lunedì 14 ottobre 2024

Paesi Baschi: A volte correre rende liberi - Gianni Sartori

 

Sette militanti baschi verranno processati per avere – secondo l’accusa – favorito il passaggio della frontiera a un gruppo di migranti durante la Korrika

A sette mesi dai fatti contestati, la mattina del 2 ottobre sette militanti baschi venivano convocati presso il commissariato di Bayonne (Ipar Euskal Herria, Paese Basco sotto amministrazione francese). Ne uscivano soltanto dopo molte ore, nel tardo pomeriggio e dovranno presentarsi in tribunale per essere processati il 25 gennaio 2025.

Le accuse? Aver fornito “aiuto per entrare e per soggiornare in Francia a persone in situazione irregolare” e per aver agito come una “banda organizzata” (un’associazione a delinquere in pratica).

Tale azione umanitaria, definita dai responsabili di “azione civile”, costituisce un reato a tutti gli effetti per la legge francese, in base al CESEDA (il codice per l’entrata e il soggiorno degli stranieri e il diritto d’asilo).

Era stata concordata tra una dozzina di organizzazioni per consentire il passaggio di 36 “esuli” (migranti) confusi tra i partecipanti alla tradizionale corsa podistica basca di marzo, la Korrika (da Irun – Hego Euskal Herria, in territorio spagnolo – a Hendaye – Ipar Euskal Herria, in territorio francese).

Nel comunicato di rivendicazione (in data 28 marzo 2024) veniva stigmatizzata “la politica migratoria repressiva dell’Europa-fortezza che colpisce gli esiliati spingendoli verso le reti criminali di sfruttamento e della tratta di esseri umani”. Richiedendo “l’apertura delle frontiere e in particolare dei ponti come quello tra Irun e Hendaye (il Ponte Santiago nda) per garantire la libera circolazione”.

I sette baschi inquisiti (identificati grazie a un video) provengono da varie organizzazioni della sinistra basca abertzale. Tra cui il sindacato LAB (Langile Abertzaleen Batzordeak), Bidasoa Etorkinekin (un’associazione di aiuto ai migranti), il partito basco EH Bai e La France Insoumise. Mentre una ventina di organizzazioni si erano “autodenunciate” per aver collaborato all’azione di solidarietà, oltre 80 avevano espresso il loro sostegno e indetto una manifestazione davanti al commissariato di Bayonne.

Uno dei sette accusati, Eñaut Aramendi del sindacato LAB, ha spiegato che tutte le domande poste dagli inquirenti si basavano sul video della corsa, diffuso pubblicamente. Aggiungendo che “non sono soltanto sette persone che verranno giudicate, ma sette militanti di una ventina di organizzazioni”. E quindi, attraversodi loro “sono migliaia di persone aderenti a queste strutture che verranno incriminate. In quanto società dobbiamo interrogarci: siamo d’accordo con quello a cui assistiamo quotidianamente? Se per portare queste tematiche nel dibattito pubblico dobbiamo andare in tribunale, ebbene ci andremo”.

E comunque – aveva concluso – io quel giorno ho visto solamente gente che correva“.

Amaia Fontang, portavoce di Etorkinekin (una federazione di associazioni di volontariato) ricordava che “qui, nel Paese basco i nostri militanti non nascondono di aiutare i migranti. Quando vediamo persone sperdute al margine della strada, li portiamo al centro Pausa (un centro d’urgenza per l’accoglienza a Bayonne nda). Rammaricandosi comunque che questa vicenda venga a cadere “in un momento politico assai inquietante (al ministero degli Interni è stato nominato Bruno Retailleau nda) per i difensori dei diritti fondamentali dei migranti. La politica di estrema destra portata avanti dal governo sulla questione migratoria ci preoccupa”.

Fatalmente l’episodio ha rinfrescato il dibattito in merito al cosiddetto “reato di solidarietà” aperto in Francia ancora nel 2017 dalle azioni umanitarie di aiuto ai migranti dell’agricoltore Cédric Herrou.

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sabato 12 ottobre 2024

Tenore di vita in Cina, nel 1978 e nel 2023 - Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli

  

Spesso i numeri risultano noiosi, ma non sempre e non in ogni caso.

Nel 1978 la popolazione cinese spendeva infatti mediamente ben il 63,9% del proprio reddito solo per acquistare cibo e vestiti, mentre tale percentuale era via via crollata fino al 29,8% nel 2023.

