domenica 27 novembre 2016
sabato 26 novembre 2016
Torino: vittima delle vessazioni dei compagni bulli, diventa disabile a undici anni – Sara Martinenghi
Incredibilmente
grandi per fare tanto male, ma troppo piccoli per essere puniti. Perché, pur
frequentando la prima media, hanno agito con violenza da adulti e hanno
devastato, con botte, umiliazioni e vessazioni, la vita di un compagno di
scuola. Tanto che la vittima, a soli 11 anni, ora è stata dichiarata disabile:
la sua mente è stravolta da quello che gli è stato fatto. Un trauma così
profondo da sconvolgere i medici che l’hanno tenuto ricoverato un mese intero
per comprendere che fisicamente era sanissimo, ma psicologicamente era
distrutto per il bullismo subito da settembre 2015 fino agli inizi di gennaio.
E, mentre lui ora si ritrova invalido, la procura dei minori ha chiesto
l’archiviazione per i due compagni di scuola indagati: sono minori di 14 anni,
non possono essere processati.
"Era gennaio quando nostro figlio, che già da
qualche giorno aveva manifestato un profondo malessere per le continue angherie
subite da due compagni di classe, perdeva i sensi e si accasciava al suolo
dinanzi ai nostri occhi stupiti". È una scena straziante quella che
raccontano i genitori, solo la prima di una lunga serie di crisi che di lì a
poco cominciano a manifestarsi nel loro figlio più grande. "Neanche il
tempo di destarlo che il piccolo inizia a tremare con scatti improvvisi e
violenti, ad agitare le mani verso l’alto, quasi a proteggersi il volto, e poi
a dimenarsi sul pavimento, senza urlare, ma biascicando mugugni monotoni e
incomprensibili". Convulsione, epilessia, infarto sono gli spettri che in
un attimo fanno capolino nei loro primi pensieri. Di corsa, portano il figlio
al Regina Margherita. Era gennaio del 2016, e il bambino iniziava a esprimere
così il malessere devastante che celava dentro per l’incubo vissuto a scuola:
continui svenimenti, dissociazione dalla realtà, scene di violenza rivissute.
Paura di subire ancora e disperati tentativi di trovare rifugio e riparo dalle
botte…
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venerdì 25 novembre 2016
Gaza, la vita impossibile dei disabili
A fine settembre del
2016 in un ospedale nel Sud della Striscia di Gaza è nato Walid Shaath. Un
neonato sano e vitale che con il suo arrivo ha portato la popolazione di quel
fazzoletto di terra a quota 2 milioni. La Striscia, 360 chilometri quadrati
chiusi tra il Mar Mediterraneo e le frontiere sigillate con Israele ed Egitto,
è l’area più densamente popolata del pianeta. Secondo le Nazioni unite il
territorio potrebbe diventare invivibile per la sovrappopolazione nel 2020.
Pochi minuti dopo Walid è nata Lana Ayad, la cittadina numero 2.000.001. Ali
Khaled, lo zio della piccola raggiunto via Skype, si chiede: «Che futuro può
avere Lana qui a Gaza? Siamo reclusi e non abbiamo nulla, neppure la
possibilità di curarci».
BOMBE SULLA CASA. Mentre muove la
webcam per mostrare la sua protesi dice ancora: «Io sono fortunato. Ho perso la
gamba quando un carro armato israeliano ha bombardato la mia casa. Era il 2012
e allora era più facile trovare una gamba da sostituire alla mia». Khaled è tra
le migliaia di abitanti di Gaza che hanno imparato a vivere con la disabilità
legata alla perdita di arti dopo tre guerre, combattute dal 2008 a oggi, tra i
militanti palestinesi di Hamas e Israele. Secondo il Comitato internazionale
della Croce rossa (Cicr) a Gaza sono quasi 80 mila i disabili motori, un terzo
di loro sono vittime di guerra.
NEL 2014 11 MILA
FERITI. Solo durante il conflitto del 2014 i feriti furono più di 11 mila.
Più di 10 anni di blocco israeliano e l’apertura a singhiozzo del valico di Rafa
dal lato egiziano rendono difficile curarsi o seguire percorsi di
riabilitazione nella Striscia. Scarseggiano le medicine, ci sono poche
strutture per disabili e mancano i materiali e attrezzature per la costruzione
delle protesi.
La protesi? Due barre
metalliche e una scarpa da tennis
Khaled racconta che
col passare degli anni ha imparato a muoversi meglio con la sua semplice
protesi, due barre metalliche collegate da un giunto a livello del ginocchio,
con una scarpa da tennis bianca e blu nella parte inferiore. «Nonostante i
progressi che ho fatto con la nuova gamba non mancano i problemi. Per quelli
come me la vita di tutti i giorni a Gaza è una sfida. Molte strade non sono
asfaltate e sono invase di spazzatura, altre sono piene di buche e fossi». Poco
o nulla è fatto dalle autorità per migliorare le condizioni di vita dei
disabili.
«NON CHIEDIAMO LA
LUNA». Khaled, così, ha fondato un’associazione che si batte per i diritti
negati ai portatori di handicap. «Non chiediamo la luna, vogliamo solo strade asfaltate
e magari un accesso alla spiaggia. Tutti possono andare al mare, ma noi non
siamo abbastanza uguali agli altri per avere questo diritto». L’accesso alle
cure e ai presidi sanitari è un altro dei grandi problemi che i disabili a Gaza
devono affrontare.
«DIFFICILE IMPORTARE
PRODOTTI». Nella Striscia esiste una sola fabbrica di protesi. Nabil Farah, il
responsabile dell’azienda, spiega: «Non riusciamo a rispondere a tutte le
richieste, è difficile far entrare le materie prime a Gaza, in particolare i
prodotti chimici necessari per la produzione». Israele controlla rigorosamente
le merci che entrano nella Striscia di Gaza, nel tentativo di evitare l’arrivo
di elementi che potrebbero essere usati per costruire armi.
Anche il confine con
l’Egitto da tre anni è praticamente chiuso. Dall’inizio del 2016 sono entrate
nella Striscia, passando dal valico di Kerem Shalom alla frontiera con Israele,
4.562 tonnellate di materiale medico. Il dato è fornito da Cogat, l’ufficio del
ministero della Difesa israeliano che sovrintende il traffico di merci e uomini
tra i due Paesi.
NUMERI INSUFFICIENTI. Cogat ha
dichiarato di aver fatto uno sforzo per migliorare l’assistenza sanitaria per
gli abitanti di Gaza, ma le Nazioni unite hanno chiarito che le forniture continuano
a essere drammaticamente insufficienti e che è bisogno di una rimozione totale
del blocco, almeno per i presidi sanitari. «Più di 2.300 persone a Gaza hanno
bisogno di una protesi», dice ancora Farah, «e i rifornimenti che arrivano in
fabbrica ci permettono di soddisfare 12-18 persone al mese. E questo solo
grazie all’assistenza della Croce rossa».
Non solo per le merci, ma anche per gli esseri umani è difficile superare i valichi di frontiera. Le autorità di Tel Aviv rilasciano un numero limitato di permessi per uscire dal territorio, sempre più sigillato, anche per motivi di salute.
Non solo per le merci, ma anche per gli esseri umani è difficile superare i valichi di frontiera. Le autorità di Tel Aviv rilasciano un numero limitato di permessi per uscire dal territorio, sempre più sigillato, anche per motivi di salute.
