lunedì 11 novembre 2024

Disuguaglianze di polvere divina nel Sahel - Mauro Armanino

  

All’inizio di tutto c’è la polvere con un soffio di vento. E’ questa l’uguaglianza fondamentale che accomuna persone e cose di questo mondo. Poi, col tempo, la storia e gli avvenimenti, le condizioni della polvere cambiano e si può affermare che, qui come altrove, c’è polvere e polvere. Alcuni son più polvere di altri malgrado il soffio originario conservi tutta la sua creativa bellezza e fragilità.

Col tempo c’è chi dimentica di non essere che polvere che aspira alla vita e presume di diventare potente. Così si sono formate le classi sociali, i gruppi di potere, le élite che governano e il popolo che altro non dovrebbe fare se non aderire a quanto si decide per il suo bene. La sovranità di polvere si coniuga con l’indipendenza del vento che ad essa si affida. La polvere si trasforma in aristocrazia o dittatura.

Dalla polvere di natura ugualitaria alla società delle disuguaglianze il passo è assai breve e notabile. Ad esempio c’è che può mangiare regolarmente ogni giorno e chi deve scegliere l’unico pasto che possa imbrogliare lo stomaco. Chi può mandare i figli nelle migliori scuole private del Paese e chi si contenta delle scuole di stato… nel passato maggiormente apprezzate di quelle private.

Ammalarsi per la polvere comune è un dramma. Senza soldi e garanzia di accompagnamento, anche nel reparto di urgenza si può rimane per ore e giorni in lista d’attesa. Chi, invece, è fatto di una polvere diversa troverà posto nell’ospedale di referenza, nelle cliniche attrezzate o semplicemente all’estero. La vita degli esseri di polvere non è uguale per tutti. Alcune vite valgono più di altre.

C’è la polvere che viaggia col vento e nel vento, mentre c’è polvere più sofisticata che prende l’aereo con il biglietto di ritorno o per sola andata. Nel primo caso troviamo una certa categoria di migranti e nella seconda gli uomini politici, d’affari, i diplomatici e i gli affiliati alle Organizzazioni Internazionali. Per i primi non c’è la certezza dell’arrivo a destinazione. Per i secondi le date sono fissate e sicure.

La polvere delle persone comune lavora, vive in campagna e rappresenta circa l’ottanta per cento dei 27 milioni che conta la popolazione del Niger. Un altro tipo di persone di povere, circa un milione, ha trovato rifugio nel Paese o vi si trova come sfollato. Nella capitale Niamey si scovano palazzi come castelli fatati di ogni stile architettonico, case blindate, custodite e gemellate con case di terra.

C’è chi sostiene che dietro tutto ciò c’è senz’altro una volontà divina. Come dire che la polvere dell’inizio col soffio di vento si è gradualmente divisa e dunque c’è chi potrà vivere più a lungo con dignità e chi, invece, era scritto scomparisse molto prima perché polvere di scarto. Una polvere nobile e degna e l’altra di seconda mano. Tutto scritto nel libro, come cantava il buon Bob Marley a suo tempo.

Difficile crederlo perché, malgrado le pietre tombali, i monumenti e i nuovi nomi dati alle strade e ai ponti, nel cimitero non rimane che lei, la polvere dell’inizio. Il soffio di vento è uguale per tutti ed è proprio la polvere comune, in definitiva, a pareggiare i conti.

Appunto per questo la polvere e il soffio di vento hanno inventato la politica. Perchè ciò che creava le disuguaglianze tra gli umani fosse rimosso e le polveri di tutto il mondo, uguali, facessero festa assieme.

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giovedì 7 novembre 2024

C’è un buco nero nelle politiche per il clima, ed è la plastica - Marina Forti

Ci preoccupiamo della benzina bruciata dalle automobili, delle centrali termoelettriche e del passaggio ancora troppo lento alle fonti rinnovabili che permettono di sostituire i combustibili fossili, fonte delle emissioni di gas di serra che surriscaldano il pianeta. Intanto, però, continua a crescere la produzione globale di plastiche, derivate del petrolio e del gas – cioè quegli stessi combustibili fossili. In altre parole, non dobbiamo pensare agli idrocarburi solo in termini di energia e trasporti: sono anche la materia prima delle infinite sostanze sintetiche che hanno invaso la nostra vita.

Qualche semplice dato dovrebbe far riflettere. La produzione globale di plastiche rappresenta circa il 12 per cento della domanda globale di petrolio e il 9 per cento della domanda di gas (è un dato del 2019), e questa quota è destinata ad aumentare. Anzi, secondo l’Agenzia internazionale per l’energia ormai è proprio l’industria petrolchimica a trainare la domanda di petrolio; è “grazie” a questa industria che nel 2023 il consumo globale di petrolio ha superato il livello precedente alla pandemia di Covid-19. 

