Ci sono argomenti di dibattito internazionale che non trovano nemmeno una
riga scritta in italiano, da nessuna parte, uno di questi riguarda il futuro
dello skyline di Gerusalemme. Argomento certamente di grande interesse sotto il
profilo dello storico dell’arte, dell’architetto, del paesaggista, ma,
soprattutto, vero e proprio grande tema politico. Nell’ambito del grande piano
per la turisticizzazione di Gerusalemme, e contestualmente della necessità di
controllare i flussi in arrivo, non solo nella fase di accesso al Paese, ma
soprattutto negli itinerari e nei luoghi ai quali i turisti possono accedere,
di lavorare col turismo di massa, e di concretizzare al massimo le entrate
derivanti da un turismo facilmente indottrinabile, sono in ponte nuovi
progetti: il National Infrastructure Committee (NIC) ha approvato la richiesta
del piano per la costruzione di una funivia nella Città Vecchia. Il
progetto, che andrà a modificare il maniera sostanziale l’aspetto della città,
avrà ripercussioni economiche, culturali e politiche per la Città Vecchia e non
solo.
La ratifica del progetto è avvenuta in un modo quanto mai anomalo, promossa
dal Ministro del Turismo Yariv Levin e dall’Autorità per lo Sviluppo di
Gerusalemme (JDA), in una prima fase sono stati stanziati 18 milioni di shekel,
destinati alla pianificazione. Con un colpo di coda atto a bypassare le
commissioni per la conservazione dello stesso stato israeliano, il Ministero
del Turismo ha deciso di dare la precedenza a questo progetto definendolo una
“priorità nazionale”, una categoria che di solito è riservata
all’avanzamento di progetti infrastrutturali e costruzioni stradali, aggirando
così efficacemente i comitati destinati a elaborare tali progetti. La funivia è
stata definita dal National Infrastructure Committee (NIC) come un progetto di
trasporto progettato per ridurre la congestione delle strade che portano alla
Città Vecchia.
Nella prima fase il percorso della funivia comprenderà tre stazioni: dal
sito della Prima stazione a Monte Sion, e da lì al Kedem Center all’ingresso di
Silwan. Verrà inoltre costruito un grande parcheggio per lasciare autobus e
auto. Il piano a lungo termine, non attualmente approvato, comprenderà invece
la costruzione di stazioni sul Monte degli Ulivi e vicino alla piscina Siloam
ai margini del Wadi e nel quartiere Hilweh di Silwan.
La maggior parte dei problemi di pianificazione sembrano concentrarsi tra
la stazione di Sion e il centro Kedem. Al centro del dibattito, se dibattito si
può chiamare la scelta di uno Stato occupante nei confronti della popolazione
palestinese che vive in questi quartieri, è che la costruzione di
queste nuove stazioni comporterebbe la demolizione di alcuni piani superiori di
case del quartiere di Silwan.
Il Kedem Center, così come progettato andrà a diventare l’edificio più
grande della Città Vecchia, con una superficie complessiva di 15.000 metri
quadrati, situato a soli 20 metri dalle mura della Città Vecchia. Il
fatto che questo progetto, il cui impatto sul paesaggio storico di Gerusalemme
sarà drastico e irreversibile sia stato posto nei termini della “priorità
nazionale” fa chiaramente intravedere gli interessi politici ed economici che
ne stanno alla base, e dovrebbe, aldilà della preoccupazione per gli
abitanti delle zone interessate alle demolizioni, allertare tutta la comunità
internazionale.
Molti esperti di conservazione e architetti, stanno protestando contro la
“Disneyfication” del bacino storico della città, tanto che è arrivato ad
occuparsi del caso anche il New York Times, nella figura di Michael
Kimmelman, giornalista e principale critico d’arte del quotidiano statunitense.
Kimmelman è arrivato in Israele a metà luglio sulla scia di una petizione
internazionale proprio contro il piano per la costruzione della funivia: trentacinque
importanti architetti e storici dell’architettura della comunità internazionale
si sono uniti ai loro colleghi e alle società di conservazione dei beni
culturali in Israele per esprimere la loro veemente opposizione al progetto.
