mercoledì 16 ottobre 2024

A Gaza crimini oltre ogni comprensione: lettera di 99 medici americani

 

Cari Presidente Biden e Vicepresidente Harris,

Siamo 99 medici, chirurghi, infermieri specializzati, infermiere e ostetriche americani che hanno fatto volontariato nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre 2023. In totale, abbiamo trascorso 254 settimane di volontariato negli ospedali e nelle cliniche di Gaza. Abbiamo lavorato con varie organizzazioni non governative e con l’Organizzazione mondiale della sanità in ospedali e cliniche in tutta la Striscia. Oltre alla nostra competenza medica e chirurgica, molti di noi hanno un background in sanità pubblica, nonché esperienza di lavoro in zone umanitarie e di conflitto, tra cui l’Ucraina durante la brutale invasione russa. Alcuni di noi sono veterani e riservisti. Siamo un gruppo multireligioso e multietnico. Nessuno di noi sostiene gli orrori commessi il 7 ottobre da gruppi armati e individui palestinesi in Israele. La Costituzione dell’Organizzazione mondiale della sanità afferma: «La salute di tutti i popoli è fondamentale per il raggiungimento della pace e della sicurezza e dipende dalla più completa cooperazione di individui e Stati». È con questo spirito che vi scriviamo in questa lettera aperta.

Siamo tra i soli osservatori neutrali a cui è stato permesso di entrare nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre. Data la nostra vasta competenza e l’esperienza diretta di lavoro in tutta Gaza, siamo in una posizione unica per commentare diverse questioni di importanza per il nostro Governo mentre decide se continuare a sostenere l’attacco e l’assedio di Israele nella Striscia di Gaza. In particolare, crediamo di essere ben posizionati per commentare l’enorme tributo umano dell’attacco di Israele a Gaza, in particolare il tributo che hanno pagato donne e bambini. Questa lettera raccoglie e riassume le nostre esperienze e osservazioni dirette a Gaza. La lettera è accompagnata da un’appendice dettagliata che riassume le informazioni disponibili al pubblico da fonti mediatiche, umanitarie e accademiche su aspetti chiave dell’invasione di Gaza da parte di Israele. Sia questa lettera che l’appendice sono disponibili elettronicamente su GazaHealthcareLetters.org. Questo sito web ospita anche lettere di operatori sanitari canadesi e britannici ai rispettivi governi, che fanno molte osservazioni simili a quelle qui contenute. Questa lettera e l’appendice mostrano prove evidenti che il bilancio delle vittime a Gaza da ottobre è molto più alto di quanto si creda negli Stati Uniti. È probabile che il bilancio delle vittime di questo conflitto sia già superiore a 118.908, uno sbalorditivo 5,4% della popolazione di Gaza. Il nostro Governo deve agire immediatamente per prevenire una catastrofe ancora peggiore di quella che è già capitata alla popolazione di Gaza e Israele. Un cessate il fuoco deve essere imposto alle parti in guerra, negando il supporto militare a Israele e sostenendo un embargo internazionale sulle armi a Israele e a tutti i gruppi armati palestinesi. Crediamo che il nostro Governo sia obbligato a farlo, sia in base alla legge americana che al diritto umanitario internazionale. Crediamo anche che sia la cosa giusta da fare.

«Non ho mai visto ferite così orribili, su così vasta scala, con così poche risorse. Le nostre bombe stanno falciando donne e bambini a migliaia. I loro corpi mutilati sono un monumento alla crudeltà» (dott. Feroze Sidhwa, chirurgo traumatologico e di terapia intensiva, chirurgo generale del Veterans Affairs). Con solo marginali eccezioni, tutti a Gaza sono malati, feriti o entrambi. Ciò include ogni operatore umanitario nazionale, ogni volontario internazionale e probabilmente ogni ostaggio israeliano: ogni uomo, donna e bambino. Mentre lavoravamo a Gaza abbiamo visto una malnutrizione diffusa nei nostri pazienti e nei nostri colleghi sanitari palestinesi. Ognuno di noi ha perso peso rapidamente a Gaza nonostante avesse un accesso privilegiato al cibo e avesse portato con sé il proprio cibo supplementare ricco di nutrienti. Abbiamo prove fotografiche di malnutrizione pericolosa per la vita nei nostri pazienti, in particolare nei bambini, che siamo ansiosi di condividere con voi. Praticamente ogni bambino di età inferiore ai cinque anni che abbiamo incontrato, sia dentro che fuori dall’ospedale, aveva sia tosse che diarrea acquosa. Abbiamo riscontrato casi di ittero (che indicano un’infezione da epatite A in tali condizioni) in quasi tutte le stanze degli ospedali in cui abbiamo prestato servizio e in molti dei nostri colleghi sanitari a Gaza. Una percentuale sorprendentemente alta delle nostre incisioni chirurgiche si è infettata a causa della combinazione di malnutrizione, condizioni operatorie impossibili, mancanza di forniture igieniche di base come il sapone e mancanza di forniture chirurgiche e farmaci, compresi gli antibiotici. La malnutrizione ha portato ad aborti spontanei diffusi, neonati sottopeso e all’incapacità delle neo mamme di allattare al seno. Ciò ha lasciato i loro neonati ad alto rischio di morte data la mancanza di accesso all’acqua potabile in qualsiasi parte di Gaza. Molti di quei bambini sono morti. A Gaza abbiamo visto madri malnutrite nutrire i loro neonati sottopeso con latte artificiale fatto con acqua inquinata. Non potremo mai dimenticare che il mondo ha abbandonato queste donne e questi bambini innocenti. «Ogni giorno vedevo morire dei bambini. Erano nati sani. Le loro madri erano così malnutrite che non potevano allattare al seno e noi non avevamo latte artificiale o acqua pulita per nutrirli, quindi morivano di fame» (Asma Taha, infermiera pediatrica).