L’industria chimica ha sempre avuto un forte legame con quella dei combustibili fossili. Soprattutto a partire dalla seconda metà del ‘900, quando molecole derivate da sottoprodotti del petrolio e del gas sono diventate la materia prima di fertilizzanti azotati, detersivi, solventi, vernici, materiali isolanti, fibre sintetiche – e ovviamente delle varie plastiche, che oggi rappresentano oltre due terzi della produzione petrolchimica mondiale.

Le plastiche sono onnipresenti nella nostra vita, anche se non sempre ce ne rendiamo conto. Sono nei telefoni e nei computer, negli elettrodomestici, nelle automobili – perfino nelle pale delle turbine eoliche. Le troviamo in oggetti sofisticati come molti prodotti biomedici e in infiniti oggetti più banali, dai giocattoli a molte fibre tessili, plexiglass, materiali da imballaggio – fino all’infinita quantità di sacchetti, bottiglie e contenitori monouso per cibo e bevande che poi si accumulano nelle pattumiere, discariche e mari di tutto il pianeta. In termini di quantità, oltre il 40 per cento delle plastiche consumate oggi sono imballaggi, seguono i prodotti per l’edilizia. Qualcuno sostiene che viviamo nel plasticene.

Basti pensare che nel 1950, quando la petrolchimica era all’esordio, la produzione globale annua di plastiche ammontava a 2 milioni di tonnellate; a fine secolo era salita a oltre 200 milioni di tonnellate, e nel 2019 era ancora raddoppiata, a oltre 400 milioni. Negli ultimi vent’anni è stata fabbricata più plastica che nel mezzo secolo precedente, e secondo le previsioni correnti la produzione raddoppierà entro il 2050 (ma secondo altre stime potrebbe triplicare). 

Sono previsioni già largamente determinate dai fatti, dal conto degli impianti appena costruiti o che stanno per entrare in attività: stabilimenti sempre più grandi, ubicati intorno agli impianti dove gli idrocarburi vengono raffinati e lavorati. Gran parte della nuova capacità produttiva è in Cina e altri paesi dell’Asia orientale, in Arabia saudita e altri Paesi della penisola arabica, e in parte negli Stati Uniti. In gran parte sono investimenti di compagnie petrolifere, da sole o in società con grandi imprese della chimica. Un mercato in gran parte spostato verso l’Asia: l’Agenzia internazionale per l’energia osserva che la domanda cinese di prodotti petrolchimici sta trainando una crescita senza precedenti, e che gli impianti di raffinazione entrati in attività di recente lavorano più per produrre le macromolecole di base delle plastiche che carburanti. Secondo l’Aie, «tra il 2019 e il 2024 la Cina ha aggiunto altrettante capacità di produzione di etilene e propilene, i due principali componenti della petrolchimica, di quanta ne esiste oggi in Europa, Giappone e Corea sommati». 

Questo significa che più declina la domanda di petrolio per gli usi “tradizionali”, come la produzione di carburante per i trasporti, più le imprese petrolifere vedono le plastiche come un investimento strategico: un piano B per continuare a prosperare. Le plastiche perpetuano la nostra dipendenza dai combustibili fossili. 

E in termini di emissioni? Una ricerca del Lawrence Berkeley National Laboratory stima che nel 2019 la produzione globale di plastiche abbia prodotto 2,24 gigatonnellate (miliardi di tonnellate) di anidride carbonica-equivalente, pari al 5,3 per cento di tutte le emissioni di gas di serra globali. Stima anche che, al tasso di crescita attuale, questa quantità potrebbe triplicare entro il 2050, raggiungendo il 15 per cento delle emissioni globali. 

Così torniamo al punto: le plastiche sono un ostacolo a qualsiasi sforzo per limitare le emissioni di gas di serra. E questo porta a una domanda: è possibile rendere meno pesante questa industria, esiste la “plastica sostenibile”?

Non facciamoci illusioni. Alcune (poche) grandi aziende della petrolchimica hanno presentato piani per tagliare le emissioni nei processi produttivi, sostituire i combustibili fossili, aumentare l’efficienza. Ma la gran parte degli idrocarburi usati per le plastiche servono come materia prima: se anche si riuscisse a decarbonizzare il sistema energetico, la produzione di plastiche continuerà a richiedere grandi quantità di petrolio e gas. 

Bisogna anche ricordare che la petrolchimica è una delle industrie più nocive per chi ci lavora, come testimonia una lunga storia di disastri e malattie in tutto il mondo. E che, come prodotto finito, le plastiche diventano rapidamente rifiuti, fonte di inquinamento che minaccia la salute umana e gli ecosistemi.