UNO SU TRE NON ESCE. Secondo Cogat
nel 2016 è stato concesso a 22.635 palestinesi, compresi gli accompagnatori, il
permesso di raggiungere la Cisgiordania o qualche Paese estero per curarsi. I
dati forniti dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), però, dicono che
nel luglio 2016 a un palestinese su tre è stato negato il permesso di
raggiungere un ospedale fuori dalla Striscia. Su 2.040 richieste 680 sono state
rifiutate, comprese quelle di 146 bambini.
L’ortopedia è tra le
specialità mediche che più ritorna nelle richieste di visto, insieme
all’oncologia, pediatria, ematologia e oftalmologia. Quella che manca quasi
completamente è l’assistenza psicologica.
SOSTEGNO FONDAMENTALE. «Questo tipo di
aiuto è fondamentale», racconta Mamadou Sow, responsabile della Cicr a Gaza, «è
un sostegno decisivo per aiutare le persone a imparare come vivere senza un
arto, ma anche per facilitare il loro reinserimento nella società». Khaled è
orgoglioso della sua nipotina apparsa su tanti giornali, anche se «non credo
che potrò mai portarla a spasso per le strade di Gaza. Chissà, forse un giorno
riusciremo a emigrare e vivere in un Paese diverso, dove io potrò passeggiare e
Lana avere un futuro. Qui a Gaza non c’è speranza né per lei né per me».
mercoledì 23 novembre 2016
martedì 22 novembre 2016
Capsula mundi - Giovanni
Ti spaventa,
la morte? Così diretta, è una domanda che, anche se non lo sembra, ti suona un
poco strana. Una domanda alla quale non è così semplice dare una risposta unica
- anche se tutto farebbe pensare al contrario! Una risposta secca.
Una risposta univoca. Una risposta una-volta-per-tutte.
La morte in
sé - l'evento-morte, che dura un istante infinitesimale e rabbrividente - si
potrebbe dire che, più che spaventarti, ti sconcerta. Il caso di dirlo è: ti
lascia senza fiato. Hanno ragione i filosofi: quando c'è la morte, non ci sei
tu; e quando ci sei tu, non c'è la morte. Ed è per questo, credi, che la morte
sia per ciascuno di noi, qualcosa di impensabile a noi stessi. La
morte-singolo-evento-individuale-a-noi, ci è tuttavia esterna, sempre. Rispetto
a questo evento, siamo come due poli uguali di una calamita: non riusciamo a toccarci, e
possiamo avvicinarci solo quel tanto, non di più - dopo di quel limite, si
avvertono le forze di respingimento.
Cosa ti
spaventa della morte, non è la morte di per sé. Ma è il cammino che porta ad
essa - che di solito è un cammino fatto di dolore fisico, di sofferenza. Che
magari ti auguri di vivere insieme a chi vuoi bene, e che ti vuole bene: un
percorso. Cosa ti spaventa della morte è la tua probabile totale in-avvertenza,
o in-avvertibilità, in questa realtà - dopo che la morte è accaduta. Forse
siamo davvero vibrazioni quantiche, e la morte rappresenta un cambiamento di
vibrazione, una diversa frequenza che ci desintonizza dalla materia di questa
realtà, che ha una sua vibrazione caratteristica. Ad ogni modo, sei quasi
sicuro che nessuno - dopo - potrà percepirti in alcun modo attingibile coi
sensi conosciuti. Perciò, eccoti al nocciolo della tua paura. Della morte, ti
spaventa il non essere più lì - con tutte le conseguenze del caso - per
quelli che ti sono vicini, che ti vogliono bene, che ti cercano, che ti amano,
che hanno bisogno di te - finché sei vivo, vibrazione più, vibrazione meno.
Ché, se anche fosse come la radio - sulla quale le stazioni deboli o mal
sintonizzate si captano lontane, o piene di ronzii o interferenze di altre
stazioni - se sei sintonizzato male, al massimo, nella migliore delle
ipotesi, potresti essere come quel che è comunemente conosciuto come
fantasma. Il quale, ha ben poca possibilità di intervento su questo piano reale
vibratile. E non iniziamo nemmeno a fare ipotesi su cosa succede su altri piani
vibratili - a.k.a. l'Aldilà...
Alla morte,
però, ci pensi. O ci hai pensato. Hai pensato a cosa può essere, significare, il lutto.
(Un tema che hai in cuore di voler esplorare ancora, hai in mente almeno una
sfaccettatura che conti di poter intavolare quanto prima).
Hai pensato
a come trattare i fatti inerenti a quel che dicevi prima sul percorso che
precede la morte: quello, cioè, legato alla sofferenza, che implica avere
coscienza di cosa sia e possa essere l'empatia, la cura,
gli aspetti legati al cammino verso la morte; alle eventuali disabilità; a come vivere-la-morte. Discorsi forse
a malapena iniziati, in accenno. Ma che sono nel tuo blocco delle bozze e sui
quali c'è tanto, ma tanto da poter/voler dire, in futuro. Con la consapevolezza
che non si tratta di argomenti leggeri, tuttavia. E tuttavia, che si tratta
comunque di argomenti che hanno bisogno di essere spogliati dal tabù di
indicibilità imposto nella nostra cultura high tech. Non stai qui a fare un
elenco - stucchevole, forse, anziché no - di tutte le sfaccettature. Chi è
arrivato a leggere fin qui, è consapevole abbastanza da riuscire a
immaginarsele da solo senza troppo sgomento…
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lunedì 21 novembre 2016
Alluminio: un metallo dannoso che attacca il cervello
“Abbiamo fatto assumere a giovani
topi dosi consistenti di alluminio” – dichiara il dottor Roger Deloncle,
ricercatore della Facolta’ di Farmacia dell’Universita’ di Tours (Francia)- “e
abbiamo constatato una distruzione massiccia di neuroni.
L’alluminio accelera i processi di invecchiamento.
Prima dell’esperimento il cervello
dei topi poteva essere paragonato a quello di un ventenne, dopo l’esperimento
il cervello dei topi equivaleva a quello di un uomo di settanta anni.”
L’Organizzazione
mondiale della sanità (OMS) -dichiara Primo Mastrantoni, segretario
dell’Aduc- ha fissato un limite per l’assunzione di alluminio che equivale ad
un consumo giornaliero di 60 milligrammi (mg) al giorno per una persona di 60
kg.
Gli alimenti che ne contengono di piu’ sono le spezie, in particolare il basilico, 308 mg su 100 grammi, l’origano, 60 mg, e il timo 75 mg.
Gli alimenti che ne contengono di piu’ sono le spezie, in particolare il basilico, 308 mg su 100 grammi, l’origano, 60 mg, e il timo 75 mg.
A meno di fare una scorpacciata di
basilico tutti i giorni, il contenuto di alluminio degli alimenti non
preoccupa, ma a quello assunto con il cibo va aggiunto quello degli additivi (E
520, 521, 522, 523), quello degli utensili da cucina di alluminio (pentole,
caffettiere, fogli di alluminio, ecc.), attaccati da alimenti acidi (un etto di
pomodori per il sugo, scioglie 6.5 mg di alluminio), quello dell’acqua
potabile, che se trattata con solfato di alluminio, per eliminare le impurita’,
puo’ raggiungere i 20 mg/litro, quello dei deodoranti (antitraspiranti) che
contengono cloruro di alluminio ed infine quello dei farmaci, in particolare
gli antiacidi, che contengono idrossido di alluminio (Maalox, Gaviscon,
Digenal, Fosfalugel, ecc.).