Vi esortiamo a rendervi conto che a Gaza imperversano epidemie. Il continuo e ripetuto spostamento da parte di Israele della popolazione malnutrita e malata di Gaza, metà della quale è composta da bambini, verso aree senza acqua corrente o persino servizi igienici disponibili è assolutamente traumatico. Era e rimane destinato a causare una morte diffusa per malattie diarroiche virali e batteriche e polmoniti, in particolare nei bambini di età inferiore ai cinque anni. In effetti, persino il temuto virus della poliomielite è riemerso a Gaza a causa di una combinazione di distruzione sistematica delle infrastrutture igienico-sanitarie, malnutrizione diffusa che indebolisce il sistema immunitario e bambini piccoli che hanno saltato le vaccinazioni di routine per quasi un anno intero. Temiamo che migliaia di persone siano già morte a causa della combinazione letale di malnutrizione e malattie e che decine di migliaia di altre moriranno nei prossimi mesi, soprattutto con l’inizio delle piogge invernali a Gaza. La maggior parte di loro saranno bambini piccoli.I bambini sono universalmente considerati innocenti nei conflitti armati. Tuttavia, ogni singolo firmatario di questa lettera ha visto bambini a Gaza che hanno subito violenze che devono essere state deliberatamente dirette contro di loro. In particolare, ognuno di noi che ha lavorato in un pronto soccorso, in terapia intensiva o in un ambiente chirurgico ha curato bambini preadolescenti che sono stati colpiti alla testa o al petto regolarmente o addirittura quotidianamente. È impossibile che una sparatoria così diffusa di bambini piccoli in tutta Gaza, sostenuta nel corso di un anno intero, sia accidentale o sconosciuta alle massime autorità civili e militari israeliane. Presidente Biden e vicepresidente Harris, vorremmo che poteste vedere gli incubi che affliggono così tanti di noi da quando siamo tornati: sogni di bambini mutilati e mutilati dalle nostre armi e delle loro madri inconsolabili che ci implorano di salvarli. Vorremmo che poteste sentire le grida e le urla che le nostre coscienze non ci faranno dimenticare. Non riusciamo a capire perché continuate ad armare il paese che sta deliberatamente uccidendo questi bambini in massa.

«Ho visto così tanti nati morti e morti materne che avrebbero potuto essere facilmente evitati se gli ospedali avessero funzionato normalmente» (dott. ssa Thalia Pachiyannakis, ostetrica e ginecologa). Le donne incinte e che allattavano che abbiamo curato erano particolarmente malnutrite. Quelle di noi che lavoravano con donne incinte vedevano regolarmente nati morti e morti materne che erano facilmente evitabili nel sistema sanitario di qualsiasi paese in via di sviluppo. Il tasso di infezione nelle incisioni del taglio cesareo era sorprendente. Le donne hanno subito parti vaginali e persino cesarei senza anestesia e non hanno ricevuto altro che Tylenol in seguito perché non erano disponibili altri antidolorifici. Abbiamo tutti osservato i reparti di emergenza sopraffatti da pazienti che cercavano cure per condizioni mediche croniche come insufficienza renale, ipertensione e diabete. A parte i pazienti traumatizzati, la maggior parte dei letti di terapia intensiva era occupata da pazienti con diabete di tipo 1 che non avevano più accesso all’insulina. La mancanza di disponibilità di farmaci, la perdita diffusa di elettricità e refrigerazione e l’accesso incostante al cibo hanno reso impossibile la gestione di questa malattia. Israele ha distrutto più della metà delle risorse sanitarie di Gaza e ha ucciso quasi mille operatori sanitari palestinesi, più di uno su 20 operatori sanitari di Gaza. Allo stesso tempo, le esigenze sanitarie sono aumentate enormemente a causa della combinazione letale di violenza militare, malnutrizione, malattie e sfollamento. Gli ospedali in cui lavoravamo erano privi di forniture di base, dal materiale chirurgico al sapone. Erano regolarmente tagliati fuori dall’elettricità e dall’accesso a Internet, negavano acqua pulita e operavano con quattro o sette volte la loro capacità di posti letto. Ogni ospedale era sopraffatto oltre il punto di rottura da sfollati in cerca di sicurezza, dal flusso costante di pazienti malati e malnutriti in cerca di cure e dall’enorme afflusso di pazienti gravemente feriti che di solito arrivavano in eventi di vittime di massa.

Queste osservazioni e il materiale disponibile al pubblico dettagliato nell’appendice ci portano a credere che il bilancio delle vittime di questo conflitto sia molte volte superiore a quanto riportato dal Ministero della Salute di Gaza. Crediamo anche che questa sia una prova evidente di diffuse violazioni delle leggi americane che regolano l’uso di armi americane all’estero e del diritto umanitario internazionale. Non possiamo dimenticare le scene di insopportabile crudeltà verso donne e bambini, a cui il nostro Governo è direttamente partecipe.

Quando abbiamo incontrato i nostri colleghi sanitari a Gaza, era chiaro che erano malnutriti e devastati sia fisicamente che mentalmente. Abbiamo rapidamente appreso che i nostri colleghi sanitari palestinesi erano tra le persone più traumatizzate a Gaza, e forse nel mondo intero. Come praticamente tutte le persone a Gaza avevano perso familiari e le loro case. La maggior parte viveva dentro e intorno ai loro ospedali con i familiari sopravvissuti in condizioni inimmaginabili. Sebbene continuassero a lavorare con un programma massacrante, non venivano pagati dal 7 ottobre. Tutti erano perfettamente consapevoli che il loro lavoro come operatori sanitari li aveva segnati come obiettivi per Israele. Ciò rende una presa in giro lo status protetto concesso agli ospedali e agli operatori sanitari dalle più antiche e ampiamente accettate disposizioni del diritto internazionale umanitario. Abbiamo incontrato personale sanitario a Gaza che lavorava in ospedali che erano stati saccheggiati e distrutti da Israele. Molti di questi nostri colleghi sono stati arrestati da Israele durante gli attacchi. Ci hanno tutti raccontato una versione leggermente diversa della stessa storia: durante la prigionia venivano a malapena nutriti, continuamente abusati fisicamente e psicologicamente e infine abbandonati nudi sul ciglio di una strada. Molti ci hanno detto di essere stati sottoposti a finte esecuzioni e altre forme di maltrattamento e tortura. Troppi dei nostri colleghi sanitari ci hanno detto che stavano semplicemente aspettando di morire. I 99 firmatari di questa lettera hanno trascorso complessivamente 254 settimane all’interno dei più grandi ospedali e cliniche di Gaza. Vogliamo essere assolutamente chiari: nessuno di noi ha mai visto alcun tipo di attività militante palestinese in uno qualsiasi degli ospedali o altre strutture sanitarie di Gaza. Vi esortiamo a vedere che Israele ha sistematicamente e deliberatamente devastato l’intero sistema sanitario di Gaza e che Israele ha preso di mira i nostri colleghi a Gaza per torturarli, farli sparire e ucciderli.