Su questi aspetti qualche consapevolezza si diffonde. Da un paio d’anni le Nazioni unite discutono un Trattato internazionale sulla plastica per limitare l’inquinamento durante tutto il ciclo, dalla produzione allo smaltimento; il prossimo round di negoziati comincerà il 25 novembre a Busan, in Corea del sud. Passerà l’idea di mettere un tetto alla produzione globale di plastiche? Non è affatto scontato. Intanto le associazioni dell’industria petrolchimica in tutto il mondo continuano un agguerrito lavoro di lobby per evitare normative stringenti, nazionali e internazionali – si pensi alle feroci opposizioni suscitate dai tentativi di limitare le plastiche monouso.

E l’economia circolare? Oggi solo il 9 per cento delle plastiche consumate viene riciclato (percentuale che resta invariata per i paesi industrializzati e non); mentre il 19 per cento finisce negli inceneritori e il resto in discariche, controllate o abusive (sono stime dell’Organizzazione per la cooperazione economica, Ocse). Il fatto è che non tutte le plastiche sono riciclabili, e molti oggetti mescolano diversi materiali. Per aumentare la circolarità bisogna preferire certe plastiche, raccoglierle in modo separato per tipo, non mescolare materiali riciclabili e non. E questo rende le operazioni complicate e costose, oltre che dispendiose di energia: infatti oggi le plastiche (e le fibre sintetiche) nuove costano meno di quelle riciclate. 

Così, sostenere che le plastiche siano riciclabili è un’altra illusione: e forse è stata alimentata di proposito. Una nota istituzione statunitense di ricerca ambientale sostiene che “per anni le compagnie petrolifere e chimiche hanno fatto credere che sia possibile riciclare le plastiche pur sapendo che non è tecnicamente né economicamente fattibile”, al fine di continuare a promuovere i loro prodotti. Il mese scorso il governo della California ha fatto causa alla ExxonMobil proprio con quest’accusa.

Bisogna allora puntare sulle cosiddette bioplastiche, prodotte non da idrocarburi ma da olii vegetali non fossili? Oggi sono appena l’uno per cento del totale delle plastiche prodotte. Ed è un bene, perché se volessimo sostituire con bioplastiche tutti gli imballaggi oggi di plastica monouso dovremmo usare più di metà della produzione mondiale di mais: quindi convertire una superficie più grande della Francia, o distruggere altri pezzi di foresta del Borneo per farne altre piantagioni di palma da olio. 

Ammettiamolo, la plastica “sostenibile” non esiste. Possiamo riciclare un po’ di più, guadagnare qualche punto di efficienza energetica, ma non basta. Se vogliamo davvero andare “oltre il petrolio” non resta che aggredire il problema alla radice: produciamo e usiamo troppe plastiche. L’unica strada sarà produrne di meno: e un buon inizio sarà eliminare la massa di imballaggi, bottiglie, vaschette e altri oggetti monouso che hanno riempito le nostre vite.

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martedì 5 novembre 2024

Le entrate tributarie, il risparmio degli italiani e... BlackRock - Alessandro Volpi

Una considerazione che penso sia utile aver presente. Le entrate tributarie sono in Italia pari a circa 550 miliardi di euro l'anno che servono a finanziare la spesa corrente, a cominciare da quella del Welfare. Il risparmio che gli italiani affidano ai primi 10 gestori ogni anno supera i 2200 miliardi. Rispetto a questo dato è necessario porsi due domande.


La prima. Ma chi sono tali gestori? il primo è BlackRock con 473 miliardi, seguito da Vanguard, con 276. Nei primi dieci compaiono anche Jp Morgan con 236 miliardi, Union Investment con 207 e Fidelity con 204, tutti e tra partecipati da Black Rock e Vanguard. Il solo gruppo "italiano" è Intesa, in cui è presente BlackRock. Peraltro vale solo la pena ricordare che nel 2021 BlackRock gestiva poco più di 100 miliardi, oggi una massa oltre 4 volte più grande.


La seconda domanda riguarda dove vengono indirizzati i risparmi italiani da questi fondi: per oltre il 60% negli Stati Uniti e per meno del 20% in Italia. Alla luce di ciò emerge la considerazione a cui si accennava in apertura. Le sorti degli italiani e delle italiane dipendono sempre meno dalla spesa pubblica finanziata dalle entrate tributarie, che dovrebbe garantire i servizi universalistici, e sempre più dai risultati garantiti da fondi americani che acquistano titoli americani.

Siamo sempre meno cittadini italiani e sempre più soggetti finanziarizzati a stelle e strisce; naturalmente un simile meccanismo non può che alimentare le disuguaglianze tra chi può mettere nei fondi grandi cifre e chi è costretto, dalla ritirata del Welfare, a metterci ben poco.