Si trovavano frigoriferi in solo lo 0,2% delle famiglie cinesi nel 1981, ma la percentuale in via di esame era esplosa fino al 103,4% nel 2023.

Televisori a colori? Li possedeva solo lo 0,6% delle famiglie nel 1981, contro invece il 107,8% nel 2023.

Lavatrici? Erano utilizzate solamente dal 6,3% dei nuclei familiari cinesi nel corso del 1981, rispetto ai 98,2% del 2023.

L'area abitabile procapite risultava pari, nel 2023, a 38,6 metri quadri nelle città cinesi, ben 4,8 volte più che nel 1978; nelle campagne la superficie abitabile procapite invece raggiungeva la considerevole quota di 48,6 metri quadri.

Inoltre l'aspettativa di vita dei cinesi aveva raggiunto quota 78,6 anni nel 2023, superando la media raggiunta in quello stesso anno dagli Stati Uniti e quasi raddoppiando la propria rispetto a quel 1949 prerivoluzionario, nel quale essa risultava ancora equivalente a soli 43,6 anni.

Nel 2023 il 99,8% delle comunità urbane cinesi aveva accesso alle autostrade, contro la piccola manciata di grandi città degli anni Settanta, mentre il 99,9% delle comunità rurali riceve ormai i segnali televisivi e il 96,1% di esse possiede stazioni di servizio medico, percentuali che sono da paragonare ai quasi zero del 1978 negli stessi settori.

Abbiamo presentato dei dati e "fatti testardi" (Lenin) apparentemente aridi ma che, invece, illustrano meglio di mille discorsi il gigantesco e multilaterale processo di sviluppo raggiunto dalla Cina prevalentemente socialista, a partire specialmente dal 1978: in soli 46 anni, quindi, il gigantesco paese asiatico è passato da una situazione in gran parte equivalente a quella dell'Italia del 1901 a quella della nostra penisola nel ... 2024, almeno per quanto riguarda le zone urbane cinesi

 

Fonte: "China sees improving livelihood in 75 years", 7 ottobre 2024, in en.people.cn

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venerdì 11 ottobre 2024

Diritto alla casa in Italia, il rapporto all’Onu rileva violazioni - Massimo Pasquini

  

L’esame periodico universale, da parte dell’Onu, EPU / Universal Periodic Review, UPR è uno dei principali strumenti del Consiglio dei diritti umani dell’ONU (CDH) e permette di stilare un bilancio della situazione dei diritti umani in tutti i Paesi membri, secondo un calendario fisso. Il 4° CICLO – 48a SESSIONE UPR, si terrà a gennaio-febbraio 2025.

In quell’occasione sarà verificato lo stato di attuazione dei diritti umani in Italia. A novembre 2024 sono previste a Ginevra una serie di audizioni che riguarderanno il Governo italiano ma anche associazioni di abitanti.

In vista di tale occasione l’Alleanza internazionale degli Abitanti e l’Unione Inquilini hanno già inviato un Rapporto e saranno chiamati in audizione a novembre 2024 a Ginevra. Il Rapporto si riferisce alle violazioni dell’Italia sul diritto alla casa recato dall’articolo 11 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (Pidesc).

Il Rapporto presenta una analisi dettagliata delle violazioni ai Trattati e alle Convenzioni internazionali sottoscritte dal nostro Paese e ratificate dal Parlamento e si riferiscono, in particolare:

All’articolo 11 del PIDESC, che afferma “il diritto a un livello di vita adeguato per sé e la propria famiglia che includa un alloggio adeguato e il diritto al miglioramento continuo delle proprie condizioni di vita.”; e all’art. 2 PIDESC che impegna l’Italia ad operare con il massimo delle risorse di cui dispone al fine di assicurare progressivamente con tutti i mezzi appropriati, compresa l’adozione di misure legislative, la piena attuazione dei diritti riconosciuti dal PIDESC.

Il quadro che delinea il Rapporto si riferisce a un ciclo lungo di governo del Paese, che investe gli ultimi 40 anni e che ha accumulato una serie di violazioni e inadempienza che hanno determinato la condizione di sofferenza abitativa strutturale. A

llo stesso tempo, il Rapporto mette in luce gli aspetti fortemente peggiorativi messi in atto dall’attuale governo e conseguiti nella presente XIX Legislatura, con un concetto di sicurezza che mostra l’obiettivo di assumere come paradigma della sicurezza la repressione delle forme della protesta e della solidarietà sociali e la criminalizzazione della povertà, invece di nuove politiche pubbliche che ne affrontino le radici strutturali.