Presidente Biden e vicepresidente Harris, qualsiasi soluzione a questo problema deve iniziare con un cessate il fuoco immediato e permanente. Apprezziamo il fatto che stiate lavorando a un accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas, ma avete trascurato un fatto ovvio: gli Stati Uniti possono imporre un cessate il fuoco alle parti in guerra semplicemente interrompendo le spedizioni di armi a Israele e annunciando che parteciperemo a un embargo internazionale sulle armi sia a Israele che a tutti i gruppi armati palestinesi. Sottolineiamo ciò che molti altri vi hanno ripetutamente detto nell’ultimo anno: la legge americana è perfettamente chiara su questa questione, continuare ad armare Israele è illegale.

Presidente Biden e vicepresidente Harris, vi esortiamo a sospendere immediatamente il supporto militare, economico e diplomatico allo Stato di Israele e a partecipare a un embargo internazionale sulle armi di Israele e di tutti i gruppi armati palestinesi fino a quando non verrà stabilito un cessate il fuoco permanente a Gaza, incluso il rilascio di tutti gli ostaggi israeliani e palestinesi e fino a quando non verrà negoziata una risoluzione permanente del conflitto israelo-palestinese tra le due parti. Vicepresidente Harris, come probabile prossimo presidente degli Stati Uniti, vi esortiamo ad annunciare pubblicamente il vostro sostegno a tale politica e a dichiarare pubblicamente che siete tenuti a rispettare le leggi degli Stati Uniti anche quando farlo è politicamente scomodo.

Presidente Biden e Vicepresidente Harris, siamo 99 medici e infermieri americani che hanno assistito a crimini oltre ogni comprensione. Crimini che non possiamo credere che vogliate continuare a sostenere. Vi preghiamo di incontrarci per discutere di ciò che abbiamo visto e del perché riteniamo che la politica americana in Medio Oriente debba cambiare immediatamente.

Nel frattempo, ribadiamo quanto scritto nella nostra lettera del 25 luglio 2024:
1. Il valico di Rafah tra Gaza ed Egitto deve essere immediatamente riaperto e deve consentire la consegna di aiuti senza restrizioni da parte di organizzazioni umanitarie internazionali riconosciute. I controlli di sicurezza delle consegne di aiuti devono essere condotti da un regime di ispezione internazionale indipendente anziché dalle forze israeliane. Questi controlli devono essere basati su un elenco chiaro, inequivocabile e pubblicato di articoli proibiti e con un chiaro meccanismo internazionale indipendente per contestare gli articoli proibiti, come verificato dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari nel territorio palestinese occupato.
2. Una dotazione minima di acqua di 15 litri di acqua potabile a persona al giorno, il minimo del Manuale Sphere in un’emergenza umanitaria, deve essere assegnata alla popolazione di Gaza, come verificato da UN Water.
3. Deve essere ripreso l’accesso completo e senza restrizioni di professionisti medici e chirurgici e di attrezzature mediche e chirurgiche alla Striscia di Gaza. Ciò deve includere gli articoli portati nei bagagli personali degli operatori sanitari per salvaguardarne la corretta conservazione, sterilità e consegna tempestiva, come verificato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Incredibilmente, Israele continua a impedire agli operatori sanitari di origine palestinese di lavorare a Gaza, persino ai cittadini americani. Ciò prende in giro l’ideale americano secondo cui “tutti gli uomini sono creati uguali” e degrada sia i nostri ideali nazionali che la nostra professione. Il nostro lavoro salva vite. I nostri colleghi sanitari palestinesi a Gaza sono disperatamente alla ricerca di sollievo e protezione, e meritano entrambe le cose.

Non siamo politici. Non pretendiamo di avere tutte le risposte. Siamo semplicemente professionisti della guarigione che non possono rimanere in silenzio su ciò che abbiamo visto a Gaza. Ogni giorno in cui continuiamo a fornire armi e munizioni a Israele è un altro giorno in cui le donne vengono fatte a pezzi dalle nostre bombe e i bambini vengono assassinati dai nostri proiettili.

Presidente Biden e vicepresidente Harris, vi esortiamo: ponete fine a questa follia ora!
Sinceramente

2 ottobre 2024

Mark Perlmutter e altri 98

Per il testo originale della lettera: https://www.gazahealthcareletters.org/usa-letter-oct-2-2024. La traduzione in italiano è di Domenico Gallo

da qui

lunedì 14 ottobre 2024

Paesi Baschi: A volte correre rende liberi - Gianni Sartori

 

Sette militanti baschi verranno processati per avere – secondo l’accusa – favorito il passaggio della frontiera a un gruppo di migranti durante la Korrika

A sette mesi dai fatti contestati, la mattina del 2 ottobre sette militanti baschi venivano convocati presso il commissariato di Bayonne (Ipar Euskal Herria, Paese Basco sotto amministrazione francese). Ne uscivano soltanto dopo molte ore, nel tardo pomeriggio e dovranno presentarsi in tribunale per essere processati il 25 gennaio 2025.

Le accuse? Aver fornito “aiuto per entrare e per soggiornare in Francia a persone in situazione irregolare” e per aver agito come una “banda organizzata” (un’associazione a delinquere in pratica).

Tale azione umanitaria, definita dai responsabili di “azione civile”, costituisce un reato a tutti gli effetti per la legge francese, in base al CESEDA (il codice per l’entrata e il soggiorno degli stranieri e il diritto d’asilo).