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lunedì 4 novembre 2024

Tira brutta aria ad Alessandria, non solo in atmosfera.

L’Arpa Piemonte ha reso pubblici i dati giugno-luglio (clicca qui) dell’inquinamento dei Pfas nell’atmosfera di Alessandria, completando ormai il quadro annuale di questi  tossici e cancerogeni che permeano polmoni, cibi, acque, suoli, acquedotti di Spinetta Marengo, Comuni di Alessandria (pozzi chiusi), Montecastello (acquedotto chiuso) e altri della Provincia.

 

La relazione ARPA denuncia, assieme al vecchio PFOA già vietato nel mondo, e al “nuovo” C6O4 malgrado il reparto fosse chiuso in quei mesi, la presenza del “nuovo” pfas ADV, ora denominato MFS, con concentrazioni più sensibili nel sobborgo di Spinetta. Quasi fosse una scoperta!! Mentre invece la nostra associazione ne denunciò pubblicamente l’impiego -non autorizzato- fin dal 2009 con un esposto alla procura. La successiva graziata  autorizzazione AIA della Provincia  è addirittura scaduta nel 2023.  Nell’atmosfera alessandrina odierna, Solvay da 72 ciminiere spara in aria i pfas ADV, che si aggiungono ai C6O4, ai PFOA, nel cocktail  di altri 20 tossici e cancerogeni, che, tutti assieme motivano le tragiche indagini epidemiologiche (l’ultima nel 2019, clicca qui alcune tabelle). Tutto ciò: malgrado sia già intervenuta una sentenza della Cassazione e per responsabilità della sopravvenuta magistratura.

 

Brutta aria in politica.

Un gran daffare a nascondere la polvere (cancerogena) sotto i tappeti. Mentre Solvay si fa propaganda invitando frotte di studenti della provincia per ammirare le meraviglie dello stabilimento di Spinetta Marengo, a coprire le larghe spalle della multinazionale belga provvedono come sempre  le istituzioni locali: in questo frangente è presentata al ristretto  pubblico la “task force” del neo assessore alla sanità regionale Federico Riboldi. Tale denominazione bellica che in italiano è mitigabile  come “unità di pronto intervento”, fa abbastanza ridere perché, mentre Riboldi scopre l’acqua calda, il disastro ecosanitario di Alessandria è vecchio come il cucco, e nei recenti cinquant’anni i politici hanno fatto finta di affrontarlo sotto altri nomi: commissione consiliare, osservatorio ambientale, gruppo di studio, ecc. Tutte inconcludenti distrazioni ad uso dell’opinione pubblica. Con questa cosiddetta task force innanzitutto si punta a sviare l’attenzione sulla ventina di cancerogeni che Solvay spara in aria-acqua-suolo, limitandosi  solo alla punta dell’iceberg dei Pfas.

 

All’assessore Riboldi con l’elmetto di cartone in testa, Solvay Syensqo ha affidato il compito di prendere tempo-perdere tempo: diluire il più a lungo possibile i tempi degli esami del sangue di una ristretta popolazione, piuttosto che il monitoraggio di massa provinciale rivendicato e  negato da decenni (i cittadini gli esami se li sono fatti a proprie spese). E, con ciò, rinviare l’unica discussione, ovvero decisione, da fare oggi: su come chiudere, ORA le produzioni della Solvay di Spinetta Marengo e, POI, chiedere i risarcimenti per le Vittime in base ai monitoraggi ematici nel frattempo eseguiti: i cui risultati  inevitabilmente saranno oggetto di lunghissime valutazioni e discussioni in sede giudiziaria (senza  riconoscimenti per i tanti Gianni Spinolo sulle lapidi del cimitero di Spinetta).  

 

Il trucco di Solvay-Riboldi è infatti  rovesciare le priorità dei tempi: DOPO che i cittadini faranno da cavie di laboratorio, e ponderati i pro e i contro delle morti e delle malattie, e soppesati i rapporti causa-effetto, e i valori di soglia dei veleni compatibili nel sangue (perdio! ma solo zero è compatibile!), insomma dopo un milione di se e di ma, POI eventualmente, non necessariamente, iniziare la discussione sulla chiusura… secondo i tempi nazionali e internazionali prefissati da Solvay Syensqo. “Altrimenti ha detto senza pudore Riboldi “si prendono decisioni di pancia”. Purtroppo alcuni attivisti ambientalisti si fanno pigliare nell’ingranaggio del trucco. Spontaneamente approva l’irresponsabile sindaco di Alessandria (vedi Adriano Di Saverio).