Come indica in maniera assai precisa nel suo articolo, la funivia di
Gerusalemme non è la soluzione di trasporto funzionale che i suoi sostenitori
sostengono che sarà, ma un chiaro prodotto della realtà politica nell’Israele
del 21° secolo, le ragioni che stanno alla base della “necessità nazionale”,
sono come sempre politiche ed ideologiche, mascherate da necessità di sviluppo
e progresso. Kimmelman ha capito che le ragioni sono soprattutto di
natura politica, con lo scopo di nascondere il carattere universale della
città, in modo che “curi una narrazione specificamente ebraica di Gerusalemme,
promuovendo le rivendicazioni israeliane sulle parti arabe della città”.
Dal suo punto di vista, la funivia – che ignora l’esistenza del villaggio
arabo di Silwan, dove verrà eretto uno dei suoi giganteschi piloni, rappresenta
l’approccio generale del governo israeliano verso i palestinesi, come parte di
una brutale strategia che ha lo scopo di rendere la vita difficile,
impadronirsi delle proprietà dei palestinesi e infine costringerli a lasciare
la città.
Un altro principio che deriva dall’articolo di Kimmelman e sul quale è
necessario soffermarsi è nella stessa concezione del progresso infrastrutturale
della città di Gerusalemme portato avanti dalle autorità israeliane, ovvero
quello che lui stesso chiama il metodo “taglia e incolla”: le idee
vengono importate in Israele in modo avventato, senza alcun riferimento ai
singoli contesti locali, e in maniera specifica con la mal celata necessità di
eliminare gli spazi per i cittadini, in una tensione costante verso la
mercificazione e dysneyzzazione della città.
La violazione delle restrizioni sui grattacieli in tutte le parti della
città, che è destinata, in parte, a trasformare l’ingresso di Gerusalemme in un
enorme blocco di edifici per uffici e centri commerciali con torri di vetro a
40 piani è solo uno dei tanti esempi di pianificazione del “taglio” da
Singapore o Jakarta e “incolla” a Gerusalemme. Inoltre è stata la stessa Shira
Talmi Babay, pianificatore distrettuale, ad aver dichiarato a TheMarker che
Singapore è il modello di pianificazione adeguato per Gerusalemme.
Dell’esperienza di Kimmelman è importante notare il fatto che l’esperto è
andato anche in visita in campi profughi, e qui, uno dei più grandi esperti di
urbanistica e arte internazionale, ha rilevato come in totale assenza di
pianificazione si siano costituite, grazie ad un’architettura spontanea, spazi
di comunità legati alla visione della cittadinanza e non orientati solo ai
flussi turistici e alla mercificazione della città.
I pianificatori israeliani hanno totalmente dimenticato, come sottolinea lo
stesso Kimmelman, di dover fornire non solo alloggi, ma anche “spazio comune”,
al fine di evitare la sensazione di vivere in quartieri fantasma alienati, e se è vero, come è
vero, che il problema è ben noto in molte città, il fatto che la repressione di
spazi comunitari vada a incidere proprio sulla possibilità di riunione,
manifestazione e condivisione delle comunità storiche non può non portare
all’attenzione internazionale di come la pianificazione in ottica di
disneyficazione della città contribuisca anche al principale scopo politico
dello Stato sionista. I quartieri in difficoltà sono stati del tutto
ignorati, i danni in termini sociali ed ecologici sono già incalcolabili.
Inoltre, la costruzione della funivia, avrà un ulteriore vantaggio per la
narrazione, la tipologia stessa di trasporto andrà a modificare i flussi
turistici e in particolare i luoghi toccati da questi flussi. E’
sentore comune e condiviso che la fruizione stessa di un complesso storico
possa essere garantita al meglio entrando in una città storica attraverso le
sue storiche entrate, che nel tempo, per l’appunto ne hanno caratterizzato
l’evoluzione urbanistica e la fruizione, la funivia è invece destinata a
“scaricare” i suoi passeggeri nel Kedem Center. L’ingresso alla Città
Vecchia avverrebbe a quel punto necessariamente tramite tunnel o attraverso
Dung Gate.
Va ricordato che il Kedem Center, che diventerebbe a quel punto il
luogo di accesso a tutta la città Vecchia, appartiene alla Fondazione Elad,
Fondazione nazionalista ebraica. Non è difficile comprendere come la
costruzione stessa della funivia si identifichi con l’acquisizione ebraica di
Silwan, poiché essa sarà gestita da coloni o entità nazionaliste, e terminerà
la sua corsa nel grande centro Kedem, è dunque abbastanza scontato e
ragionevole supporre che pochi palestinesi useranno i servizi della funivia.
