domenica 28 aprile 2013

(in)utilità della vivisezione

...Thomas Hartung, tossicologo di fama internazionale a capo per anni dell'Ecvam, ama ricordare come l'aspirina sia velenosa per gli animali da laboratorio e un miracolo per gli umani. Claude Reiss, luminare della biologia molecolare francese, sostiene che i test di tossicità sugli animali sono “inutili e dannosi”. E già nel 2004 il prestigioso British Medical Journal auspicava una moratoria degli esperimenti animali chiedendosi: “Dove sono le prove che le sperimentazioni animali portano beneficio alla medicina?”. 
“Il grande pubblico è ancora convinto che ogni grande progresso medico è stato ottenuto grazie alla sperimentazione sugli animali”, sostiene Marco Mamone Capria, matematico ed epistemologo presso l'università di Perugia e presidente dell'associazione Hans Ruesch, impegnato a dimostrare – come molti scienziati – che la vivisezione non è soltanto eticamente ingiusta, ma scientificamente inutile...

può dare prove del fallimento della vivisezione sul piano clinico ovvero nella medicina umana?
Innanzitutto andrebbe ricordato che, in base a una stima della Food and Drug Administration degli Stati Uniti, il 92 per cento dei farmaci provati sicuri nei test su animali falliscono nelle fasi cliniche. I sostenitori della sperimentazione animale a scopo medico cercano di aggirare questo risultato, davvero desolante, obiettando che bisogna considerare anche quanti farmaci nocivi sono stati evitati grazie ai test su animali. Ma come si fa saperlo, se i risultati negativi sugli animali bloccano l'iter del farmaco prima delle fasi cliniche? Ci si dovrebbe, piuttosto, preoccupare dei farmaci che avrebbero funzionato sull'uomo e di cui invece non sapremo mai che efficacia clinica abbiano. Per esempio, è ben noto che l'individuazione della causa dell'ulcera gastrica nel batterio detto helicobacter pylori, scoperta premiata con il Nobel nel 2005 e che ha aperto la via alla cura antibiotica di tale disturbo, è stata ritardata dal tentativo di mostrare che la stessa cosa succedeva negli animali; come ha raccontato lo scopritore, Barry Marshall, alla fine dovette risolversi all'autosperimentazione – una pratica, peraltro, molto più comune di quanto le storie ufficiali della medicina raccontino.

Non dobbiamo più fidarci dei farmaci che assumiamo perché sono testati sugli animali?
La conseguenza non vale, perché, per esprimerci nei termini dell'epistemologia neoempirista, confonde tra contesto della scoperta e contesto della giustificazione. Questo però non vuol dire che l'efficacia dei farmaci in commercio sia molto elevata, perché in effetti non lo è, come è stato ammesso anche autorevolmente. E d'altra parte per i soli Stati Uniti si stimano in 100.000 circa le vittime annuali per reazione avversa da farmaco, che nelle forme più gravi colpisce in tutto, annualmente, 2 milioni di persone. Ciò premesso, la sola ragione genuina per fidarsi di un farmaco è in ogni caso la prova che ha dato di sé sugli umani. E qui non mi riferisco in primo luogo alle prove cliniche che precedono l'immissione in commercio, e che spesso vengono svolte non dopo ma parallelamente alle prove su animali. Mi riferisco invece all'esperienza “sul campo”, cioè dopo la commercializzazione. Proprio per questo diversi studiosi consigliano ai medici di prescrivere, di preferenza, i farmaci più “antiquati” invece delle “ultime novità”…

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