 

Affinchè tutto resti saldamente nelle mani di Solvay-Riboldi-Regione, la cosiddetta  task force è stata articolata in “commissione tecnica” e “commissione scientifica”, cioè polverizzata  in una pletora ininfluente di fedeli  funzionari provinciali e regionali, nonché di eterogenei dirigenti sanitari per successive diagnosi e terapie a lungo termine. Il fine evidente è annegare ancora una volta in un mare di informazioni tecniche,  come non bastassero tutti i dati ambientali e sanitari pur usciti dai mafiosi Arpa e Asl, e nove indagini epidemiologiche nella Fraschetta, a tacere i referti delle Università di Liegi e Aquisgrana.  

 

In concreto, l’impegno “finanziario” consisterebbe  al momento in un annunciato camioncino attrezzato  che girerebbe a fare prelievi in un limitato  raggio di 3 chilometri attorno al polo chimico.  “Sui tempi di chiusura” precisa la Regione, “non si possono al momento indicare delle date, perché dipendono dai risultati dei primi campioni”. Lo sappiamo, campa cavallo per il resto della Provincia, del Comune di Alessandria, degli altri Comuni , come Montecastello dove è stato addirittura chiuso l’acquedotto.

 

E’ stato commentato: “Quello della cosiddetta ‘task force’ è solo l’ultimo di una lunga serie di capitoli che da anni si susseguono e che continuano a raccontare la presenza di un inquinamento, di responsabilità relative e di risposte il più delle volte flebile e lascive”. Ecco, “lascive” è il termine appropriato, con i suoi sinonimi: scandalose, indecenti, immorali, vergognose, disoneste, criminali…

 

Brutta aria in magistratura.

Ha fatto notizia, grazie al GUP di Alessandria, un esempio di come funziona la giustizia in Italia. L’episodio è relativo all’ordinanza in sede di udienza preliminare con la quale il giudice Andrea Perelli ha fatto fuori dal processo Solvay-bis i due più temibili avversari di Solvay: Greenpeace e ancor  più inverosimilmente  Lino Balza, da oltre 50 anni l’antagonista storico nel polo chimico di Spinetta Marengo. Clicca qui Solvay gongola. Con Greenpeace, Lino Balza escluso come parte civile. Cosa c’è dietro.  e qui 6 (+ 1) ragioni affinchè Lino Balza debba partecipare al processo per rinchiodare 39 prove che condannano Solvay e imputati.

 

Sono pervenuti tantissimi commenti di solidarietà e anche complimenti (immeritati ma che comunque tengono su il morale). Il primo, quasi in tempo reale, mi ha commosso:

Caro Lino non demordere. Ciao Lino,
leggo con orrore della tua esclusione dal processo. Ma non mi
meraviglio, con una magistratura serva ancora una volta dei potenti.
Sembra di essere tornati indietro agli anni ’70. Non demoralizzarti,
troverai il modo di farti accettare come parte lesa. Tu sei un giusto, e
i giusti non vengono mai abbandonati da Dio. Pregheremo per te.  Oggi ti
bonifico 10 Euro a sostegno della tua, della nostra battaglia. Un
abbraccio, e mi raccomando NON DEMORDERE !!!
Ciao! Giacomo.

 

Nello stesso tono, Enrico: “Ciao, Lino. Non ti deprimere e tieni duro, ti dico che provo solo nausea.” Maria Chiara: “Rendermi conto del livello cui è caduta almeno in parte la nostra magistratura mi ha inorridito e molto amareggiato”. Non altrettanto riproducibili, senza uso di eufemismi, sono altri commenti coloriti. In generale,  sono assai rari i commentatori rimasti sorpresi. Anzi, un dotto mi definisce vittima ancora di “fumus persecutionis”.

 

Chi usa il sarcasmo: “Pazzesco. E poi dicono che i giudici sono tutti comunisti…!” Chi raccomanda che “Certe sedi di tribunale sarebbe una fortuna scansare”. E fa il nome di Alessandria come “porto delle nebbie”. In effetti, per tutte le rappresaglie subìte mi sono sempre rivolto (vincendo) ai tribunali di Milano. Per questo processo Solvay bis non posso che tentare in sede di dibattimento in assise di rientrare dalla porta dopo che il GUP mi ha scaraventato dalla finestra. Certo, non piacerebbe nè a Solvay nè  alla Procura il mio contributo all’accertamento di responsabilità e verità.

 

Luigi Maconi fa riferimento al “comma 2 dell’articolo 1 dei 12 PRINCIPI FONDAMENTALI della COSTITUZIONE: La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” per ritenere che “questo principio , letti anche i tuoi precedenti rispetto al processo Solvay, a me pare ampiamente violato dal GUP di Alessandria”.