Era stata concordata tra una dozzina di organizzazioni per consentire il passaggio di 36 “esuli” (migranti) confusi tra i partecipanti alla tradizionale corsa podistica basca di marzo, la Korrika (da Irun – Hego Euskal Herria, in territorio spagnolo – a Hendaye – Ipar Euskal Herria, in territorio francese).

Nel comunicato di rivendicazione (in data 28 marzo 2024) veniva stigmatizzata “la politica migratoria repressiva dell’Europa-fortezza che colpisce gli esiliati spingendoli verso le reti criminali di sfruttamento e della tratta di esseri umani”. Richiedendo “l’apertura delle frontiere e in particolare dei ponti come quello tra Irun e Hendaye (il Ponte Santiago nda) per garantire la libera circolazione”.

I sette baschi inquisiti (identificati grazie a un video) provengono da varie organizzazioni della sinistra basca abertzale. Tra cui il sindacato LAB (Langile Abertzaleen Batzordeak), Bidasoa Etorkinekin (un’associazione di aiuto ai migranti), il partito basco EH Bai e La France Insoumise. Mentre una ventina di organizzazioni si erano “autodenunciate” per aver collaborato all’azione di solidarietà, oltre 80 avevano espresso il loro sostegno e indetto una manifestazione davanti al commissariato di Bayonne.

Uno dei sette accusati, Eñaut Aramendi del sindacato LAB, ha spiegato che tutte le domande poste dagli inquirenti si basavano sul video della corsa, diffuso pubblicamente. Aggiungendo che “non sono soltanto sette persone che verranno giudicate, ma sette militanti di una ventina di organizzazioni”. E quindi, attraversodi loro “sono migliaia di persone aderenti a queste strutture che verranno incriminate. In quanto società dobbiamo interrogarci: siamo d’accordo con quello a cui assistiamo quotidianamente? Se per portare queste tematiche nel dibattito pubblico dobbiamo andare in tribunale, ebbene ci andremo”.

E comunque – aveva concluso – io quel giorno ho visto solamente gente che correva“.

Amaia Fontang, portavoce di Etorkinekin (una federazione di associazioni di volontariato) ricordava che “qui, nel Paese basco i nostri militanti non nascondono di aiutare i migranti. Quando vediamo persone sperdute al margine della strada, li portiamo al centro Pausa (un centro d’urgenza per l’accoglienza a Bayonne nda). Rammaricandosi comunque che questa vicenda venga a cadere “in un momento politico assai inquietante (al ministero degli Interni è stato nominato Bruno Retailleau nda) per i difensori dei diritti fondamentali dei migranti. La politica di estrema destra portata avanti dal governo sulla questione migratoria ci preoccupa”.

Fatalmente l’episodio ha rinfrescato il dibattito in merito al cosiddetto “reato di solidarietà” aperto in Francia ancora nel 2017 dalle azioni umanitarie di aiuto ai migranti dell’agricoltore Cédric Herrou.

da qui

sabato 12 ottobre 2024

Tenore di vita in Cina, nel 1978 e nel 2023 - Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli

  

Spesso i numeri risultano noiosi, ma non sempre e non in ogni caso.

Nel 1978 la popolazione cinese spendeva infatti mediamente ben il 63,9% del proprio reddito solo per acquistare cibo e vestiti, mentre tale percentuale era via via crollata fino al 29,8% nel 2023.

Si trovavano frigoriferi in solo lo 0,2% delle famiglie cinesi nel 1981, ma la percentuale in via di esame era esplosa fino al 103,4% nel 2023.

Televisori a colori? Li possedeva solo lo 0,6% delle famiglie nel 1981, contro invece il 107,8% nel 2023.

Lavatrici? Erano utilizzate solamente dal 6,3% dei nuclei familiari cinesi nel corso del 1981, rispetto ai 98,2% del 2023.

L'area abitabile procapite risultava pari, nel 2023, a 38,6 metri quadri nelle città cinesi, ben 4,8 volte più che nel 1978; nelle campagne la superficie abitabile procapite invece raggiungeva la considerevole quota di 48,6 metri quadri.

Inoltre l'aspettativa di vita dei cinesi aveva raggiunto quota 78,6 anni nel 2023, superando la media raggiunta in quello stesso anno dagli Stati Uniti e quasi raddoppiando la propria rispetto a quel 1949 prerivoluzionario, nel quale essa risultava ancora equivalente a soli 43,6 anni.

Nel 2023 il 99,8% delle comunità urbane cinesi aveva accesso alle autostrade, contro la piccola manciata di grandi città degli anni Settanta, mentre il 99,9% delle comunità rurali riceve ormai i segnali televisivi e il 96,1% di esse possiede stazioni di servizio medico, percentuali che sono da paragonare ai quasi zero del 1978 negli stessi settori.

Abbiamo presentato dei dati e "fatti testardi" (Lenin) apparentemente aridi ma che, invece, illustrano meglio di mille discorsi il gigantesco e multilaterale processo di sviluppo raggiunto dalla Cina prevalentemente socialista, a partire specialmente dal 1978: in soli 46 anni, quindi, il gigantesco paese asiatico è passato da una situazione in gran parte equivalente a quella dell'Italia del 1901 a quella della nostra penisola nel ... 2024, almeno per quanto riguarda le zone urbane cinesi

 

Fonte: "China sees improving livelihood in 75 years", 7 ottobre 2024, in en.people.cn

da qui

venerdì 11 ottobre 2024

Diritto alla casa in Italia, il rapporto all’Onu rileva violazioni - Massimo Pasquini

  

L’esame periodico universale, da parte dell’Onu, EPU / Universal Periodic Review, UPR è uno dei principali strumenti del Consiglio dei diritti umani dell’ONU (CDH) e permette di stilare un bilancio della situazione dei diritti umani in tutti i Paesi membri, secondo un calendario fisso. Il 4° CICLO – 48a SESSIONE UPR, si terrà a gennaio-febbraio 2025.

In quell’occasione sarà verificato lo stato di attuazione dei diritti umani in Italia. A novembre 2024 sono previste a Ginevra una serie di audizioni che riguarderanno il Governo italiano ma anche associazioni di abitanti.