Va inoltre detto che, divenendo il Centro il principale accesso alla città
Vecchia, pare allo stesso modo del tutto probabile che l’accesso alla città
sarà a pagamento tramite il Kedem Center, che le guide che partiranno dal Kedem
Center realizzeranno speciali visite per le carovane di turisti in arrivo con
percorsi di racconto molto specifici; già ora tutti i percorsi turistici, i
pannelli esplicativi in giro per la città, e il racconto della cosiddetta
“Città di Davide” dimentica ad esempio di raccontare la presenza di cristiani e
musulmani a Gerusalemme.
Verrà così a essere costituita una nuova rotta di trasporto turistico, con
una capacità di 3.000 persone all’ora per la Città Vecchia e capace di produrre
enormi profitti per i gestori che determineranno percorso e suoi
contenuti. Gli organismi che trarranno vantaggio da questo progetto
saranno Elad, che gestisce la città di David e il Centro Kedem, e la Western
Wall Heritage Foundation, che gestisce i tunnel del Muro occidentale, inoltre
sarà l’ennesima esperienza indirizzata dal nazionalismo israeliano, i
visitatori non saranno più liberi di muoversi all’interno di un tessuto urbano
occupato e diversificato, ma saranno “incanalati” in siti come i tunnel della
città di David e del muro occidentale dove, oltre ad addebitare un vero e
proprio costo d’entrata alla città, il turista sarà anche indirizzato ancor di
più verso una narrazione “chiusa”, modellata secondo le opinioni nazionali e
religiose, basate putativamente su reperti archeologici selezionati tra quelli
trovati, nascondendo del tutto le parti non ebraiche del passato di
Gerusalemme.
La città di Gerusalemme è meta da millenni di pellegrinaggi; crogiolo di
culture e di religioni, per questa stupenda città sono passate culture
millenarie, e qui i popoli si sono incontrati e scontrati per secoli. Sembra
una storia antica, ma quanto mai attuale.
E’ proprio questa storia, o meglio, una parte di questa storia, al centro
delle nuove politiche dello stato di Israele, politiche che, negli ultimi anni,
hanno visto l’apertura al turismo come una delle principali azioni e strategie.
La comunicazione nell’ultimo anno è stata, come sempre accade quando c’è
Israele di mezzo, del tutto vincente, un video colorato e con persone di ogni
carnagione è il marchio comunicativo della campagna “Visit Israel”,
con immagini mozzafiato e vedute aeree dal drone. Apertura, interculturalità,
capacità di essere internazionali e aprirsi al mondo, al turismo l’immagine che
Israele mostra al mondo. Ma dietro questa promozione si celano alcuni
retroscena. Tentiamo di analizzarli. Il piano di sviluppo turistico dello Stato
ha in sé molte motivazioni.
Uno dei piani strategici presentati dallo Stato israeliano, il
piano Marom, punta a sviluppare Gerusalemme come città
turistica. Solo nel 2014, il Jerusalem Institute of Israeli Studies ha
condotto 14 delle sue 18 ricerche di quell’anno nel settore turistico e
le ha sottoposte al Comune di Gerusalemme, al Ministero di Gerusalemme e a
quello degli Affari della Diaspora e all’Autorità di Sviluppo di Gerusalemme.
Legato a questo, il governo israeliano ha stanziato 42 milioni di
dollari per sostenere Gerusalemme come meta turistica internazionale, mentre il
Ministero del Turismo dovrebbe allocare circa 21.5 milioni di dollari per la
costruzione di hotel e ricettività. L’Autorità ha anche offerto specifici
incentivi agli imprenditori e alle compagnie che costruiscono o ampliano
alberghi a Gerusalemme e organizzano eventi culturali per attirare visitatori,
come il Jerusalem Opera Festival, o eventi per l’industria del
turismo, come il Jerusalem Convention for International Tourism. Promuovere il
settore turistico è anche alla base del Jerusalem 5800 Master Plan che
immagina Gerusalemme come “città globale, importante centro turistico,
ecologico, spirituale e culturale mondiale” che attiri 12 milioni di
turisti (10 milioni di stranieri e 2 di locali) e oltre 4 milioni di residenti.