 

Il termine “giustizia di classe” magari non viene da tutti i commentatori pronunciato ma la sostanza della loro valutazione è di una giustizia costruita su leggi che sono state fatte su misura dalle classi dei potenti, magari proprio da quegli impuniti che giornalmente  attaccano quella magistratura invece implacabile con i più deboli, spesso poveracci indifesi, che non tutela le Vittime: come  avviene per  delitti contro l’ambiente e la salute (come ho documentato nei tre volumi  di “Ambiente Delitto Perfetto”, disponibili a chi ne fa richiesta). Da aggiungere al libro ci vengono segnalati significativi esempi da Vito Totire, Luigi Maconi, Enrico Martini.

 

 A tutti quelli che mi hanno chiesto “Che fare?”, ho risposto: tutti assieme,  possiamo denunciare in tutte le sedi questa giustizia italiana che non tutela le Vittime e salva gli inquinatori.

 

Il miracolo di S. Baudolino, santo protettore dei Pfas.

lI laboratorio “Medica” di Zurigo ha analizzato il sangue di 35 persone provenienti da 18 cantoni svizzeri alla ricerca di PFAS (PFOA e PFOS) persistenti “forever chemicals”  nell’ambiente malgrado siano vietati dal 2021.  Tutti i partecipanti allo studio, dai bambini di sette anni alle donne di 89 anni, hanno queste sostanze cancerogene nel sangue. I livelli di Pfas di 29 partecipanti sono  così alti che, secondo l’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM), insorge “Una necessità acuta d’intervento,  in particolare  per le donne, soprattutto in età fertile (danni al feto), e per i bambini  che porteranno danni irreversibili tutta la vita. Infatti sono le mamme svizzere le più disperate.

 

Disperate  come lo sono le “Mamme No Pfas” del Veneto, con i figli avvelenati dalla Miteni di Trissino, alle quali è toccato il tragico “merito” di essere state protagoniste a portare alla ribalta in Italia il dramma dei Pfas: da risolvere con una legge di  messa al bando.

 

L’assassinio dei bambini a mezzo dei Pfas è uno scandalo che non preoccupa Alessandria. Qui non ci sono bambini con i Pfas nel sangue. Eppure qui la Solvay di Spinetta Marengo, unico produttore nazionale, spara Pfas in aria acqua suolo! Miracolo! Miracolo del patrono San Baudolino? Oppre semplicemente il fenomeno non è sovrannaturale bensì merito di ometti che coprono la carica di sindaci e assessori: che hanno sempre impedito analisi di massa del sangue dei bambini.  

 

Questo miracolo va però condiviso con i magistrati. La mia associazione, già nel primo (anno 2009) dei 20 esposti depositati alle Procure di Alessandria pubblicamente chiedeva -documentando i Pfas nel sangue dei lavoratori Solvay- di intervenire in fabbrica e indagando con monitoraggi ematici  la salute nella cittadinanza tutta. Non solo, scandalo nello scandalo, denunciammo su su fino al ministro della sanità che i Pfas erano trasmessi nelle sacche dei donatori di sangue.

 

Berrino: “Dobbiamo difenderci”. Sì, ma anche la magistratura ci volta le spalle.

Giulio Alfredo Maccacaromedicobiologo e partigiano, è stato il padre della biometria italiana, maestro nell’analisi del processo d’insorgenza delle patologie e del loro sviluppo con particolare attenzione alle loro cause: ambientali e lavorative. Maccacaro  fu uno scienziato che visse in modo completo la sua professione di studioso e ricercatore con il suo impegno sociale: sempre dalla parte dei lavoratori e dei movimenti che verso il ’68 si andavano organizzando nelle fabbriche e nei territori.

 Perciò la nostra Associazione si ispira ai suoi insegnamenti al punto da assumermene il nome: “Movimento di lotta per la salute Maccacaro”. Abbiamo avuto la fortuna di frequentare membri prestigiosi del Comitato di redazione di “Sapere”, rivista di cui era direttore, nel cui collettivo ricordiamo Luigi Mara, Laura Balbo, Sergio Bologna, Marcello Cini, Giorgio Negri, Vladimiro Scatturin, Benedetto Terracini, e fra i collaboratori: Angelo Baracca, Franco Basaglia, Virginio Bettini, Giorgio Bignami, Luigi Cancrini, Franca Ongaro, Ettore Tibaldi, Enzo Tiezzi eccetera.

 

A quella esperienza storica (da parte nostra aggiungiamo il nome di Giorgio Nebbia) che chiamò a costruire l’ambientalismo scientifico di massa  -efficace ad esercitare critica a disuguaglianze ed iniquità sociali e a progettare cambiamento, nei luoghi di lavoro e nei territori-, ha fatto riferimento Franco Berrino direttore del Dipartimento di Medicina Preventiva dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano al  convegno nazionale “Curare è prendersi cura. Impatto ambientale e rischio sanitario”, promosso dall’ “Associazione italiana contro le leucemie, i linfomi e il mieloma, AIL”.