Per evitare problemi la soluzione e’
piuttosto semplice: usare utensili di acciaio ed eliminare cibi e cosmetici
contenenti alluminio. Quanto ai farmaci sarebbe opportuno evitare di assumerli
insieme a prodotti acidi (succo di arancia, vitamina C, marmellate)
dice il dottor Jean Pilette sull'alluminio:
"L’alluminio è un metallo molto diffuso in natura in quanto esso costituisce circa l’8 % della crosta terrestre.
E’ un metallo leggero largamente utilizzato dall’uomo. Sfortunatamente si tratta di un metallo nocivo per il sistema nervoso centrale, capace di avere un ruolo determinante nella comparsa e nell’evoluzione di alcune malattie degenerative del sistema nervoso, come il Morbo di Parkinson, la sclerosi laterale amiotrofica e il morbo di Alzheimer, la più diffusa tra le forme di demenza senile.
L’alluminio può inoltre essere nocivo anche per le ossa, per i polmoni, per la paratiroide.
L’alluminio può penetrare nell’organismo in seguito ad inalazione, contatto, ingestione ed iniezione, sia quest’ultima di tipo intravenoso che di tipo intramuscolare o sottocutaneo. L’alluminio che passa nell’apparato digerente viene in parte eliminato con le feci, mentre quello che passa nel sistema circolatorio viene parzialmente eliminato dai reni.
L’accumulo
di alluminio nei vari organi cambia da persona a persona e dipende da numerosi
fattori. Questo accumulo può essere facilitato da un apporto più consistente di
alluminio attraverso una delle vie di assorbimento, oppure da un maggiore
afflusso del sangue a livello intestinale o da una minore eliminazione a livello
renale.
I neonati e le persone anziane sono in particolar modo soggetti ad accumulare più alluminio ed a subirne le conseguenze. Sono due gruppi a rischio che bisogna tenere particolarmente sotto controllo a tal proposito.
La modalità di trasporto dell’alluminio nel sangue facilita il suo accumulo nel cervello. Infatti nel plasma il 60% dell’alluminio si lega alla proteina che trasporta il ferro (transferrina), la qual cosa ne agevola il passaggio al cervello dove si trovano molti recettori della transferrina.
L’alluminio forma altresì un legame con un’altra proteina del plasma, l’albumina. Quest’ultima non può penetrare nel cervello se non attraverso un’alterazione della barriera sangue/cervello. Questa barriera può essere alterata da più fattori: ricordiamone due qui di seguito.
Innanzitutto l’alluminio ha di per sé stesso un’azione tossica diretta su questa barriera protettiva del cervello.
Un secondo fattore di alterazione di tale barriera è costituito dalle iperfrequenze, in particolare quelle utilizzate per la telefonia mobile.
I neonati e le persone anziane sono in particolar modo soggetti ad accumulare più alluminio ed a subirne le conseguenze. Sono due gruppi a rischio che bisogna tenere particolarmente sotto controllo a tal proposito.
La modalità di trasporto dell’alluminio nel sangue facilita il suo accumulo nel cervello. Infatti nel plasma il 60% dell’alluminio si lega alla proteina che trasporta il ferro (transferrina), la qual cosa ne agevola il passaggio al cervello dove si trovano molti recettori della transferrina.
L’alluminio forma altresì un legame con un’altra proteina del plasma, l’albumina. Quest’ultima non può penetrare nel cervello se non attraverso un’alterazione della barriera sangue/cervello. Questa barriera può essere alterata da più fattori: ricordiamone due qui di seguito.
Innanzitutto l’alluminio ha di per sé stesso un’azione tossica diretta su questa barriera protettiva del cervello.
Un secondo fattore di alterazione di tale barriera è costituito dalle iperfrequenze, in particolare quelle utilizzate per la telefonia mobile.
Le
iperfrequenze permettono all’albumina, sostanza neurotossica, di oltrepassare
la barriera ed entrare nei centri nervosi, esercitando effetti deleteri assieme
all’alluminio eventualmente legato ad essa.
I vaccini che contengono alluminio possono provocare non solo delle reazioni locali nel punto dove avviene la loro iniezione, ma anche una sintomatologia generale durevole, come stanchezza, febbre, dolori muscolari ed articolari. Questo insieme di sintomi costituisce una nuova patologia, la miofascite macrofagica, che è stata messa in evidenza per la prima volta nel 1993. I sintomi che la accompagnano sono stranamente simili a quelli della sindrome da stanchezza cronica e a quelli della sindrome della Guerra del Golfo.
L’OMS riconosce che, nei vaccini, “l’innocuità degli additivi è un argomento importante ma poco considerato”, ma allo stesso tempo essa non impedisce di continuare nei suoi programmi di vaccinazione, senza voler cambiare alcunché, né riguardo all’informazione sui vaccini che contengono Sali di alluminio, né riguardo ai programmi di somministrazione dei vaccini stessi.
I vaccini che contengono alluminio possono provocare non solo delle reazioni locali nel punto dove avviene la loro iniezione, ma anche una sintomatologia generale durevole, come stanchezza, febbre, dolori muscolari ed articolari. Questo insieme di sintomi costituisce una nuova patologia, la miofascite macrofagica, che è stata messa in evidenza per la prima volta nel 1993. I sintomi che la accompagnano sono stranamente simili a quelli della sindrome da stanchezza cronica e a quelli della sindrome della Guerra del Golfo.
L’OMS riconosce che, nei vaccini, “l’innocuità degli additivi è un argomento importante ma poco considerato”, ma allo stesso tempo essa non impedisce di continuare nei suoi programmi di vaccinazione, senza voler cambiare alcunché, né riguardo all’informazione sui vaccini che contengono Sali di alluminio, né riguardo ai programmi di somministrazione dei vaccini stessi.
La
reattività di una persona ad un agente tossico come l’alluminio resta difficile
da valutare.
E’ difficile prevedere quali saranno gli effetti secondari indotti in un adulto dalla somministrazione di un vaccino che contiene alluminio.
Ancora più complicato è prevedere quali saranno le reazioni di un neonato al medesimo vaccino.La conoscenza della reattività di un neonato resta alquanto ipotetica.
E’ difficile prevedere quali saranno gli effetti secondari indotti in un adulto dalla somministrazione di un vaccino che contiene alluminio.
Ancora più complicato è prevedere quali saranno le reazioni di un neonato al medesimo vaccino.La conoscenza della reattività di un neonato resta alquanto ipotetica.
In che
condizioni sono il suo metabolismo, i reni, il fegato, l’apparato digerente, il
cervello? Se non riceve il latte materno quali sono gli alimenti che gli
vengono somministrati? Quali medicinali o cosmetici vengono utilizzati dalla
madre? Il suo ambiente è elettromagnetico?
Dobbiamo
ammettere nostro malgrado la nostra ignoranza sull’impatto che può avere
l’iniezione di un vaccino contenente alluminio in un neonato, in un bambino o
in un adulto e, logicamente, le conseguenze a lungo termine sul funzionamento
del cervello.