Per rendere Gerusalemme “l’attrazione turistica del Medio Oriente”, il
piano punta a aumentare gli investimenti privati e la costruzione di hotel, la
costruzione di giardini-terrazza e parchi e la trasformazione di aree che
circondano la Città Vecchia con la costruzione di alberghi, e vietando la
circolazione delle auto. Il piano prevede la costruzione di un aeroporto
nella valle di Horkania, tra Gerusalemme e il Mar Morto, per servire 35 milioni
di passeggeri all’anno. L’aeroporto sarà collegato con strade e
ferrovie a Gerusalemme, all’aeroporto Ben Gurion e altre città. Il Jerusalem
5800 tenta di presentarsi come piano che promuove “la pace attraverso la
prosperità economica” ma ha obiettivi demografici che dimostrano il
contrario. Prevede infatti che i 120 miliardi di dollari di valore
aggiunto dall’attuazione del piano, insieme ai 75-85mila impiegati negli
alberghi e i 300mila nelle industrie dell’indotto, attireranno più
israeliani ebrei a Gerusalemme, aumentandone il numero e facendo pendere la
bilancia demografica ebrei-arabi a favore dei primi. Tuttavia il
settore turistico non è visto solo come motore di sviluppo economico per attrarre
ebrei in città. Lo sviluppo turistico porta con sé la possibilità di
controllare la narrazione e garantire la proiezione di Gerusalemme all’esterno
come “città ebraica” (vedi la mappa ufficiale della Città Vecchia del Ministero
del Turismo). Israele ha per tale ragione irrigidito le misure per chi
lavora come guida turistica: le guide non assumono come unica la
narrazione israeliana e che tentano di dare un’analisi alternativa e critica
della situazione possono perdere la licenza. Questi piani per promuovere
l’industria del turismo israeliana vanno di pari passo con le restrizioni
imposte da Israele allo sviluppo della stessa industria palestinese a
Gerusalemme Est.
Tra gli ostacoli posti: l’isolamento di Gerusalemme Est dal resto dei
Territori Palestinesi Occupati, specialmente dopo la costruzione del Muro, e la
conseguente fortissima contrazione del turismo arabo, le alte tasse; le
restrizioni nel rilascio dei permessi per la costruzione di hotel a non ebrei,
o la conversione di edifici in alberghi; e le difficili procedure per ottenere
licenze per gli uomini d’affari palestinesi. Questi ostacoli, insieme
ai milioni di dollari che vengono versati nel mercato turistico israeliano,
fanno sì che l’industria turistica palestinese non abbia speranza di competervi.
Ma lo sviluppo del settore turistico, e di un particolare tipo di turismo,
come vedremo nella seconda parte dell’articolo, con il conseguente fenomeno
della gentrificazione della città, o meglio della sua mummificazione, risultano
essere un ulteriore strumento di apartheid. Il boom turistico di
Israele negli ultimi anni, culminato con i recenti accordi con molteplici scali
internazionali e con le compagnie low coast, come la RyanAir, pare rientrare
alla perfezione in quel meccanismo di controllo dei flussi turistici e
soprattutto nella necessità di controllare la narrazione data ai turisti. L’ormai
fortissimo Stato Israeliano, dopo anni di chiusura e controlli serrati verso
l’esterno, ha così aperto i flussi incentivando un turismo di massa, gestito
dalle grandi compagnie e organizzazioni israeliane, facilmente controllabile
nei suoi percorsi cittadini, molto facilmente indottrinabile, e con usi e
consumi tendenzialmente occidentali (i nuovi scali prevedono l’intensificazione
delle partenze dall’Europa), e quindi pronti a riversarsi nei centri
commerciali e nei locali USA style. Un significativo dibattito sul
fenomeno della mummificazione o desertificazione di Gerusalemme sta quindi
prendendo piede; il fenomeno, va detto, è quanto mai noto nelle nostre
città, spesso si affronta il tema per luoghi come Firenze o Venezia, ma
Gerusalemme non è un luogo come un altro, e non solo per la sua storia
millenaria, ma perché terreno di uno dei conflitti sociali, economici e
culturali più noti ma meno conosciuti del mondo.