 

“Siamo circondati da una grande quantità di veleni. Dobbiamo difenderci” ha esclamato con forza l’epidemiologo  “difenderci dai veleni della plastica, che è trattata con pfas, ftalati e il bisfenolo (Bpa), sostanze che interferiscono con gli ormoni e alterano il nostro sistema riproduttivo, causa di impotenza e sterilità”. Fossimo stati presenti per intervenire al convegno, non avremmo potuto non polemizzare con le istituzioni, comprese la magistratura. Avremmo ricordato che, dei nostri  20 esposti depositati alle procure di Alessandria, quello del 17 novembre 2020 (all’attuale procuratore Cieri) fra l’altro invano denunciò -documentando- che nel cocktail con i Pfas c’è anche un altro micidiale interferente endocrino: il bisfenolo, che Arpa  dichiarava sconosciuto.  

 

Edison coimputata con Solvay?

Gli avvocati della Solvay, forse la stessa Procura di Alessandria, si stanno interrogando alla luce della  recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, scaturita da una “questione pregiudiziale” posta dalla Cassazione nel corso della vicenda  processuale SNIA Caffaro.

 

Per questa sentenza della Corte europea, secondo principio europeo, l’azienda responsabile dell’inquinamento deve pagare, indipendentemente da quanto tempo è passato dalle attività che hanno provocato il danno ambientale.

 

L’interpretazione giuridica, dunque,   potrà essere seguita in procedimenti su casi analoghi. Nella fattispecie del processo (il secondo) in Corte di Assise di Alessandria, attualmente al vaglio del GUP, ci si chiede se, oltre alla Solvay, per il risarcimento dei danni ambientali e sanitari debba essere chiamata anche Edison, la quale nel primo processo era appunto  stata co-imputata.

 

Cancerogeni nel pescato di Calabria e Toscana. E in Liguria?

Una contaminazione di Pfas fuori controllo che espone a rischio migliaia di consumatori. Greenpeace  ha consultato i dati delle Agenzie regionali per la protezione ambientale ARPAT e ARPACAL, e ha ribadito: “Questi risultati confermano l’urgenza di vietare l’uso e la produzione dei Pfas, cioè di chiudere le produzioni di Solvay a Spinetta Marengo”.

 

Dalle analisi effettuate in Toscana tra il 2018 e il 2023, circa il 60% di pesci (principalmente cefali) e crostacei delle acque marino costiere del Santuario dei Cetacei è contaminato da Pfas (Pfos), sono emersi valori molto elevati: in un cefalo alla foce del fiume Bruna a Castiglione della Pescaia (Grosseto) è stata trovata la concentrazione record di 14,7 microgrammi per chilo; 5,99 e 5,65 microgrammi per chilogrammo lungo la costa pisana, alle foci dell’Arno e del Fiume Morto.  

 

In Calabria, le indagini dell’Arpacal tra 2021 e 2023 evidenziano notevoli livelli di inquinamento da Pfas (oltre  3 microgrammi per chilogrammo)  in triglie, naselli e cicale di mare prelevati lungo la costa ionica e tirrenica.

 

Se analoghe indagini fossero eseguite in Liguria: ci sarebbe una rivolta di pescatori e ristoratori. Marco Bucci da candidato non le aveva promesse (al pari di tutte le forze politiche) e come neo presidente non le promuoverà (senza proteste delle altre forze politiche e sociali). In Liguria, d’altronde, per i Pfas neanche si effettuano analisi del sangue alla popolazione, anzi il reparto di Endocrinologia dell’Ospedale San Martino di Genova omette di accogliere le richieste di malati di tumore… perché Toti non le finanziava. Chissà ora Bucci, la cui moglie però afferma:  “Con Toti erano pappa e ciccia”.   

 

Fiumi veneti bocciati da Legambiente.

Fiumi veneti sotto la lente di Legambiente, che come ogni anno ha dato vita alla campagna di monitoraggio Operazione fiumi. Nell’edizione 2024 la novità sono i Pfas. Preoccupante  incremento dei valori di Pfoa e Pfos allo scarico sul Fratta Gorzone, a Cologna Veneta (Verona). Così anche a Padova come a Vicenza per lo stato del Bacchiglione e del canale Piovego. Per il Sile superamenti della media annua di Pfos presumibilmente derivante dallo scarico di depuratore e dalle attività aeroportuali.

 

Il contesto è che tra le province di Vicenza, Verona e Padova c’è uno dei più gravi casi di contaminazione di questi “inquinanti eterni” dell’intero continente europeo: per un avvelenamento della Miteni di Trissino  che interessa oltre 180 km quadrati e 350mila persone che stanno subendo da anni l’emergenza sanitaria.