Le vaccinazioni di routine e le vaccinazioni di massa generalmente vengono fatte senza effettuare prima alcun esame.
Non viene richiesto nessun esame del sangue prima di una vaccinazione e tantomeno un esame speciale che potrebbe determinare la quantità di alluminio già presente nel sangue del futuro vaccinato.
Sarebbe altresì finanziariamente oneroso proporre ai genitori tutta una serie di test finalizzati a sapere se il bambino da vaccinare ha delle probabilità di sopportare senza danno la vaccinazione prevista, sia essa obbligatoria o meno."
Le vaccinazioni di routine e le vaccinazioni di massa generalmente vengono fatte senza effettuare prima alcun esame.
Non viene richiesto nessun esame del sangue prima di una vaccinazione e tantomeno un esame speciale che potrebbe determinare la quantità di alluminio già presente nel sangue del futuro vaccinato.
Sarebbe altresì finanziariamente oneroso proporre ai genitori tutta una serie di test finalizzati a sapere se il bambino da vaccinare ha delle probabilità di sopportare senza danno la vaccinazione prevista, sia essa obbligatoria o meno."
Ndr.: il
dott. Pilette ha verificato che le dosi di alluminio che un neonato di 2 mesi
riceve nel siero, tramite il suo primo vaccino esavalente risulterebber0:
1.
827 volte la dose di alluminio considerata
normale;
2.
330 volte la dose di alluminio considerata
come limite superiore;
3.
220 volte la dose di alluminio considerata
come limite massimo;
4.
55 volte la dose di alluminio capace di
provocare dei danni al sistema nervoso e
5.
33 volte la dose di alluminio capace di
generare una encefalopatia.
domenica 20 novembre 2016
Ago incandescente sciogli tumore: il primo intervento in soli 10 minuti
Un ago incandescente contro il tumore. La tecnica
innovativa, che si chiama “termoablazione mediante microonde”, permette di
sciogliere il tumore (e
anche le forme metastatiche) al fegato, ai reni, ai polmoni, alla tiroide e
alle ossa in un’unica seduta, anche ambulatorialmente, in cui il paziente viene
sedato e curato in pochi minuti (VIDEO) senza sentire dolore e, in molti casi, senza avere la
necessità poi di altri trattamenti come quelli chemioterapici.
La nuova metodica, rivoluzionaria nel trattamento di
alcune neoplasie, è approdata nella Chirurgia e Medicina dell’Ospedale di Chioggia: proprio
oggi, martedì 15 novembre, i professionisti della Ulss 14 hanno curato con
questo innovativo trattamento, in soli dieci minuti, un signore chioggiotto di
75 anni che era affetto da una grave lesione metastatica epatica. L’intervento
di alta specialità si è tenuto nelle nuove sale operatorie di day surgery, recentemente restaurate.
«La
termoablazione mediante microonde – hanno spiegato il primario di Chirurgia Salvatore Ramuscello insieme al responsabile del servizio
di ecografia interventistica Mario Della Loggia – è un nuovissimo trattamento
che necessita di un generatore di microonde e di un terminale chiamato antenna
che, mediante guida ecografica, viene inserita direttamente nella lesione.
L’antenna, attraverso un aumento di temperatura rapido, controllato e
localizzato, provoca la distruzione del tessuto malato con la massima
precisione. Rispetto a ieri possiamo intervenire in maniera mininvasiva, con
una piccola incisione di 2-3 millimetri, su tumori importanti e calibrare il
tipo di cura a seconda della neoplasia: si agisce localmente, delimitando e
colpendo solo l’area interessata dalla malattia. Persino l’intensità di calore
e la durata dell’intervento viene misurata in base alla grandezza del tumore da distruggere. In questo modo evitiamo l’asportazione
chirurgica, rendendo possibile il trattamento anche su pazienti
pluripatologici, quindi inoperabili e fragili, con tempi di ricovero più brevi
e una migliore ripresa funzionale dei pazienti stessi».
L’intervento
di oggi è durato 10 minuti e nel giro di alcune ore il paziente potrà
già andare a casa con una ferita di 2 millimetri senza neppure sutura.
La
notizia è diventata virale al punto che il centralino dell’Uls 14 è stato subissato di chiamate da tutta Italia da parte persone interessate a questo
tipo di intervento. La Uls precisa che non è una prestazione limitata
localmente, ma che comunque tutte le richieste saranno vagliate dal Comitato
oncologico.
Fonte: Il Gazzettino
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sabato 19 novembre 2016
il diritto al cibo in Scozia
Il governo scozzese potrebbe presto
introdurre il "diritto al
cibo" tra le sue
leggi. L'obiettivo è quello di garantire a tutti un accesso sicuro al cibo:
quest'ultimo, inoltre, dovrà essere adeguato in quantità e abbordabile a
livello di costi. La proposta è stata avanzata dall'Independent Working Group on Food
Poverty, un gruppo di lavoro incentrato proprio sulla risoluzione di
problemi legati alla fame.
Il team ha pubblicato un report
all'inizio di quest'anno e, basandosi sui dati in esso pubblicati, ha proposto
al governo l'introduzione di alcune norme per implementare le politiche tuttora
in vigore e per utilizzare al meglio le risorse disponibili. Sebbene il
problema della fame non sia di facile risoluzione, le loro
"raccomandazioni" rappresentano il desiderio di un passo in avanti.
Tra quelle suggerite e accettate
dal governo, oltre al diritto al cibo esteso a tutti, c'è anche l'introduzione
di un sistema di controllo della sicurezza di ciò che viene venduto visto che,
come mette in evidenza uno studio dell'associazione Trussell Trust, negli
ultimi tempi il fenomeno dei banchi alimentari è sempre più diffuso...
giovedì 17 novembre 2016
mercoledì 16 novembre 2016
martedì 15 novembre 2016
Alla radice dell'intelligenza delle piante - Stefano Mancuso
(grazie a Pino per la segnalazione)
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Ted talks
lunedì 14 novembre 2016
domenica 13 novembre 2016
La grande abbuffata dei veleni - Silvia Ribeiro
Il sistema alimentare industriale, dalle sementi ai
supermercati, è una macchina che fa ammalare le persone e il pianeta. È strettamente collegato alle
principali malattie delle persone e degli animali da allevamento; è il singolo
più importante fattore del cambiamento climatico e una delle principali cause
del collasso ambientale globale, con la contaminazione chimica e l’erosione del
suolo, dell’acqua e della biodiversità, l’interruzione dei cicli dell’azoto e
del fosforo, vitali per la sopravvivenza di tutti gli essere viventi.
Secondo
L’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 68 per cento delle cause di
morte nel mondo, sono dovute a malattie non trasmissibili. Le principali
malattie di questo tipo, come quelle cardiovascolari,
l’ipertensione, il diabete, l’obesità e il cancro dell’apparato digestivo e
degli organi correlati, sono legate al consumo di cibo
industriale. La produzione agricola industriale e l’uso di
agrotossici che comporta (erbicidi, pesticidi e altri biocidi) è inoltre la
causa delle malattie più frequenti tra i lavoratori rurali, le loro famiglie e
gli abitanti dei villaggi vicini alle zone di coltura industriale: tra esse,
insufficienza renale cronica, intossicazione a avvelenamento per sostanze
chimiche e residui chimici nell’acqua, malattie della pelle, dell’apparato
respiratorio e diversi tipi di cancro.