In vista di tale occasione l’Alleanza internazionale degli Abitanti e l’Unione Inquilini hanno già inviato un Rapporto e saranno chiamati in audizione a novembre 2024 a Ginevra. Il Rapporto si riferisce alle violazioni dell’Italia sul diritto alla casa recato dall’articolo 11 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (Pidesc).

Il Rapporto presenta una analisi dettagliata delle violazioni ai Trattati e alle Convenzioni internazionali sottoscritte dal nostro Paese e ratificate dal Parlamento e si riferiscono, in particolare:

All’articolo 11 del PIDESC, che afferma “il diritto a un livello di vita adeguato per sé e la propria famiglia che includa un alloggio adeguato e il diritto al miglioramento continuo delle proprie condizioni di vita.”; e all’art. 2 PIDESC che impegna l’Italia ad operare con il massimo delle risorse di cui dispone al fine di assicurare progressivamente con tutti i mezzi appropriati, compresa l’adozione di misure legislative, la piena attuazione dei diritti riconosciuti dal PIDESC.

Il quadro che delinea il Rapporto si riferisce a un ciclo lungo di governo del Paese, che investe gli ultimi 40 anni e che ha accumulato una serie di violazioni e inadempienza che hanno determinato la condizione di sofferenza abitativa strutturale. A

llo stesso tempo, il Rapporto mette in luce gli aspetti fortemente peggiorativi messi in atto dall’attuale governo e conseguiti nella presente XIX Legislatura, con un concetto di sicurezza che mostra l’obiettivo di assumere come paradigma della sicurezza la repressione delle forme della protesta e della solidarietà sociali e la criminalizzazione della povertà, invece di nuove politiche pubbliche che ne affrontino le radici strutturali.

Il Rapporto delle due associazioni per quanto riguarda il mercato locativo evidenzia come pur in una condizione di recessione e/o stagnazione, non ha dato segnali di raffreddamento, anzi di ulteriori incrementi (+ 14,6% solo tra gennaio 2023 e gennaio 2024).

Tale tendenza è determinata da due fattori: la scarsità relativa delle case messe sul mercato delle locazioni da parte dei proprietari (a fronte di oltre 700.000 richieste di locazione, l’11% delle abitazioni disponibili non viene concesso in locazione); il crescente peso degli affitti brevi e in clamorosa espansione a causa dell’aspettativa di maggiore redditività e dall’assenza di efficaci misure di regolamentazione.

Questi fattori, sottolinea il Rapporto, causano la diffusa morosità, dovuta alla crisi economica e sociale e alla dinamica inflazionistica: quasi un terzo dei locatori ha dichiarato di non aver percepito alcuni canoni mentre il 13% degli inquilini ha affermato di aver saltato almeno una rata.

Questo in un contesto in cui aumenta la povertà assoluta certificata dall’ISTAT in maniera molto netta. Le famiglie in affitto in condizione di povertà assoluta sono 983.000, circa 100.000 in più rispetto alle 889.000 del 2021. Una famiglia con minori su quattro, che vive in affitto, è in una condizione di povertà assoluta a fronte di 1 su 14 nel complesso della popolazione residente.

 

Per quanto riguarda l’abbandono dell’edilizia residenziale pubblica Federcasa ha fornito i seguenti dati rispetto all’ERP, riferiti al 2024: Totale alloggi ERP: 769.745, Alloggi ERP sfitti: 60.217 sfitti. Nel 2016, Federcasa affermava di contare in 806.000 alloggi in assegnazione A fine degli anni 80, il patrimonio ERP in assegnazione effettiva era intorno a un milione di alloggi.

Il Rapporto si riferisce anche alla condizione dei senza tetto e delle politiche discriminatorie. Con dati parziali e sottostimati, si segnala negli ultimi 10 anni un raddoppio del fenomeno, giungendo a circa 100 mila persone.

Secondo una indagine della Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora (fio.PSD): il 62% dei senzatetto ha infatti un reddito mensile proveniente da attività lavorativa (anche informale e saltuaria) con un guadagno medio mensile tra le 100 e le 499 euro, mentre il 30 % vive di espedienti e collette. Il 17% non ha alcuna fonte di reddito. Permangono politiche discriminatorie nei confronti delle popolazioni Rom, Sinti e Camminanti d) Sfratti, pignoramenti.

Dopo la pausa della pandemia è ripresa la corsa pazza degli sfratti: nel 2022 sono state emesse quasi 42 mila nuove sentenze di sfratto, di cui 33.522 per morosità. Nel 2022 si è assistito anche alll’esplosione, con una crescita del 199,07% delle richieste di esecuzione con l’Ufficiale Giudiziario, e del numero degli sfratti eseguiti con la forza pubblica, aumentati di ben il 218,60%.

A fronte di questa drammatica situazione, la normativa dell’Italia non ha stabilito in nessun caso il passaggio da casa a casa, cioè ad “abitazione alternativa adeguata” per le persone non in grado di provvedere autonomamente, come precisato dai Commenti generali del Comitato ONU sui diritti N. 4 (1991) on the right to adequate housing e N. 7 (1997) on forced evictions.

Questi dati dimostrano da parte dell’Italia non solo una sottovalutazione se non indifferenza rispetto alla questione abitativa ma anche le continue e strutturali violazioni del diritto alla casa.

Passaggi interessanti del Rapporto riguardano l’impatto dell’intelligenza artificiale sul comparto abitativo e della turistificazione.

In ultimo ma non di minore importanza il Rapporto segnala come ulteriore e gravissimo elemento di violazione incrementale del diritto alla casa, il provvedimento ancora in corso di esame al Senato, dopo il passaggio alla Camera, definito “DDL Sicurezza”.

Secondo il Rapporto il governo italiano, invece di affrontare i nodi della sofferenza abitativa strutturale e i guasti provocati dalle leggi approvate in questa legislatura, agisce nella direzione di criminalizzare la povertà e di reprimere le organizzazioni sindacali, le associazioni e i movimenti che offrano qualsiasi forma di “utilità”, quindi anche forme di solidarietà e di aiuto, per resistere fino al passaggio da casa a casa, come trattati e convenzioni internazionali obbligano.