Il Rapporto delle due associazioni per quanto riguarda il mercato locativo evidenzia come pur in una condizione di recessione e/o stagnazione, non ha dato segnali di raffreddamento, anzi di ulteriori incrementi (+ 14,6% solo tra gennaio 2023 e gennaio 2024).

Tale tendenza è determinata da due fattori: la scarsità relativa delle case messe sul mercato delle locazioni da parte dei proprietari (a fronte di oltre 700.000 richieste di locazione, l’11% delle abitazioni disponibili non viene concesso in locazione); il crescente peso degli affitti brevi e in clamorosa espansione a causa dell’aspettativa di maggiore redditività e dall’assenza di efficaci misure di regolamentazione.

Questi fattori, sottolinea il Rapporto, causano la diffusa morosità, dovuta alla crisi economica e sociale e alla dinamica inflazionistica: quasi un terzo dei locatori ha dichiarato di non aver percepito alcuni canoni mentre il 13% degli inquilini ha affermato di aver saltato almeno una rata.

Questo in un contesto in cui aumenta la povertà assoluta certificata dall’ISTAT in maniera molto netta. Le famiglie in affitto in condizione di povertà assoluta sono 983.000, circa 100.000 in più rispetto alle 889.000 del 2021. Una famiglia con minori su quattro, che vive in affitto, è in una condizione di povertà assoluta a fronte di 1 su 14 nel complesso della popolazione residente.

 

Per quanto riguarda l’abbandono dell’edilizia residenziale pubblica Federcasa ha fornito i seguenti dati rispetto all’ERP, riferiti al 2024: Totale alloggi ERP: 769.745, Alloggi ERP sfitti: 60.217 sfitti. Nel 2016, Federcasa affermava di contare in 806.000 alloggi in assegnazione A fine degli anni 80, il patrimonio ERP in assegnazione effettiva era intorno a un milione di alloggi.

Il Rapporto si riferisce anche alla condizione dei senza tetto e delle politiche discriminatorie. Con dati parziali e sottostimati, si segnala negli ultimi 10 anni un raddoppio del fenomeno, giungendo a circa 100 mila persone.

Secondo una indagine della Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora (fio.PSD): il 62% dei senzatetto ha infatti un reddito mensile proveniente da attività lavorativa (anche informale e saltuaria) con un guadagno medio mensile tra le 100 e le 499 euro, mentre il 30 % vive di espedienti e collette. Il 17% non ha alcuna fonte di reddito. Permangono politiche discriminatorie nei confronti delle popolazioni Rom, Sinti e Camminanti d) Sfratti, pignoramenti.

Dopo la pausa della pandemia è ripresa la corsa pazza degli sfratti: nel 2022 sono state emesse quasi 42 mila nuove sentenze di sfratto, di cui 33.522 per morosità. Nel 2022 si è assistito anche alll’esplosione, con una crescita del 199,07% delle richieste di esecuzione con l’Ufficiale Giudiziario, e del numero degli sfratti eseguiti con la forza pubblica, aumentati di ben il 218,60%.

A fronte di questa drammatica situazione, la normativa dell’Italia non ha stabilito in nessun caso il passaggio da casa a casa, cioè ad “abitazione alternativa adeguata” per le persone non in grado di provvedere autonomamente, come precisato dai Commenti generali del Comitato ONU sui diritti N. 4 (1991) on the right to adequate housing e N. 7 (1997) on forced evictions.

Questi dati dimostrano da parte dell’Italia non solo una sottovalutazione se non indifferenza rispetto alla questione abitativa ma anche le continue e strutturali violazioni del diritto alla casa.

Passaggi interessanti del Rapporto riguardano l’impatto dell’intelligenza artificiale sul comparto abitativo e della turistificazione.

In ultimo ma non di minore importanza il Rapporto segnala come ulteriore e gravissimo elemento di violazione incrementale del diritto alla casa, il provvedimento ancora in corso di esame al Senato, dopo il passaggio alla Camera, definito “DDL Sicurezza”.

Secondo il Rapporto il governo italiano, invece di affrontare i nodi della sofferenza abitativa strutturale e i guasti provocati dalle leggi approvate in questa legislatura, agisce nella direzione di criminalizzare la povertà e di reprimere le organizzazioni sindacali, le associazioni e i movimenti che offrano qualsiasi forma di “utilità”, quindi anche forme di solidarietà e di aiuto, per resistere fino al passaggio da casa a casa, come trattati e convenzioni internazionali obbligano.