Secondo un
rapporto del 2016 del Gruppo Internazionale di Esperti sui Sistemi Alimentari
Sostenibili (International Panel of Experts on Sustainable Food Systems IPES
Food), dei 7 miliardi di abitanti del mondo, 795 milioni soffrono la fame, 1
miliardo e 900 milioni sono obesi e 2 miliardi soffrono di deficienze
nutrizionali (mancanza di vitamine, minerali e altri nutrienti). Anche se il
rapporto chiarisce che in alcuni casi le cifre si sovrappongono, in ogni caso
significa che circa il 60 per cento degli abitanti pianeta
soffre la fame o sono malnutriti.
Una cifra
assurda e inaccettabile, che rimanda all’ingiustizia globale, ancor più per il
fatto che l’obesità, che un tempo era simbolo di ricchezza, è ormai un’epidemia
tra i poveri. Siamo invasi da “cibo” che ha perso
significative percentuali di contenuto alimentare a seguito
della raffinazione e della lavorazione; di verdure che a causa della
coltivazione industriale hanno diminuito il loro contenuto nutrizionale per l’
“effetto diluizione” poiché un maggior volume di raccolto sulla medesima
superficie comporta
una diluizione dei nutrienti; di alimenti con sempre più residui di agrotossici e che contengono molte altre
sostanze chimiche, come conservanti, aromatizzanti, esiti di
testurizzazione, coloranti e altri additivi. Sostanze che, così come è successo
con i cosiddetti “ acidi grassi trans” che alcuni decenni fa erano presentati
come salutari e che adesso si sa che sono altamente nocivi, a poco a poco si
sta rivelando che queste sostanze hanno impatti negativi sulla salute.
Al contrario
del mito generato dall’industria e dai suoi alleati -al quale molte persone
credono per mancanza di informazione- non abbiamo motivi per
tollerare questa situazione: il sistema industriale non è necessario
per alimentarci, né ora né in futuro. Attualmente raggiunge solo l’equivalente
del 30 per cento della popolazione mondiale, ma utilizza più del 70 per cento
della terra, dell’acqua e dei combustibili che si usano in agricoltura (Vedi Gruppo ETC ).
Il mito si
basa sui grandi volumi di produzione per ettaro di grano prodotto
industrialmente. Tuttavia, sebbene ne risultino grandi quantità, la catena dell’industria alimentare spreca dal 33 al 40 per
cento di ciò che produce.Secondo la FAO, si sprecano ogni anno 223
chilogrammi di cibo a persona, equivalenti a mille e 400 milioni di ettari di
terra, il 28 per cento della terra agricola del pianeta. Allo spreco che
avviene nel campo, si aggiunge quello della lavorazione, del confezionamento,
dei trasporti, della vendita nei supermercati e, infine, il cibo che si butta a
casa, soprattutto nei luoghi urbani e del nord globale.
Questo
processo di industrializzazione, di standardizzazione e di chimicalizzazione
dell’agricoltura ha pochi decenni. Il suo principale impulso è stata la
cosiddetta “Rivoluzione Verde” -l’uso di
sementi ibride, fertilizzanti sintetici, agrotossici e macchinari- , promossa dalla statunitense Fondazione Rockefeller,
iniziando con l’ibridazione del mais in Messico e del riso nelle Filippine,
attraverso i centri che sarebbero poi diventati il Centro Internazionale di
Miglioramento del Mais e del Grano ( CIMMYT International Maize and Wheat
Improvement Center) e l’Istituto Internazionale di Ricerca sul Riso
(IRRI International Rice Research Institute ). Questo
paradigma trova la sua massima espressione nei transgenici.
Non si è
trattato solo di un cambiamento tecnologico; è stato lo strumento
chiave per passare dai campi decentralizzati e diversificati,
basati fondamentalmente sul lavoro contadino e familiare, sulla ricerca
agronoma pubblica e senza brevetti, su imprese piccole, medie e nazionali, a un immenso mercato industriale mondiale -dal
2009 il più grande mercato mondiale- dominato da multinazionali che devastano i
terreni e i fiumi, contaminano le sementi e trasportano cibo, fuori stagione,
attraverso tutto il pianeta e che, per tutto questo, non possono prescindere
dai prodotti chimici e dai combustibili fossili.
L’aggressione
non è solamente per il controllo dei mercati e per l’imposizione delle
tecnologie, contro la salute delle persone e dell’ambiente. All’industrializzazione dà fastidio ogni diversità e peculiarità
locali e c’è quindi un attacco continuo verso l’essere e il
fare collettivo e comunitario, verso le identità che comprendono in sé le
sementi e i cibi locali e diversi, verso l’atto profondamente radicato nella
storia dell’umanità che consiste nel decidere cosa e come mangiare.
Malgrado
ciò, continuano ad essere le e i contadini, pastori e pescatori
artigianali, gli orti urbani, quelli che nutrono la maggioranza della
popolazione mondiale. Difenderli e affermare la diversità, la
produzione e l’alimentazione locale contadina e biologica vuol dire anche difendere la salute e la vita di tutti e di tutto.
Pubblicato
su La
Jornada con il titolo ¿Comida o basura? La máquina de
generar enfermedad
Traduzione
per Comune-info: Daniela Cavallo
venerdì 11 novembre 2016
Depenalizzazione uso droga, meno morti e malati di Hiv: il 'modello portoghese' funziona – Alessandro Oppes
Il
'modello portoghese' funziona. Quindici anni fa, la decisione del Parlamento di
Lisbona (governavano i socialisti con maggioranza assoluta, premier Antonio
Guterres, oggi segretario generale dell'Onu) di depenalizzare l'uso delle droghe provocò
sconcerto nel mondo. Il consumo andrà alle stelle, profetizzavano gli scettici,
la tossicodipendenza diventerà un fenomeno fuori controllo. E invece, niente di
tutto questo.
"A batalha foi ganha", la battaglia è stata vinta, esulta ora il quotidiano Público, facendo il bilancio di un'esperienza che in molti altri Paesi viene studiata con attenzione. Non solo non c'è stato un incremento dei consumatori, non solo è stato fugato il timore che Lisbona potesse trasformarsi nella capitale mondiale dei tossicodipendenti provenienti dai cinque continenti, ma i benefici sono stati nettamente superiori al temuto effetto negativo della nuova legge.
Ad esempio il numero di morti per overdose: 22 nel 2013 (un migliaio in Germania, duemila nel Regno Unito), contro i 94 del 2008, mentre per il periodo precedente non esistono statistiche certe, ma la cifra era sicuramente superiore. E poi i dati sulle infezioni da Hiv associate alla tossicodipendenza: dalle 18.500 del 1983 alle 40 del 2014.
Se inoltre, in linea con quanto avviene nel resto d'Europa, è aumentato il numero di consumatori di ecstasy e di altre droghe sintetiche, si è invece ridotta notevolmente - di circa il 70 per cento - la cifra dei dipendenti da eroina, che all'epoca dell'entrata in vigore della nuova norma era il peggiore flagello che colpisse il Portogallo. È il successo della politica di "riduzione dei danni e di reinserimento sociale", come la definisce João Goulão, direttore del Sicad, l'istituzione pubblica che lotta contro le tossicodipendenze.