LA “MUMMIFICAZIONE” DELLA CITTA’
Il dibattito internazionale su flussi turistici e desertificazione dei
centri è molto ben esplicitato in un termine assai appropriato, ossia la
“mummificazione” delle città , ovvero la capacità del turismo di massa di
uccidere la città, nella loro essenza, memoria, capacità di rigenerazione
sociale, svuotandole di vita, privandole dell’interiore, facendole diventare un
immenso parco a tema, in una sorta di tassidermia urbana. Molta
buona politica internazionale sta cercando di porsi il problema e di porre le
basi per un suo potenziale superamento, non è questa la sede per ricapitolare
le esperienze e i metodi utilizzati da città come Amburgo, Barcellona, Londra,
Bruges per tentare di sovvertire questo meccanismo, ma è la sede per ricordare
che questo meccanismo è ben noto. In Israele il meccanismo non
solo non si sovverte, ma anzi, proprio questo processo risulta utilissimo per
svuotare le città occupate, Gerusalemme su tutte (ma anche città come Nazareth
e Betlemme) della propria memoria storica, del proprio commercio, delle
attività culturali, degli spazi pubblici, di gioco, di vita, insomma degli
spazi della comunità, per fare spazio a “servizi per il turista”; tutto
ciò, ovvero la memoria storica, gli spazi della comunità, gli antichi esercizi
commerciali coincidono in questa parte di mondo alla memoria del popolo
palestinese. Con un’unica grande operazione di richiamo turistico Israele è
riuscita dunque a aumentare notevolmente gli introiti in relazione al settore
ricettivo, e distruggere una storia non più utile a fini propagandistici.
Gerusalemme è una città di pellegrinaggi, abituata da secoli a ricevere
l’arrivo di persone di ogni religione, ed è esattamente esaltando questo
processo che Israele ha basato la sua narrazione di “accoglienza turistica”
ratificando accordi con compagnie low cost che consentono l’arrivo a Tel Aviv
con prezzi assolutamente competitivi, dagli 80 ai 100 euro andata e ritorno dai
maggiori aeroporti italiani, ad esempio. La creazione di un turismo di massa
consente di esercitare una pratica ben nota allo Stato israeliano, ovvero il
controllo di gruppi su vasta scala, gruppi che hanno le caratteristiche del
turismo inconsapevole: necessità di una guida che li porti in percorsi specifici
ben conosciuti alle autorità e precedentemente “ripuliti” dalla presenza della
cultura non utile a fini propagandistici, necessità di viaggi organizzati da
tour operator, totale interdipendenza dei partecipanti che si muovono in gruppi
praticamente privi di autonomia di movimento, incanalati in percorsi di
facilissimo controllo.
Il boom turistico di Gerusalemme ha in qualche modo giustificato, come
avviene in molte città del mondo, la creazione di servizi specifici per questa
tipologia di turismo organizzato. Il processo ha ingenerato risultati scontati:
in nome del decoro, del combattimento del degrado, della necessità di creare
parcheggi per i grandi bus turistici, e della creazione di direttrici adatte al
turismo di massa, Gerusalemme si è trasformata in una zona rossa
permanente, il principio è quello di eliminare tutto ciò che è legato
alla storia comunitaria, alla cittadinanza attiva, ai servizi per il cittadino,
alle pratiche dell’abitare, per trasformare con più velocità possibile
Gerusalemme da città di vita dei suoi abitanti e della sua storica comunità, a
“città museo” a cielo aperto, con la peculiarità che quel museo sarà
esclusivamente gestito dagli israeliani, così come da loro è gestita la
totalità dell’incoming turistico, anche solo perché detengono il controllo
dell’unico scalo aereo. Al meccanismo di controllo si somma il fatto
che, controllando le masse di turismo in entrata, il governo israeliano può
controllare nel dettaglio anche la narrazione sulla città, sulla storia, sui
siti archeologici, ampliando così in maniera velocissima la propria
“pubblicità” e raccontando la propria versione della storia, ad una sempre
crescente quantità di persone. I percorsi turistici concepiti nel
nuovo piano della Gerusalemme occupata raccontano una storia parziale, per
usare un eufemismo, riesumando “prove” archeologiche che non tengono conto
della stratificazione delle civiltà ma solo quelle che risultano utili per la
narrazione imposta.