Il Rapporto si conclude invitando le istituzioni e agli organismi internazionali, nonché alla comunità internazionale e agli Stati che partecipano alla sessione UPR, affinché appoggino le 19 raccomandazioni che il Rapporto pone alla attenzione dell’UPR, rivolte al Governo italiano, al Parlamento, alle Regioni e alle Amministrazioni locali, ciascuno nell’ambito della propria giurisdizione, che prevedono un profondo cambiamento rispetto a quanto (non) fatto fino ad oggi in materia di politiche abitative.

Qui il testo integrale del Rapporto inviato da Alleanza Internazionale degli Abitanti e Unione Inquilini

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giovedì 10 ottobre 2024

Sconnessi? - Claudio Canal

 

Guardare avanti, si dice. Guardare fisso, invece, la propria mano che sostiene un apparecchietto nero con schermo, detto smartphone. Consultare, sbirciare, controllare, scrollare, ascoltare, pagare, scrivere, parlare, filmare… Al ristorante, per strada, in chiesa, nel passeggino, al cinema, in arrampicata, al supermercato, in auto, in classe, in ospedale, sul bus, sul water, a letto, in bici, al lavoro, ai mari e ai monti… in tasca, in mano. A testa bassa.

Paesaggio umano smisuratamente social. Ognuno di noi al guinzaglio del proprio smartphone. Ad ogni latitudine, più o meno. Ad ogni età, neonato e pensionato, per ogni sesso. Super intersezionale. La psichiatria, che ha il naso fino, ha inventato il problematic smartphone use (PSU) Ma quale problematicObvious smartphone use. Non è un gingillo, è una Lampada di Aladino dai mille favori. È un essere più che uno strumento tecnico. Non sono un filosofo e torno a incantarmi con questo congegno luccicante che ci ha catturati, dionisiacamente “sussunti” direbbero gli intenditori. Se fossi nato vent’anni fa non mi stupirebbe toccar quotidianamente con mano la nostra universale dedizione all’Angelo Custode che ogni giorno ci accompagna e ci nutre, mi sarebbe risuonato perfettamente naturale, oggettivo, da sempre. Una felice evoluzione dell’umanità.

Di chi è figlia questa alchimia universale? Del capitalismo digitale, di quello cognitivo, di quello zombi? Di un neo colonialismo psichico? Di una fantomatica tecnodittatura? Di un dio cattivo, o anche buonino, che escogita una nuova religione? Di quei cinque o sei giovanottoni diventati paperon de’ paperoni giocando con il web e inventando questo e quello? Di un presente a capitalismo morto, che sarebbe ancora peggio del capitalismo vivo? Di me boccalone e dei miei simili che ci facciamo accalappiare da questa sbalorditiva pietra filosofale rettangolare?

Se esiste un capitalismo sciamanico, ecco, è quello. Fascinans et tremendum, come diceva saggiamente qualcuno parlando del Sacro. Sull’affascinante non ci sono dubbi, si comincia a nutrire qualche timore sul tremendo. È un coitus un po’ interruptus e un po’ no il rapporto che abbiamo con lo smartphone. Ricevere di continuo stimoli e scariche di dopamina genera una gradevole eccitazione che alla lunga si esaurisce in una fiacca generalizzata quasi comatosa. Gli alti e bassi di odio amore per l’aggeggio in questione sono snervanti e paradossalmente corroboranti. Ci fanno sentire vivi per il contrasto che creano in noi. La voglia di liberarcene, almeno per un po’, e la ricerca inquieta della gratificazione che ci procura, scrollaggio forsennato e ostinato cliccaggio si accavallano e si accartocciano, sommergendoci. Un doping senza frontiere. Se me lo chiedessero risponderei spavaldo che “smetto quando voglio”, arrossendo per la fandonia appena formulata. Nel cellulare ci sto in comoda forma trinitaria: come lavoratore che addestra a sua insaputa algoritmi e produce valore per qualche santone camuffato da piattaforma, come merce perché miniera da cui estrarre dati, profili, tendenze, contatti, desideri, come consumatore vorace che si rimpinza del sublime e dell’orrido della rete in una delle infinite nicchie a me assegnate.