Al di là dei numeri, comunque confortanti, quello che conta è che i consumatori passano a essere considerati, da potenziali delinquenti, a persone che necessitano di essere trattate come malati. Il fatto che la legge depenalizzi l'uso e il possesso di dosi per consumo personale fino a un massimo di dieci giorni (15 grammi nel caso di cocaina o eroina, 20 grammi di cannabis), ha indotto molti tossicodipendenti - soprattutto gli eroinomani - a richiedere l'assistenza dei centri di riabilitazione. Per loro, una maggiore serenità nel presentarsi alle istituzioni specializzate senza il timore di subire misure repressive della polizia, per la società un passo avanti verso migliori condizioni per garantire la salute pubblica.
Ovviamente, è caduta in picchiata anche la percentuale di popolazione carceraria condannata per reati legati alle droghe: dal 41 per cento del 2001 al 19 per cento del 2014. La maggior parte degli attuali detenuti deve rispondere di accuse di narcotraffico.
"A batalha foi ganha", la battaglia è stata vinta, esulta ora il quotidiano Público, facendo il bilancio di un'esperienza che in molti altri Paesi viene studiata con attenzione. Non solo non c'è stato un incremento dei consumatori, non solo è stato fugato il timore che Lisbona potesse trasformarsi nella capitale mondiale dei tossicodipendenti provenienti dai cinque continenti, ma i benefici sono stati nettamente superiori al temuto effetto negativo della nuova legge.
Ad esempio il numero di morti per overdose: 22 nel 2013 (un migliaio in Germania, duemila nel Regno Unito), contro i 94 del 2008, mentre per il periodo precedente non esistono statistiche certe, ma la cifra era sicuramente superiore. E poi i dati sulle infezioni da Hiv associate alla tossicodipendenza: dalle 18.500 del 1983 alle 40 del 2014.
Se inoltre, in linea con quanto avviene nel resto d'Europa, è aumentato il numero di consumatori di ecstasy e di altre droghe sintetiche, si è invece ridotta notevolmente - di circa il 70 per cento - la cifra dei dipendenti da eroina, che all'epoca dell'entrata in vigore della nuova norma era il peggiore flagello che colpisse il Portogallo. È il successo della politica di "riduzione dei danni e di reinserimento sociale", come la definisce João Goulão, direttore del Sicad, l'istituzione pubblica che lotta contro le tossicodipendenze.
Al di là dei numeri, comunque confortanti, quello che conta è che i consumatori passano a essere considerati, da potenziali delinquenti, a persone che necessitano di essere trattate come malati. Il fatto che la legge depenalizzi l'uso e il possesso di dosi per consumo personale fino a un massimo di dieci giorni (15 grammi nel caso di cocaina o eroina, 20 grammi di cannabis), ha indotto molti tossicodipendenti - soprattutto gli eroinomani - a richiedere l'assistenza dei centri di riabilitazione. Per loro, una maggiore serenità nel presentarsi alle istituzioni specializzate senza il timore di subire misure repressive della polizia, per la società un passo avanti verso migliori condizioni per garantire la salute pubblica.
Ovviamente, è caduta in picchiata anche la percentuale di popolazione carceraria condannata per reati legati alle droghe: dal 41 per cento del 2001 al 19 per cento del 2014. La maggior parte degli attuali detenuti deve rispondere di accuse di narcotraffico.
giovedì 10 novembre 2016
Mohammad Alaa Jaleel nutre qualche gatto ad Aleppo
Malgrado la guerra, Mohammad
Alaa Jaleel è
rimasto ad Aleppo per prendersi cura dei gatti rimasti senza
padrone a causa della guerra.
Dopo l’esodo causato dalla guerra sono migliaia i gatti e gli altri
animali domestici abbandonati che si aggirano per le strade deserte di Aleppo.
Soli, disidratati, affamati, si avvicinano all’unico uomo che è rimasto per prendersi cura
di loro. Il suo nome è Mohammad Alaa Aljaleel, di
professione elettricista, un uomo forte, che ha fatto una scelta coraggiosa: ha deciso di non partire, di restare nel suo paese a guidare ambulanze, a portare soccorso ai
feriti e ad accudire i suoi gatti e gli altri animali abbandonati al loro
destino in questo triste scenario di guerra.
Avrebbe potuto
trasferirsi in Turchia e sottrarsi alla violenza e agli orrori che ogni giorno
incombono sulla Siria, ma ha scelto di restare, perché, per lui, come ha
dichiarato in un’intervista: umanità
e compassione sono le cose più importanti della vita. Quando
sono partiti tutti, i gatti hanno iniziato a venire da me –
ha raccontato Alaa, soprannominato “l’uomo gatto” – Alcune persone mi hanno lasciato il loro gatto
perché sanno che li amo. Inizialmente si è preso cura di una
ventina di gatti, ma poi il numero è cresciuto in modo esponenziale fino a
diventare centinaia e per loro Alaa ha
creato una sorta di santuario tra le macerie.
Dotato di un altruismo
estremo, non solo Alaa si è fatto carico dei gatti della città, ma ha
dimostrato anche grande sensibilità per lo stato d’animo degli umani che sono
stati costretti a separarsi dai loro animali domestici, come una bambina che,
prima di partire, gli ha consegnato il suo gattino e gli ha chiesto in lacrime
di inviarle regolarmente delle foto. Alaa le ha promesso: Lui resterà con me e io ne avrò cura fino a quando
torni e quel giorno sarà ancora tuo. Aleppo è una città distrutta dalla guerra,
ove si sta compiendo quello che dal segretario delle Nazioni Unite ha definito
“uno dei più grandi genocidi nella storia dell’umanità”. La scelta di Alaa è un esempio
che dimostra che l’amore può ancora vincere, anche sulla guerra.
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mercoledì 9 novembre 2016
ricordo di Umberto Veronesi (con le sue parole)
Ci sono parole che ho portato con me lungo tutti i giorni della mia vita. Alcune di queste mi hanno guidato e sono state l'insegnamento al quale ho attinto. "Nella letteratura universale troviamo molti predicatori, molti dispensatori di lezioni, molti censori che dispensano morale agli altri con sufficienza, con ironia, con cinismo, con durezza, ma è estremamente raro vedere un uomo mentre si sta esercitando a vivere e pensare". Questa frase del filosofo francese Pierre Hadot mi ha illuminato sul mio testamento intellettuale.
Non ho lezioni di vita o di morale né verità da tramandare, ma solo l'esperienza di un uomo che ha molto vissuto e molto pensato. Ho scritto in uno dei miei ultimi libri che sono giunto alla conclusione che il mestiere dell'uomo è pensare. Pensare autonomamente, coscientemente per costruire un sistema libero di interpretazione del mondo. Certo la nostra libertà di pensiero è limitata da scelte che non abbiamo potuto fare in prima persona: i genitori e il paese in cui nasciamo prima di tutto. Tuttavia dobbiamo ampliare la nostra autonomia adottando il dubbio come metodo.