 

A sua volta, Greenpeace, con la campagna "Acque senza veleni", in 220 tappe sta monitorando i Pfas nelle acque potabili delle città italiane. Le quali   in gran parte omettono i controlli fra le maglie sbrindellate della regolamentazione nazionale. La stessa Direttiva europea  partirà già vecchia nel 2026 con limiti ormai superati dagli studi scientifici internazionali, tant’è che molte nazioni (ma non l’Italia!) hanno già introdotto soglie  più cautelative per la salute umana, in considerazione dell’aumento delle patologie cancerogene generate da questi interferenti endocrini:  danni alla tiroide, al fegato, problemi alla fertilità, incremento dei livelli di acidi grassi nel nostro corpo, diabete gestazionale ecc.

 

Alla messa al bando dei Pfas (in parlamento giace da anni il Disegno di Legge Crucioli) si oppone la potente lobby capitanata da Solvay, unico produttore nazionale, che fa quadrato attorno a queste produzioni dai lauti profitti, pur consapevole  che per la totalità del settore industriale in cui vengono impiegati i PFAS, esistono le alternative più sicure.

 

Pfas nelle acque potabili di tutto il mondo, e nei pesci dei mari.

Il primo studio riguarda le acque potabili, sia del rubinetto che in bottiglia, naturali o gassate, ed è stato condotto da un team sino-inglese, composto da ricercatori delle università di Birmingham, nel Regno Unito e di Shenzhen, in Cina, che hanno poi pubblicato i risultati su ACS Environmental Science &Technology – Water. Gli autori hanno analizzato campioni provenienti da 15 Paesi, 41 acquedotti inglesi e 14 cinesi, e 112 campioni di bottiglie di acque minerali in vetro e in plastica, naturale (89) o gassata (23), di 87 marchi.

 

Ebbene, i Pfas sono presenti con percentuali da al 63% al 99%. Con concentrazione in media da 9,2 nanogrammi per litro (ng/l) a  2,7 ng/l.

Nel secondo studio, pubblicato su ACS Environmental Science & Technology, invece, i ricercatori della facoltà di ingegneria dell’Università di Harvard (Boston) hanno voluto controllare i pesci che vivevano ad alcuni chilometri da una base militare di  Cape Code, dove  impiegano  grandi quantità di schiume e altre sostanze antincendio con Pfas. Hanno così scoperto che, pur diminuendo con la distanza, i PFAS sono presenti nel 90% dei  pesci in concentrazioni superiori ai limiti anche quando questi vivono a otto chilometri di distanza, unitamente a  composti di vario tipo usati nell’industria farmaceutica e in agricoltura.

 

È possibile trovare cosmetici senza Pfas?

Il giornale francese Vert, dopo gli allarmanti studi scientifici, ha condotto una ricerca sui principali rivenditori di prodotti di bellezza e ha trovato più di un centinaio di articoli venduti online che menzionano almeno un Pfas, compreso PFOA,  nella loro composizione. Creme anti età L’Oréal della linea Revitalift: creme giorno notte idratante con SPF30 e il siero idratante levigante con proprietà antirughe, la matita per gli occhi Yves Saint-Laurent Beauty, creme idratanti di Biotherm, rossetto L’Absolu Rouge Drama Matte di Lancôme,  fard Blush Subtil di Lancôme, crema solare Fluide Minéral Teinté SPF 50+ di Avène, ombretti e trucchi del marchio italiano low cost Kiko Cosmetics come una palette di trucco per sopracciglia e una maschera purificante, eccetera.

 

Le aziende (e le donne) adorano i cosmetici con Pfas per la loro resistenza straordinaria e la capacità di idrorepellenza: le donne inconsapevoli  mentre le aziende sapendo che la letteratura scientifica ha evidenziato i rischi di tumori, malattie della tiroide o problemi di fertilità anche nell’uso dei cosmetici, in quanto i Pfas  possono essere assorbiti anche dalla pelle e arrivare nel sangue.

 

Lo conferma anche un recente studio dell’ Università di Birmingham pubblicato sulla rivista Environment International.  

I pericoli maggiori sono per i bambini e le adolescenti perché i Pfas agiscono come interferenti endocrini, che possono alterare il sistema ormonale. I nomi più noti:  gli ombretti di Natasha Denona, il mascara M.A.C, la matita Charlotte Tilbury e il siero Laneige.  

È possibile evitare cosmetici con Pfas? Sì, controllando  l’elenco degli ingredienti, INCI, che è obbligatorio secondo le normative europee, o affidarsi ai marchi certificati bio, come Cosmébio, Ecolabel europeo ed Ecocert, che contengono oli vegetali: sostituiscono i Pfas rendendo i cosmetici resistenti all’acqua e con un effetto levigante.

 

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