessa di Earthjustice che ha lavorato per più di vent’anni per proteggere il pubblico dagli effetti del clorpirifos.
Anche se è un amico spudorato dell’industria chimica, il presidente eletto non vorrà necessariamente essere un nemico dei bambini, ha detto la Goldman. E scegliere di ignorare una ricerca diffusamente accettata che dimostra che una sostanza chimica danneggia il cervello dei bambini lo renderebbe esattamente tale. “Confrontarsi con il danno cerebrale nei bambini”, ha predetto, sarebbe “un disastro d’immagine”.
E poi c’è la questione della legge. Le chiare istruzioni del tribunale all’EPA di pubblicare la sua normativa finale sul clorpirifos sarebbe estremamente difficile da sfidare, ha detto Kristin Schafer, direttrice delle politiche della Pesticide Action Network. “Questa è una scadenza legale”.
Ma la società ha numerosi modi potenziali per aggirare la norma senza sfidare tecnicamente la legge. La Dow ne ha recentemente anticipato uno in un comunicato stampa diffuso nel giorno in cui l’EPA ha annunciato il proposto divieto. “Il tribunale ha ordinato all’EPA di prendere la sua decisione finale sulla petizione entro il 31 marzo 2017, ma non ha specificato quale debba essere tale decisione”, ha spiegato la Dow. “L’EPA può rigettare la petizione e mantenere tutte le tolleranze, il che sarebbe coerente con la scienza e consentirebbe all’agenzia di completare il suo esame della registrazione e di affrontare le proprie preoccupazioni residue procedendo con ordine”. In altre parole l’EPA potrebbe promulgare una norma che, nonostante l’evidenza, dichiari il clorpirifos sicuro per l’uso, piuttosto che andare avanti con il divieto. Oppure il Congresso potrebbe redigere una legge che in qualche modo dia respiro al prodotto neurotossico della Dow.
La Dow ha lavorato a scappatoie dall’EPA almeno dal 2014, quando la società ha assunto il lobbista James Callan per lavorare alle “iniziative federali di disciplina per mantenere le tolleranze per l’insetticida clorpirifos”. La società ha versato a Callan 140.000 dollari negli ultimi due anni, secondo dati sul lobbismo.
Solo due anni fa, quando Callan ha iniziato a lavorare sul clorpirifos, queste strategie sarebbero parse sogni impossibili. All’epoca l’opzione migliore per la società – in realtà l’unica opzione – era la dilazione. Pur se una strategia preferita dall’industria chimica, non era chiaro se l’iniziativa di stallo sul clorpirifos avrebbe prodotto altro che una proroga del periodo in cui la società poteva trarre vantaggio dal suo prodotto prima di un inevitabile divieto.
Dopo la frustata del risultato elettorale, tuttavia, è chiaro che la puntata della Dow su una proroga può offrire molto di più, non solo escludendo temporaneamente un divieto del clorpirifos, ma potenzialmente riportando indietro di anni il processo basato sulla scienza.
La Dow ha fatto del suo meglio per quantificare i vantaggi del suo prodotto che, assieme ad altri pesticidi, aiuta “i coltivatori statunitensi a produrre 144 miliardi di libbre di cibo, foraggio e fibre aggiuntive e a percepire 22,9 miliardi di dollari di aumenti del reddito agricolo”, secondo chlorpirifos.com. Ma anche il costo di continuare a usare la tossina sul nostro cibo può essere misurato.  Ogni giorno in cui il clorpirifos è impiegato, più bambini saranno esposti; e più cervelli alterati dalla sostanza chimica. Il più grande dei bambini dello studio della Rauh ha oggi 18 anni. E, mentre crescono, lei apprende di più su come i loro cervelli sono differenti. Recentemente ha fatto una TAC ai cervelli di venti dei bambini del suo studio e ha rilevato differenze strutturali in quelli che erano stati esposti maggiormente. Questi bambini tendono anche ad avere tremori e la Rauh sta ora studiando se hanno maggiori probabilità di sviluppare sintomi di parkinsonismo entrando nella tarda adolescenza e nell’età adulta.
Numerosi scienziati hanno tentato di stimare il costo della “silenziosa pandemia della neurotossicità” conseguente a questa e ad altre esposizioni a sostanze tossiche. Gli scienziati del TENDR hanno osservato che le sostanze chimiche, compreso il clorpirifos, hanno già contribuito a “un’allarmante aumento dei problemi comportamentali e di apprendimento dei bambini”. Uno stimato 10 per cento dei bambini statunitensi ha oggi diagnosi di ADHD e un bambino statunitense su 68 è diagnosticato di problemi dello spettro dell’autismo, con un aumento del 17 per cento nell’ultimo decennio.
David Bellinger, un ricercatore della Harvard Medical School ha individuato la quota in un altro modo, stimando che l’esposizione a pesticidi organofosforici, compreso il clorpirifos, è costato ai bambini statunitensi quasi 17 milioni di punti di quoziente d’intelligenza. In Europa ricercatori hanno persino tentato di dare un prezzo ai problemi di sviluppo neurologico causati ogni anno dal clorpirifos e da altri pesticidi: 120 miliardi di euro, o 126 miliardi di dollari.
Anche se i bambini delle comunità agricole subiscono le dosi maggiori di clorpirifos, la gente di tutto il paese è esposta a quantità potenzialmente pericolose della sostanza attraverso il cibo. Anche se non è esattamente chiara la quantità di residui del pesticida che può alterare lo sviluppo cerebrale, tutti i ricercatori con i quali ho parlato consigliano alle donne incinte e ai bambini piccoli di mangiare frutta e verdura biologiche.
Non è diversa la strategia di Zenaida Muñoz, che si è segregata nella sua casa a due camere di Cutler, California, nel corso della sua gravidanza. Dopo aver fatto i conti con lo shock di sapere che il clorpirifos poteva essere utilizzato anche se è noto che danneggia il cervello dei bambini, la Muñoz ha fatto il possibile per proteggere la sua famiglia in crescita. Non possono permettersi di acquistare biologico. Così lei spera che le sue tende tirate e le sue porte chiuse la proteggeranno; e sta aspettando che il governo faccia qualcosa riguardo al pesticida che è tutto attorno a lei.
Questo articolo è stato scritto in collaborazione con il Fondo d’Inchiesta del Nation Institute.
Da ZNetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: The Intercept
traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2017 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0