La prima e più banale delle modifiche, è stata una vera e propria modifica
del giro della città, e della sua storica entrata. I grandi bus
turistici si fermano ora nel grande parcheggio organizzato vicino alla porta di
Jaffa, a sua volta porta di riferimento della Gerusalemme sotto il controllo
israeliano, mentre la porta da cui tutti i pellegrini nei secoli sono entrati e
hanno considerato come principale, ovvero la Porta di Damasco, unica porta che
porta direttamente all’antico suq (o meglio a quel poco che ne sta rimanendo),
sta diventando una porta secondaria, quasi un passaggio “esotico” per turisti
che amano il brivido, con orde di turisti totalmente inconsapevoli che passano
per quelle vie, quasi che quei piccoli brandelli di vita reale fossero attori,
comparse dai tratti orientali in una terra ormai fatta di centri commerciali a
sei piani. L’intento, da qui a qualche anno, così come sta già avvenendo, è
di non far più passare i turisti per locali e luoghi frequentati e gestiti da
palestinesi, questo ovviamente ha un duplice riscontro in termini
economici: le tipologie di commercio storiche, gestite dai palestinesi, erano
servizi per la cittadinanza, si tratta di panifici, piccoli fruttivendoli,
negozi che riparano scarpe, artigiani; Israele, lavorando attivamente
per incentivare il turismo di massa, cambia la toponomastica della città in
modo da indirizzare i flussi per nascondere del tutto l’esistenza dei
palestinesi, e aumentare esponenzialmente il fenomeno di mummificazione della
città, ottemperando, in questo meccanismo, nel medesimo momento a più
obiettivi, da un lato quello di arricchire esponenzialmente i centri
commerciali e i nuovi negozi che nascono ad uso e consumo dei turisti a
Gerusalemme, dove i turisti si sentono coccolati da forme e marche che
conoscono, da fast food internazionali, marchi vegan, locali fusion, uguali in
tutto il mondo, dall’altra parte distruggere una parte sostanziale della
memoria di una città millenaria, legata, chiaramente, al popolo
palestinese. Jaffa street, con i suoi Mall e le sue catene di fast food
ci fa sentire coccolati da ciò che conosciamo, molto più che la visita alla
porta di Damasco e al suq. In questa parte di città, tra le viuzze
dimenticate, vedreste negozi chiusi, anziani sarti palestinesi che resistono
all’ondata di affaristi e speculatori, passando le proprie giornate in negozi
vuoti, senza più clienti, senza più una comunità, senza più una vita, per il
solo dovere della resilienza, quel “sumud” che riempie gli occhi di lacrime a
quegli uomini e quelle donne che Gerusalemme se la ricordano come il luogo
magico che doveva essere settanta anni fa, con l’oro delle sue mura, i suoi
vicoli riparati dal sole, il senso incombente di eternità, il silenzio delle
tre di pomeriggio interrotto solo dalle urla dei bimbi che escono dalla scuola,
scene che possono essere viste solo uscendo dai percorsi turistici, scene che
potrete ancora vedere in alcuni vicoli stretti e dimenticati della
Gerusalemme Est, nelle pochissime scuole palestinesi rimaste,
scuole i cui muri sono coperti dal filo spinato, perché costantemente bersaglio
delle rappresaglie di coloni.
La mummificazione della città, il suo svuotarla della vita, è un meccanismo
fisiologico di ogni massiccia turisticizzazione cittadina, un fenomeno
studiato nel dettaglio dall’autorità Israeliana, e utilizzato esattamente alla
stregua di quei meccanismi di controllo di cui parla diffusamente Neve
Gordon nel testo dedicato all’ occupazione israeliana, un controllo
non solo sulle masse palestinesi, ma, ora, anche sulle masse provenienti da
fuori, per un indottrinamento subito in maniera del tutto inconsapevole dai
turisti che percorrono le vie di Gerusalemme.
Il progetto ovviamente non si limita a Gerusalemme, ma va ben oltre, sono
inserite all’interno dei tour anche cittadine quali Nazareth, Betlemme o
Gerico, che si trovano in Palestina. Il refrain con il quale vengono
promossi tutti questi luoghi è sotto l’egemonia del marchio “Visit Israel”, in
quel processo di appropriazione di terre, culture e spazi vitali, che vede ora
nel turismo di massa una delle armi più subdole e vincenti.