Ai miei giovani medici ho sempre fatto una raccomandazione. Siate dubbiosi e siate trasgressivi, se trasgredire significa andare oltre limite del dogma o la rigidità della regola. Guardate all'esperienza della mia lunga vita: senza dubbio e senza trasgressione non avrei visto (e contribuito a provocare) i progressi nella lotta al cancro, l'evoluzione del ruolo delle donne, l'affermazione della libertà di amare, avere figli e vivere la propria sessualità, il tramonto del razzismo, la nascita del senso di sostenibilità ambientale e il rispetto per l'armonia del pianeta e per tutti gli esseri viventi. È vero anche che non ho visto, come da giovane ho sperato, la sconfitta del cancro e neppure la fine della violenza delle guerre e della fame nel mondo. E questo mi rammarica profondamente.
In tanti vorranno sapere se in questo mio riflettere, e studiare, e impegnarmi incessantemente per tante cause ho trovato il senso della vita. Sì, ho una risposta: la vita forse non ha alcun senso. Ma proprio per questo passiamo la vita a cercarne uno. L'importante non è sapere, ma cercare. Sconfiggere l'ignoranza sia il vostro impegno primario, perché l'ignoranza non ci dà alcun diritto. Continuate a cercare fino alla fine, con la consapevolezza che non potete fare a meno del bene e della vita.
da quiNon ho lezioni di vita o di morale né verità da tramandare, ma solo l'esperienza di un uomo che ha molto vissuto e molto pensato. Ho scritto in uno dei miei ultimi libri che sono giunto alla conclusione che il mestiere dell'uomo è pensare. Pensare autonomamente, coscientemente per costruire un sistema libero di interpretazione del mondo. Certo la nostra libertà di pensiero è limitata da scelte che non abbiamo potuto fare in prima persona: i genitori e il paese in cui nasciamo prima di tutto. Tuttavia dobbiamo ampliare la nostra autonomia adottando il dubbio come metodo.
Ai miei giovani medici ho sempre fatto una raccomandazione. Siate dubbiosi e siate trasgressivi, se trasgredire significa andare oltre limite del dogma o la rigidità della regola. Guardate all'esperienza della mia lunga vita: senza dubbio e senza trasgressione non avrei visto (e contribuito a provocare) i progressi nella lotta al cancro, l'evoluzione del ruolo delle donne, l'affermazione della libertà di amare, avere figli e vivere la propria sessualità, il tramonto del razzismo, la nascita del senso di sostenibilità ambientale e il rispetto per l'armonia del pianeta e per tutti gli esseri viventi. È vero anche che non ho visto, come da giovane ho sperato, la sconfitta del cancro e neppure la fine della violenza delle guerre e della fame nel mondo. E questo mi rammarica profondamente.
In tanti vorranno sapere se in questo mio riflettere, e studiare, e impegnarmi incessantemente per tante cause ho trovato il senso della vita. Sì, ho una risposta: la vita forse non ha alcun senso. Ma proprio per questo passiamo la vita a cercarne uno. L'importante non è sapere, ma cercare. Sconfiggere l'ignoranza sia il vostro impegno primario, perché l'ignoranza non ci dà alcun diritto. Continuate a cercare fino alla fine, con la consapevolezza che non potete fare a meno del bene e della vita.
qui qualche citazione
In volo col drone sulle foreste di mangrovie a Java. Che rischiano di sparire – Jacopo Pasotti
Il volo del drone attraverso le pianure costiere
dell'isola di Java mostra senza alcuna clemenza il risultato di trent'anni di
espansione della aquacoltura a scapito dell'ecosistema delle mangrovie. In meno
di un secolo sull'isola indonesiana è scomparso almeno il 70% delle foreste di
mangrovie. Secondo le recenti stime riportate dall'ecologo Muhammad Ilman della Università del Queensland
(Australia) in uno studio pubblicato su Landuse Policy quest'anno, l'Indonesia possedeva
almeno fino al 1800 circa 4.2 milioni di ettari di foreste di mangrovie, oggi
ne rimangono tra 2.8 e 3.2 milioni di ettari. In tutto l'Indonesia avrebbe
dunque perso il 22% delle mangrovie, con una impennata negli ultimi 30 anni
(sul dato incide Papua, dove per il momento il disboscamento è stato solo del
6% delle foreste)…
continua
qui
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giovedì 3 novembre 2016
Benin, il villaggio sotterraneo che rimette in moto la Storia - Antonella Sinopoli
Africa da scoprire. Il continente
africano – nonostante si pensi forse il contrario – è rimasto praticamente inesplorato (e, sotto questo aspetto,
trascurato), soprattutto a Sud del
Sahara.
A parte le razzie di opere del
passato, oggi “custodite” nei più grandi musei al mondo
e quelle delle risorse naturali, rimane nell’ombra e nascosta buona parte
della storia dell’epoca pre-coloniale ma anche quella molto, molto più
addietro.
L’archeologia in Africa ha privilegiato
il periodo preistorico,
anzi si è concentrata a lungo solo su quegli aspetti che riguardano
l’evoluzione degli esseri umani. Questo ha
reso difficile doversi ricredere su quel pregiudizio che vuole che il continente non abbia
sviluppato opere, manufatti e culture senza bisogno di attendere gli arabi o
gli europei. E che vuole che gli africani siano rimasti in uno stadio infantile, di
sottosviluppo e privi di storia (parole del razzista ante
litteram, il filosofo tedesco Hegel) fino all’arrivo dei colonizzatori.
Sul sito di History List che
presenta “10 incredibili siti archeologici in Africa” c’è una
frase che ingenuamente manifesta un razzismo radicato e strutturale. La frase
è: “I siti archeologici in Africa hanno aiutato a spiegare alcuni dei
più grandi misteri nella storia dell’umanità ma ce ne sono anche molti che
stupiscono gli scienziati moderni. Questo perché non si presupponeva che tali
antiche società fossero così avanzate“. Inutile dire che i 10 siti
che hanno lasciato con la bocca aperta gli scienziati sono una infinitesima
parte di altri che stanno venendo alla luce e di chissà quanti ancora ancora
celati.
Oggi, per fortuna, c’è del movimento e
anche sul web è possibile trovare aggiornamenti su studi e
… lavori in corso. Uno dei pochi modi per rimanere aggiornati visto
che certe informazioni vengono spesso custodite e trasmesse solo tra gli
addetti ai lavori. Uno dei siti/archivio è The World Wide Web Library of African
Archaeology.
Molte delle scoperte fatte finora nell’Africa
Sub-Sahariana, sono state quasi sempre frutto del caso. Come quello che ha
portato recentemente alla luce in Benin una città
sotterranea, risalente a un periodo in cui il Paese si chiamava
ancora Dahomey e vi regnavano re potenti e orgogliosi.
La scoperta – di quello che è stato poi
chiamato Villaggio
sotterraneo di Agongointo – si deve a operai di una
ditta danese che stavano lavorando alla costruzione di una strada nell’area di
Bohicon. Un mezzo finì in una sorta di botola che in realtà altro non era
che una delle migliaia di cunicoli che formano la città sotterranea. I primi scavi parlavano di un
periodo compreso tra il 1600 e il 1700 ma successivamente si è capito che le
costruzioni erano anche antecedenti, al XV-XIV secolo.
Ingresso di uno dei rifugi sotterranei
portati alla luce. Foto tratta dal web
Costruite a circa dieci metri dalla
superficie le “case” servivano da nascondiglio e strategia di guerra per i
soldati dei re ma erano strutturate come vere e proprie abitazioni, con
delle salette e due aree circostanti per raccogliere l’acqua con un sistema di
filtraggio naturale, il che consentiva di rimanere nascosti per periodi
anche lunghi.