Il Rapporto si conclude invitando le istituzioni e agli organismi internazionali, nonché alla comunità internazionale e agli Stati che partecipano alla sessione UPR, affinché appoggino le 19 raccomandazioni che il Rapporto pone alla attenzione dell’UPR, rivolte al Governo italiano, al Parlamento, alle Regioni e alle Amministrazioni locali, ciascuno nell’ambito della propria giurisdizione, che prevedono un profondo cambiamento rispetto a quanto (non) fatto fino ad oggi in materia di politiche abitative.

Qui il testo integrale del Rapporto inviato da Alleanza Internazionale degli Abitanti e Unione Inquilini

da qui

giovedì 10 ottobre 2024

Sconnessi? - Claudio Canal

 

Guardare avanti, si dice. Guardare fisso, invece, la propria mano che sostiene un apparecchietto nero con schermo, detto smartphone. Consultare, sbirciare, controllare, scrollare, ascoltare, pagare, scrivere, parlare, filmare… Al ristorante, per strada, in chiesa, nel passeggino, al cinema, in arrampicata, al supermercato, in auto, in classe, in ospedale, sul bus, sul water, a letto, in bici, al lavoro, ai mari e ai monti… in tasca, in mano. A testa bassa.

Paesaggio umano smisuratamente social. Ognuno di noi al guinzaglio del proprio smartphone. Ad ogni latitudine, più o meno. Ad ogni età, neonato e pensionato, per ogni sesso. Super intersezionale. La psichiatria, che ha il naso fino, ha inventato il problematic smartphone use (PSU) Ma quale problematicObvious smartphone use. Non è un gingillo, è una Lampada di Aladino dai mille favori. È un essere più che uno strumento tecnico. Non sono un filosofo e torno a incantarmi con questo congegno luccicante che ci ha catturati, dionisiacamente “sussunti” direbbero gli intenditori. Se fossi nato vent’anni fa non mi stupirebbe toccar quotidianamente con mano la nostra universale dedizione all’Angelo Custode che ogni giorno ci accompagna e ci nutre, mi sarebbe risuonato perfettamente naturale, oggettivo, da sempre. Una felice evoluzione dell’umanità.

Di chi è figlia questa alchimia universale? Del capitalismo digitale, di quello cognitivo, di quello zombi? Di un neo colonialismo psichico? Di una fantomatica tecnodittatura? Di un dio cattivo, o anche buonino, che escogita una nuova religione? Di quei cinque o sei giovanottoni diventati paperon de’ paperoni giocando con il web e inventando questo e quello? Di un presente a capitalismo morto, che sarebbe ancora peggio del capitalismo vivo? Di me boccalone e dei miei simili che ci facciamo accalappiare da questa sbalorditiva pietra filosofale rettangolare?

Se esiste un capitalismo sciamanico, ecco, è quello. Fascinans et tremendum, come diceva saggiamente qualcuno parlando del Sacro. Sull’affascinante non ci sono dubbi, si comincia a nutrire qualche timore sul tremendo. È un coitus un po’ interruptus e un po’ no il rapporto che abbiamo con lo smartphone. Ricevere di continuo stimoli e scariche di dopamina genera una gradevole eccitazione che alla lunga si esaurisce in una fiacca generalizzata quasi comatosa. Gli alti e bassi di odio amore per l’aggeggio in questione sono snervanti e paradossalmente corroboranti. Ci fanno sentire vivi per il contrasto che creano in noi. La voglia di liberarcene, almeno per un po’, e la ricerca inquieta della gratificazione che ci procura, scrollaggio forsennato e ostinato cliccaggio si accavallano e si accartocciano, sommergendoci. Un doping senza frontiere. Se me lo chiedessero risponderei spavaldo che “smetto quando voglio”, arrossendo per la fandonia appena formulata. Nel cellulare ci sto in comoda forma trinitaria: come lavoratore che addestra a sua insaputa algoritmi e produce valore per qualche santone camuffato da piattaforma, come merce perché miniera da cui estrarre dati, profili, tendenze, contatti, desideri, come consumatore vorace che si rimpinza del sublime e dell’orrido della rete in una delle infinite nicchie a me assegnate.

Alimenta questa fermentazione cosmica una Terra Santa, una Valle con le sue diramazioni planetarie tra Russia e Cina. Si chiama Silicon Valley e verrebbe da definirla Fasciston Valley e sarebbe non solo sbagliato, ma anche semplicistico. La Silicon, e aggregati, si è poco per volta tramutata in un Olimpo con divinità di vario calibro, un centro di pensiero nello stesso tempo avveniristico e reazionario, con teologie e mistiche adeguate, che qualcuno elegantemente definisce Lungotermismo Accelerazionismo, affiancati da una galassia che si autodefinisce, non arbitrariamente, Gramsciani di Destra. L’esponente più in vista è Elon Musk, tifoso di Trump, bannato in Brasilevenerato da Giorgia M. e criticato severamente dal Financial Times, che è tutto dire.

Se io sono un dato, se lo è il gatto che non ho, se lo è Mozart e il mio vicino di pianerottolo, se presente, passato e scaglie di futuro sono data, se le-parole-che-sto-scrivendo sono data, se Tutto è datificabile e datificato e me lo ritrovo nel gingillo cellulare alla maniera di travolgenti scritture e audio e video e relative notifiche da cui sono implacabilmente sedotto, ebbene qualche pensierino mi viene. Il più presentabile dice: è possibile modellare una ecologia mentale che renda lo smartphone e la sua seduzione meno totalitaria, il feticcio un po’ meno feticcio, la demenza meno demenza? Che la soggettivazione che ci impone sia meno pervasiva e meno guidata dal siliconvalleypensiero? “Non c’è problema”, dice lui in formato Google: c’è una vasta gamma di app che ti aiutano a disintossicarti. Che sarebbe, dico io, come rivolgersi al migliore spacciatore per farsi aiutare a smettere. Cioè la perfetta logica del neoliberismo (o come lo vogliamo chiamare) che si alimenta delle crisi che provoca. Vorrei sottrarmi in modi che non so ancora alle attrattive dello smartphone, l’Onnipotente, e dei mille mondi che contiene, giusto per scalfire l’intontimento che mi provoca e oppormi al flusso di incantesimi che mi rovescia addosso. Essere più lucido, meno eccitato dalla merda e dal miele che cola dalla rete. Non per ritrovarmi in armonia con l’universo, ma in conflitto con lui così come si è venuto conformando. In resistenza.

