Consiglio
per chi vincerà le elezioni. Di qualunque schieramento voi
siate, quali che siano le vostre idee in economia e quale che
sia la vostra storia politica, sappiate che non solo nel mondo
accademico, ma anche nelle grandi organizzazioni internazionali notoriamente
non invise ai mercati, la questione della necessità di un intervento pubblico è ormai sdoganata.
La storia
recente e il ruolo dello Stato
Ce l’ha
insegnato la crisi del 2008. Perché senza azioni immediate da
parte dei governi il crollo della finanza avrebbe trascinato
con sé le economie del mondo intero (e in parte lo ha comunque fatto). Ce l’ha
ribadito la pandemia. Perché senza interventi immediati di sostegno
a cittadini e imprese non ne saremmo mai usciti (e in parte ancora stiamo
cercando di farlo). E infine lo conferma oggi la crisi energetica,
con gli esecutivi di tutta Europa che si apprestano a massimi piani di aiuti.
Ma ancor di
più ce lo dimostra la crisi climatica. Perché senza un massiccio,
profondo e determinante intervento pubblico non sarà possibile stimolare i
finanziamenti privati necessari per la transizione ecologica. A
partire da quelli di banche e fondi
d’investimento (ovvero di quel mondo nel quale ancora circolano
immensi capitali).
Elezioni,
crisi di vario genere, ruolo dello Stato, economia, cambiamenti climatici. Per
unire i fili di tutti gli aspetti evocati è utile un’analisi pubblicata il 19 agosto dal Fondo monetario internazionale. Firmata dalla direttrice
generale Kristalina Georgieva e dal direttore del dipartimento
dei Mercati monetari Tobias Adrian. Secondo i quali «il settore
pubblico deve rivestire un ruolo centrale nello stimolare i finanziamenti
privati per la transizione».
«I cambiamenti
climatici – hanno spiegato i due dirigenti – rappresentano una delle
principali sfide in materia di politica macroeconomica e finanziaria che
occorrerà affrontare nei prossimi decenni. Le recenti impennate dei prezzi
dei combustibili e dei prodotti alimentari, con i rischi
sociali ad esse connessi, evidenziano quando sia importante investire nelle
energie verdi. E rafforzare la resilienza di fronte agli shock».
Secondo le
stime dello stesso FMI, saranno necessari di qui al 2050 fino a 6mila
miliardi di dollari, per attuare i cambiamenti di cui il mondo ha
bisogno per scongiurare il peggio. Ad oggi ne sono stati stanziati 630, e solo
una piccola parte è stata destinata ai Paesi in via di sviluppo.
Che sono i meno responsabili della crisi climatica, pur patendone spesso le
peggiori conseguenze.
Per salvare
il clima dobbiamo mobilitare 6mila miliardi di dollari
«Abbiamo
bisogno di una svolta per ottenere maggiori finanziamenti pubblici e ancor più
privati. Con 210mila miliardi di dollari di asset finanziari nelle
mani delle imprese, ovvero due volte il Prodotto interno lordo del Pianeta, la
grande sfida dei responsabili politici e degli investitori sta nell’allocare la
gran parte di questi fondi a progetti di mitigazione e di adattamento ai
cambiamenti climatici».
Per
riuscirci, Georgieva e Adrian sottolineano la necessità non solo di un
rinnovato impegno dei governi, ma anche delle banche multilaterali per
lo sviluppo e delle partnership tra pubblico e
privato. Gli Stati, in particolare, secondo i due dirigenti «possono mostrare
l’esempio, stabilendo regole per agevolare le decisioni dei privati, valutare
i rischi ed evitare il
greenwashing».
L’esempio, chiede il FMI. Esattamente il contrario di quanto fatto finora dai
governi di 51 Paesi ricchi, che hanno concesso al settore delle fonti
fossili 700 miliardi di
dollari nel 2021,
raddoppiando la cifra rispetto all’anno precedente.
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