venerdì 3 maggio 2013

Barcelona solidale


Allo stesso tavolo, per mangiare pasta al sugo e crocchette di pollo, siede ora Mercedes, 35 anni, catalana senza lavoro, con tre figli e un marito (un piccolo imprenditore della zona) finito in galera per debiti non pagati dopo il fallimento della sua azienda. Accanto a lei, Massimiliano, 49, italiano, arrivato qui inseguendo una ragazza e il sogno della Spagna ottimista e libertaria dell’epoca di Zapatero per poi restare disoccupato per le strade di Besòs. E Amadou, 28, venuto dal Senegal con grandi speranze e finito a vivere con molti altri immigrati in una fabbrica abbandonata senza acqua né luce. Al comedor, almeno, un piatto caldo si trova sempre. «Il barrio», dice Monse, «deve restare unito. Solo aiutandoci gli uni con gli altri possiamo sentirci meno impotenti». 
In questa città di oltre 1 milione e 600mila abitanti ogni barrio ha un’anima sua. «C’è da sempre un senso condiviso di appartenenza sociale, culturale, sportiva che lega gli abitanti dello stesso quartiere», spiegaLluís Rabell, 59 anni, presidente della Favb, la Federazione Associazioni di Vicini di Barcellona. «Negli anni 70, quando il Franchismo proibiva le formazioni politiche, le associazioni di vicini erano l’unico veicolo per le rivendicazione sociali», racconta Rabell. L’urbanizzazione ammassava a migliaia i nuovi cittadini in quartieri completamente impreparati a riceverli, in cui mancavano le strutture fondamentali, dai semafori alle scuole: «Insieme abbiamo fatto tanto, e la città di oggi deve molto alle nostre lotte di allora». Al Movimiento Vecinal (che ha ramificazioni in tutte le maggiori città spagnole) Barcellona deve anche una delle risposte più decise al clima di incertezza che domina il paese: «Le Associazioni di Vicini», 101 quelle riunite nella Favb, che conta in tutto 50mila iscritti dalle sensibilità politiche diversissime, «stanno svolgendo una capillare funzione di ammortizzatore degli effetti della crisi. Dai pasti scolastici per i figli dei meno abbienti all’assistenza agli anziani, dalle biblioteche popolari agli orti urbani: piccole cose, ma concrete». 
Concreto è anche quello che fanno, ogni giorno, i genitori del quartiere Poble Sec: in venti tra mamme e papà si sono riuniti per fondare l’asilo autogestito Babalia, che i bimbi dagli 8 ai 19 mesi possono frequentare, con una quota mensile dai 35 ai 150 euro, fino a cinque giorni a settimana. Tra loro Marco, un anno, impegnato in una complessa costruzione di mattoncini, e Samuel, dieci mesi, che monopolizza col suo broncio l’attenzione dell’educatrice Martina. Ma Martina non è sola: ogni giorno c’è con lei una mamma ausiliaria, e oggi è il turno di Teia, 43 anni. Psicologa nel settore pubblico, ha visto nell’ultimo anno il suo stipendio bruscamente tagliato e i sussidi per la famiglia pesantemente ridotti: «Ho due figli, uno di 8 e una di un anno e mezzo. Come avrei potuto permettermi un asilo normale?»…

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