Vorrei una pedagogia dei connessi, per parafrasare Paulo Freire, una pedagogia liberatoria che trovi le strade per sconnettersi dalla colonizzazione in atto, da questo entanglement spurio, che elabori percorsi critici di riappropriazione digitale non consolatori, che preveda luoghi non da remoto e rigorosamente off line di confronto e di progetto. Una pedagogia politica non dedita alla palingenesi universale né al benessere del singolo. Che si dedichi all’equipaggiamento di salva.gente mentali per piccoli nuclei di persone composte da nativi digitali e mortivi digitali come me. Disposti a pagare il costo psichico che l’operazione di salvataggio comporta.

Un’utopia? Un sogno? Una baggianata?

Due riferimenti bibliografici

Juan Carlos, De Martin, Contro lo smartphone. Per una tecnologia più democratica, add editore, Torino, 2023: Un’analisi esauriente ed acuta degli aspetti tecnici e culturali del nostro apparecchio, chiamiamolo così.

Tiziano Bonini, Emiliano Treré, Algorithms of resistance. The Everyday Fight Against Platform Power, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts, 2024: gli algoritmi come campo di battaglia hanno soggetti che li contestano dall’interno. Una ricerca innovativa che mi auguro di rileggere in italiano.

da qui

martedì 8 ottobre 2024

4 anni più 2 negli istituti tecnici e professionali: come tornare a una scuola di classe - Domenico Chiesa

 

Approvata e promulgata in piena estate, la legge 8 agosto 2024, n. 121, che istituisce “percorsi quadriennali sperimentali di istruzione secondaria di secondo grado” rischia di riportare indietro di alcuni decenni il nostro sistema di istruzione. Essa infatti, con la riduzione a quattro anni dei corsi degli istituti tecnici e professionali e con quanto la accompagna, introduce di fatto per i ragazzi e le ragazze una selezione precoce, inevitabilmente influenzata dalle condizioni economiche e sociali delle famiglie di appartenenza. Eppure l’intervento legislativo, espressione evidente della cultura della destra al governo, non ha suscitato le manifestazioni di dissenso che avrebbe meritato. Per questo apriamo le nostre pagine, cominciando con un articolo di Domenico Chiesa, a un approfondimento che ci sembra quanto mai necessario. (la redazione)

Un indicatore del processo di avvicinamento, in chiave unitaria, dei percorsi della scuola secondaria di secondo grado è stata la loro durata e ha segnato l’evoluzione della scuola italiana dagli anni ‘60 all’inizio del 2000. Licei e istituti tecnici hanno rappresentato il metro di riferimento: per svolgere compiutamente un ciclo di studi secondari servono cinque anni, suddivisi in un biennio e in un triennio. L’istituto magistrale e il liceo artistico, dopo un lungo percorso di sperimentazione, hanno conquistato la durata di cinque anni superando l’anno integrativo. Gli istituti professionali, dagli anni ‘60, hanno attraversato diversi cambiamenti: nati come corsi triennali sono definitivamente approdati al percorso quinquennale e nel 2017 hanno assunto una struttura curricolare fortemente innovativa (su cui ci sarebbe molto da discutere) rispetto a quelle degli altri percorsi di scuola secondaria di secondo grado.

La quinquennalità era, dunque, una condizione necessaria nel processo verso una riforma caratterizzata da una maggiore unitarietà dei percorsi. Era presente nel progetto dei nuovi piani di studio Brocca, confermata nella riforma Berlinguer di riordino dei cicli e nella proposta di riforma Moratti. Invece, da alcuni anni, è stata rimessa in discussione con la sperimentazione dei licei di 4 anni e ora con il 4+2 nell’ambito degli istituti tecnici e professionali trasformati in una filiera (sic!) formativa. Ciò rappresenta l’azione più forte sul piano dell’assetto istituzionale/ordinamentale; unita a quelle sul piano culturale (si pensi alla forzatura sull’educazione civica) e alla stretta autoritaria, stravolgerà il senso e il compito della scuola.

In realtà il ministro Valditara fa proprie e cerca, con determinazione, di rendere legge scelte e orientamenti che da anni, trasversalmente, sono attrattivi per un vasto spettro di forze politiche, sindacali e economiche. Per questo motivo non è possibile esaurire la valutazione del provvedimento nell’analisi critica dei singoli contenuti. Sono scelte gravi e pericolose che potranno essere contrastate solo con un livello alto di consapevolezza politica, culturale e pedagogica, all’interno di un’idea di paese e di scuola.

La proposta di legge n. 1739, per la riduzione a 4 anni della scuola secondaria di secondo grado, presentata il 26 febbraio 2024, attualmente in discussione alla Camera dei Deputati e la legge 8 agosto 2024, n. 121, di recente approvazione, che istituisce la filiera formativa tecnologico–professionale non sono semplici interventi innovativi in un quadro strutturale stabile; scardinano l’attuale assetto della scuola per gli adolescenti e allontanano la ripresa di un percorso riformatore verso una scuola per la cittadinanza; orientano la revisione delle Indicazioni nazionali per il primo ciclo e le possibili differenziazioni nella scuola secondaria di primo grado. Essere contrari o favorevoli alla riduzione a 4 anni della scuola secondaria superiore significa incrociare l’alternativa politica di sempre che interessa il senso complessivo dell’esperienza scolastica: da una parte la scuola funzionale al mercato del lavoro (non al “lavoro”, ma all’”impresa”) in una logica neoliberista e dall’altra la scuola per promuovere il pieno sviluppo della persona umana, la libertà e l’eguaglianza dei cittadini e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Si può impedire la riduzione del tempo scuola orientando il ragionamento verso una diversa prospettiva di cambiamento. In una visione alternativa di scuola per l’età dell’adolescenza si devono riprendere, approfondire e attualizzare alcuni snodi che hanno segnato le tappe del mai realizzato processo di rinnovamento; snodi in cui collocare le proposte governative di questi mesi.