Il luogo dove è avvenuta la prima
scoperta. Foto tratta dal web
Gli scavi del sito – ora sotto nella lista dell’UNESCO – hanno
contribuito a portare alla luce anche un’altra scoperta – ancora più
stupefacente del villaggio sotterraneo. Si tratta di scorie di materiale
ferroso che – secondo rilevazioni al carbonio 14 – risale a prima del 1000 a.C. Una scoperta che
potrebbe cambiare – e forse lo ha già fatto – la storia del continente, e non
solo.
A Bohicon abbiamo incontrato la guida –
e studioso – che fin dal primo momento ha seguito gli sviluppi degli scavi e
dei successivi ritrovamenti. Lasciamo raccontare a lui – nell’intervista/video
che abbiamo realizzato sul posto – il valore e il significato di questa
scoperta. Che ancora non è conclusa.
“Si tratta –
dice Théodore Atrokpo – della più antica città al di là
di quelle che esistevano in Egitto“. La più antica dell’Africa
Sub-Sahariana.
da qui
da qui
mercoledì 2 novembre 2016
La Giunta Pigliaru persevera per il nuovo Editto delle Chiudende, il Consiglio regionale la segue. Non solo per “salvare” i tabacchini, per passare alla storia
Altro che un qualsiasi vicere sabaudo ottocentesco, nella
Sardegna del XXI secolo si fa sul serio.
La Giunta Pigliaru, con
la deliberazione n.
57/13 del 25 ottobre 2016 ha
approvato il disegno di
legge regionale (testo + relazione illustrativa) concernente “Disposizioni
urgenti in materia di usi civici. Modifiche all’articolo 18-bis della legge
regionale 14 marzo 1994, n. 12 (Norme
in materia di usi civici. Modifica della legge regionale 7 gennaio 1977, n. 1
concernente l’organizzazione amministrativa della Regione sarda)”,
ovviamente con la massima trasparenza,
il più profondo buon senso,
la più ampia condivisione con la cosiddetta società civile, la più
strenua attenzione alla tutela
ambientale e degli interessi pubblici delle collettività locali.
D’altra parte, non potrebbe
attendersi di meno da una Giunta regionale di centro-sinistra, autonomista, nonché sovranista.
Tutto questo è molto bello, ma la
realtà è diversa. Molto meno oleografica. E stavolta non l’han creata i soliti berlusconiani.
In pratica, la
Giunta Pigliaru ha proposto che i terreni appartenenti ai demani civici siano
sclassificati – cioè
sdemanializzati – ma la
perdita della tutela paesaggistica di cui al decreto legislativo n. 42/2004 e
s.m.i. sarebbe sospesa in attesa delle
verifiche svolte dal Ministero per i beni e attività culturali e del turismo e
della Regione nell’ambito degli accordi di copianificazione propri della
pianificazione paesaggistica.
Un pastrocchio sul piano giuridico (non si comprende
a qual titolo quelle aree rimarrebbero tutelate con il vincolo paesaggistico
pur avendo perso la qualifica demaniale civica), un vero e proprio furto ai danni delle collettività locali,
che sarebbero depauperate di terreni del proprio demanio civico senza nulla ìn
cambio.
Ricordiamo, infatti, che i
titolari dei diritti di uso civico sono i cittadini residenti in un dato
Comune, non il Comune.
La Giunta Pigliaru – stranamente su impulso dell’Assessore
degli Enti locali, Finanze, Urbanistica Cristiano Erriu anzichè della “collega”
Elisabetta Falchi, Assessore dell’Agricoltura competente in materia di usi
civici – ha proposto e lo stesso 25 ottobre, in seduta notturna resa
possibile dall’accordo di
tutti i capigruppo delle formazioni politiche
consiliari (art. 102 del Regolamento interno), il Consiglio regionale – ha approvato.[1]
Di
notte, di soppiatto, in silenzio.
Perché “il portato … degli usi civici … blocca in Sardegna
molte iniziative degli enti locali”, come ha affermato l’on. Attilio
Dedoni (Roformatori Sardi) e “ci sono tabacchini, ristoranti, bar che
stanno sugli usi civici e su terreni gravati da uso civico”, come ha
sottolineato l’on. Marco Tedde (Forza Italia).
Gli attuali Giunta e Consiglio regionali non vogliono soltanto salvare i tabacchini dagli usi civici,
vogliono a tutti i costi passare alla storia, vogliono un nuovo ignobile Editto delle Chiudende, nonostante il precedentesia sotto giudizio della Corte costituzionale e nonostante la recente decisione categorica già attuata dalla
stessa Corte
costituzionale.
Ricordiamo,
infatti, che il Governo
Renzi ha deciso (10
giugno 2016) di impugnare (art. 127 cost.) davanti alla Corte costituzionalela legge regionale 11 aprile 2016, n. 5 (finanziaria 2016), fra cui le norme (art. 4,
commi 24°, 25°, 26° e 27°) che dispongono nuove
ampie ipotesi di sdemanializzazione di terreni a uso civico dai demani
civici (legge n. 1766/1927 e
s.m.i., regio decreto n.
332/1928 e s.m.i., legge regionale n.
12/1994 e
s.m.i.).
Questo
il precedente Editto delle Chiudende, contro il quale l’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico
onlus aveva inoltrato
una puntuale e documentata istanza (18 aprile 2016) proprio per la proposizione dell’impugnativa
davanti alla Corte costituzionale.
Queste
norme regionali, proposte e votate da una maggioranza trasversale sovranista e di centro-sinistra, violano infatti
le competenze statali esclusive in materia di tutela dell’ambiente (artt. 9, 117, comma
2°, lettera s, cost.), come già riconosciuto con la sentenza della Corte costituzionale n. 210/2014, che dichiarò illegittima la legge regionale Sardegna n. 19/2013 di analogo contenuto.
Il Gruppo d’Intervento Giuridico
onlusha espresso forte
soddisfazione per la decisione governativa,
in quanto da sempre difende e continuerà a difendere con una campagna permanente i demani
civicie i diritti
di uso civico delle
collettività locali, che costituiscono circa un quinto della Sardegna, dalle
vergognose operazioni
speculative fin
troppo spesso sostenute da iniziative
politiche di ben
basso profilo.
D’altro
canto, davanti a simile nuova iniziativa legislativa, le cui modalità e
motivazioniespresse
dall’Assessore Erriu non convincono proprio, non può che proporre ulteriore istanza al Governo
nazionale perché
mantenga ferma l’impugnativa davanti alla Corte costituzionale in difesa degli interessi ambientali e per la tutela dei diritti di uso civico.
Il Gruppo d’Intervento Giuridico
onlus avanza anche una proposta per i casi dove ci si ritrovi
davanti a radicali e
irreversibili trasformazioni di terreni appartenenti a demani civici,
per salvaguardare valore
ambientale e diritti delle collettività
locali.
Eccola
di seguito, utilizzabile liberamente e gratuitamente da Giunta e Consiglieri
regionali. E speriamo che prima o poi giunga un sussulto di buon senso e
prudenza.
Stefano Deliperi, Gruppo
d’Intervento Giuridico onlus
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