domenica 28 aprile 2013

anche i celiaci mangiano


…sono 135.800 i celiaci diagnosticati in Italia (solo un quarto di quelli stimati, 600mila soggetti); oltre 115mila le diagnosi accertate in età adulta. E il numero di nuovi casi registrati in Italia cresce del 19% ogni anno. 
A causa dell’estrema variabilità dei sintomi con cui si manifesta la celiachia, sono necessari in media sei anni per ottenere una diagnosi sicura. I diritti dei pazienti celiaci sono tutelati dalla legge 123 del luglio 2005, “Norme per la protezione dei soggetti malati di celiachia”. È la legge quadro sulla celiachia, con la quale il Governo italiano stabilisce “l’erogazione gratuita di prodotti dietoterapeutici senza glutine” ai celiaci, introdotta per la prima volta nel 1982. I tetti di spesa -definiti nel 2001 dall’allora ministro della Salute, Umberto Veronesi, confermati nel 2006 e applicati da ogni Regione sulla base di apposite leggi regionali- sono suddivisi per fasce d’età e sesso e ammontano a 140 euro al mese per gli uomini e 99 euro per le donne. Per i bambini, invece, è prevista l’erogazione di un buono del valore di 45 euro fino a un anno di età, di 62 euro fino a 3 anni e mezzo, e di 94 euro fino a 10 anni. Questi buoni sono spendibili per l’acquisto di prodotti senza glutine iscritti nel “Registro nazionale dei prodotti destinati ad un’alimentazione particolare”, 2.600 referenze facilmente identificabili dal logo ministeriale. 

Il mercato del senza glutine muove un’economia che vale 237 milioni di euro: di questi, il 67,5% (161 milioni di euro) è coperto dagli alimenti erogati dal Sistema sanitario nazionale. Il resto del mercato comprende “la spesa con la quale i celiaci integrano il contributo pubblico e quella delle persone che, pur non avendo una diagnosi definitiva di malattia, decidono di escludere il glutine dalle loro diete”, spiega Caterina Pilo, direttrice generale dell’Associazione italiana celiachia (Aic, www.celiachia.it). 
L’appeal che i prodotti privi di glutine esercitano tra i cittadini si può tradurre in una percentuale: +6,4%, la crescita del fatturato del mercato nel 2012. Fino ai primi anni 2000 l’erogazione gratuita dei prodotti per celiaci veniva fatta solo nelle farmacie, ma da quando è stata introdotta la diversificazione del mercato (fino ad oggi in 12 Regioni) i buoni sono spendibili anche nella grande distribuzione o in negozi al dettaglio convenzionati. Tuttavia, ancora oggi il 74,3% (176 milioni di euro) del mercato del senza glutine viene dal fatturato delle vendite in farmacia, che pure ha registrato nel 2012 un calo dell’1,8%. Nella grande distribuzione, infatti, i prezzi sono inferiori fino al 40% rispetto alle farmacie: secondo una ricerca condotta dall’Aic nel gennaio 2011, per l’acquisto dello stesso “paniere senza glutine” una famiglia spende in media 39,53 euro al supermercato e 60,25 euro in farmacia. Anche per questo, la quota di mercato dei prodotti senza glutine nella Gdo -che oggi vale il 25,7% (61 milioni di euro) del mercato complessivo- sta conoscendo una rapida crescita e ha registrato nel 2012 un +22% rispetto all’anno precedente. Tutto quello che non si trova sugli scaffali della grande distribuzione lo si può cercare nei negozi al dettaglio diffusi sul territorio nazionale: una costellazione di presidi specializzati (quelli che accettano i buoni del Servizio sanitario nazionale devono essere autorizzati dall’Unità locale socio sanitaria di riferimento) che offre un maggior numero di referenze e prezzi inferiori fino al 15% rispetto alle farmacie, ma non sempre concorrenziali rispetto ai supermercati.

Se oggi l’eliminazione del glutine dalla dieta è l’unica terapia conosciuta per la tutela dei pazienti affetti da celiachia, il mondo della ricerca è al lavoro per studiare nuove tecniche produttive, valorizzando la lievitazione naturale e il recupero di antichi cereali. “I processi più rapidi e diffusi nella produzione su scala industriale sono la lievitazione chimica, che avviene sviluppando anidride carbonica, e l’uso del lievito di birra, che attiva una fermentazione alcolica” spiega Marco Gobbetti, del dipartimento di Scienze del suolo, della pianta e degli alimenti dell’Università di Bari. Un’altra possibilità è l’uso del lievito naturale, la pasta madre, per una lievitazione che richiede tempi lunghi, ma ha molti vantaggi dal punto di vista sensoriale, nutrizionale e della conservazione del prodotto. Continua Gobbetti: “Nella fermentazione con il lievito naturale alcuni polimeri, tra cui alcune proteine responsabili della celiachia, sono in parte degradati” e il prodotto finale risulta più digeribile. Per degradare tutto il glutine e raggiungere la soglia di tollerabilità per i celiaci, i ricercatori dell’Università di Bari sono intervenuti sul processo di fermentazione microbica: hanno aumentato a 24 ore il tempo della lievitazione e selezionato i batteri lattici coinvolti nella fermentazione in base alla loro capacità di degradazione. “Abbiamo recuperato l’antica tecnica della lievitazione naturale per adattarla a un’esigenza particolare sfruttando dei microrganismi presenti in natura”, spiega Gobbetti. Gli esperimenti condotti su 20 soggetti in due ospedali a Roma e Napoli hanno avuto un riscontro positivo: fino ad ora il 100% dei pazienti celiaci ha tollerato i prodotti a base di farina di grano il cui glutine era stato completamente degradato. “I bassi costi e la possibilità per tutti di mangiare prodotti a base di grano sono i principali vantaggi che deriverebbero dall’applicazione di questa biotecnologia”, conclude Gobbetti…

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