Innanzitutto il problema di assumere almeno parte del quinquennio nella scuola per tutti e per ciascuno come estensione dell’esperienza scolastica. È un obiettivo raggiunto formalmente con la legge 27 dicembre 2006 n. 296 (finanziaria 2007) e poi abbandonato, privandolo dei decreti attuativi. La questione del biennio è antica e necessita di un approfondimento specifico: come può essere in continuità con il primo ciclo e come può essere collocato nel percorso della secondaria di secondo grado dovendo comunque rappresentare la chiusura dell’obbligo scolastico?

Il secondo nodo da dipanare è nel rapporto tra scuola e formazione professionale. La formulazione di “istruzione” e “della istruzione e della formazione professionale” (IeFP) come contenuta nell’articolo 117 della Costituzione, pone non pochi problemi interpretativi e attuativi; in particolare sorgono dubbi su come è stata praticata, da tutti i governi, in questi due decenni. Le scelte di Valditara si collocano proprio nel porre l’istruzione e formazione professionale (agenzie di FP) in alternativa all’istruzione (scuola) subito dopo il primo ciclo e non come complementare all’istruzione dopo il biennio obbligatorio. Si esalta, anche in Italia, la contrapposizione tra la “scuola” (education) e la “scuola vocazionale” (vocational education and training); per l’istituto professionale (e pure per il glorioso istituto tecnico) si allentano i legami con la scuola per la cittadinanza; essi entrano a far parte di una filiera che al capo finale ha direttamente il lavoro verso cui è finalizzata e strutturata anche l’area culturale. La stessa idea-immagine di “filiera” riduce il percorso scolastico a un tratto di un ciclo produttivo che realizza figure professionali compiute e alla cui formazione contribuiscono, già nel tempo scuola, le componenti del futuro lavoro, gli esperti provenienti dal mondo delle professioni.

Anche la riduzione a 4 anni conferma questa tendenza. Si accetta che bastino 4 anni di istruzione in modo da poter completare la formazione alla professione nei bienni specialistici (ITS) liberati dalla zavorra della cultura disinteressata. Del futuro lavoratore la scuola assume l’impegno di formare la dimensione di produttore, marginalizzando la costruzione degli strumenti culturali per l’effettiva partecipazione come lavoratore all’organizzazione politica, economica e sociale del PaeseNon ha lo stesso significato del liceo di 4 anni; qui non c’è uno sconto sulla “quantità” di istruzione, semmai si scambia un anno di scuola con un incremento dello stress da prestazione; ma anche per questa scelta non ci sono coperture pedagogiche o sociologiche , ma solo politico-ideologiche. Il problema del curricolo, se inteso oltre la dimensione prettamente didattica, prevede un lavoro di ricerca e di pensiero che da anni e soprattutto per questa fascia di età non è attivo. Ricordo testi e autori che hanno determinato la mia formazione ormai tanti anni fa e che, drammaticamente, sono incredibilmente ancora utili per stimolare una nuova fase di ricerca: Ausubel, Bertoni Jovine, Manacorda, Chiarante, Codignola, La Porta, Rodotà, Rossi, Pontecorvo, Massa, De Mauro, Bernardini, Cerroni…

Rimane il problema più complesso perché non riguarda solo la scuola: quale rapporto con il lavoro? Esso prevede un approfondimento di ampio respiro tenendo due punti fermi da condividere, verso cui orientare il pensiero e le azioni: l’idea che il miglior servizio che la scuola può fare al futuro lavoro consista nel fare bene il mestiere di scuola e la necessità di attivare politiche del lavoro orientate al riconoscimento e potenziamento della sua dignità. Una scuola come percorso di umanizzazione culturale che possa consegnare i giovani cittadini a un lavoro in cui sia garantita la dignità, avendo acquisito gli strumenti per viverlo con padronanza. Scuola e lavoro come tempi distinti, con distinte responsabilità ma certo non estranei. Nell’esperienza scolastica sono presenti in modo costitutivo i fondamentali elementi che connotano anche l’esperienza lavorativa: la partecipazione ad azioni collettive, il sapere tecnico trasversale, la costruzione di significati e di senso, l’interpretazione/padronanza della realtà (si veda Cidi Torino, La scuola e il lavoro, Impremix edizioni, 2023).

L’obiettivo delle scelte governative è dunque ridurre di un anno il tempo della scuola per anticipare l’ingresso all’università o per rendere più stretto e vincolante lo sbocco lavorativo. In un mondo così complesso e in continua, radicale trasformazione, nella prospettiva di allungamento della vita e del tempo del lavoro attivo che senso ha porsi nella prospettiva di ridurre il tempo in cui le persone costruiscono la propria umanità attraverso l’esperienza culturale non dosata sul futuro mestiere? Il problema della scuola non è che ruba tempo alla vita ma che non riesce a essere un tempo di vita; allora va cambiata radicalmente non ridotta o sostituita, «chiede di essere ricreata e rigenerata, non semplicemente abolita o rinnovata» (Riccardo Massa, Cambiare la scuola, Laterza, 1997).

Ho caricato il tema in discussione con problematiche apparentemente estranee alla legge 8 agosto 2024 n. 121 e ai documenti allegati, ma non è così: se vogliamo essere in grado di contrastare la politica scolastica di Valditara è necessario tenere i singoli aspetti all’interno della visione in cui assumono senso e non ridurre la nostra azione alla dovuta contrapposizione. Prima che diventi senso comune anche tra i protagonisti della scuola, è necessario, fortemente necessario, e urgente, costruire una prospettiva di cambiamento della scuola in una direzione opposta a quella in atto da diversi anni, consapevoli che per cambiare, citando ancora Riccardo Massa, «occorre per prima cosa un esercizio di pensiero. Solo attraverso il pensiero è possibile generare qualcosa di pratico e di concreto».

da qui