Alimenta questa fermentazione cosmica una Terra Santa, una Valle con le sue diramazioni planetarie tra Russia e Cina. Si chiama Silicon Valley e verrebbe da definirla Fasciston Valley e sarebbe non solo sbagliato, ma anche semplicistico. La Silicon, e aggregati, si è poco per volta tramutata in un Olimpo con divinità di vario calibro, un centro di pensiero nello stesso tempo avveniristico e reazionario, con teologie e mistiche adeguate, che qualcuno elegantemente definisce Lungotermismo Accelerazionismo, affiancati da una galassia che si autodefinisce, non arbitrariamente, Gramsciani di Destra. L’esponente più in vista è Elon Musk, tifoso di Trump, bannato in Brasilevenerato da Giorgia M. e criticato severamente dal Financial Times, che è tutto dire.

Se io sono un dato, se lo è il gatto che non ho, se lo è Mozart e il mio vicino di pianerottolo, se presente, passato e scaglie di futuro sono data, se le-parole-che-sto-scrivendo sono data, se Tutto è datificabile e datificato e me lo ritrovo nel gingillo cellulare alla maniera di travolgenti scritture e audio e video e relative notifiche da cui sono implacabilmente sedotto, ebbene qualche pensierino mi viene. Il più presentabile dice: è possibile modellare una ecologia mentale che renda lo smartphone e la sua seduzione meno totalitaria, il feticcio un po’ meno feticcio, la demenza meno demenza? Che la soggettivazione che ci impone sia meno pervasiva e meno guidata dal siliconvalleypensiero? “Non c’è problema”, dice lui in formato Google: c’è una vasta gamma di app che ti aiutano a disintossicarti. Che sarebbe, dico io, come rivolgersi al migliore spacciatore per farsi aiutare a smettere. Cioè la perfetta logica del neoliberismo (o come lo vogliamo chiamare) che si alimenta delle crisi che provoca. Vorrei sottrarmi in modi che non so ancora alle attrattive dello smartphone, l’Onnipotente, e dei mille mondi che contiene, giusto per scalfire l’intontimento che mi provoca e oppormi al flusso di incantesimi che mi rovescia addosso. Essere più lucido, meno eccitato dalla merda e dal miele che cola dalla rete. Non per ritrovarmi in armonia con l’universo, ma in conflitto con lui così come si è venuto conformando. In resistenza.

Vorrei una pedagogia dei connessi, per parafrasare Paulo Freire, una pedagogia liberatoria che trovi le strade per sconnettersi dalla colonizzazione in atto, da questo entanglement spurio, che elabori percorsi critici di riappropriazione digitale non consolatori, che preveda luoghi non da remoto e rigorosamente off line di confronto e di progetto. Una pedagogia politica non dedita alla palingenesi universale né al benessere del singolo. Che si dedichi all’equipaggiamento di salva.gente mentali per piccoli nuclei di persone composte da nativi digitali e mortivi digitali come me. Disposti a pagare il costo psichico che l’operazione di salvataggio comporta.

Un’utopia? Un sogno? Una baggianata?

Due riferimenti bibliografici

Juan Carlos, De Martin, Contro lo smartphone. Per una tecnologia più democratica, add editore, Torino, 2023: Un’analisi esauriente ed acuta degli aspetti tecnici e culturali del nostro apparecchio, chiamiamolo così.

Tiziano Bonini, Emiliano Treré, Algorithms of resistance. The Everyday Fight Against Platform Power, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts, 2024: gli algoritmi come campo di battaglia hanno soggetti che li contestano dall’interno. Una ricerca innovativa che mi auguro di rileggere in italiano.

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martedì 8 ottobre 2024

4 anni più 2 negli istituti tecnici e professionali: come tornare a una scuola di classe - Domenico Chiesa

 

Approvata e promulgata in piena estate, la legge 8 agosto 2024, n. 121, che istituisce “percorsi quadriennali sperimentali di istruzione secondaria di secondo grado” rischia di riportare indietro di alcuni decenni il nostro sistema di istruzione. Essa infatti, con la riduzione a quattro anni dei corsi degli istituti tecnici e professionali e con quanto la accompagna, introduce di fatto per i ragazzi e le ragazze una selezione precoce, inevitabilmente influenzata dalle condizioni economiche e sociali delle famiglie di appartenenza. Eppure l’intervento legislativo, espressione evidente della cultura della destra al governo, non ha suscitato le manifestazioni di dissenso che avrebbe meritato. Per questo apriamo le nostre pagine, cominciando con un articolo di Domenico Chiesa, a un approfondimento che ci sembra quanto mai necessario. (la redazione)

Un indicatore del processo di avvicinamento, in chiave unitaria, dei percorsi della scuola secondaria di secondo grado è stata la loro durata e ha segnato l’evoluzione della scuola italiana dagli anni ‘60 all’inizio del 2000. Licei e istituti tecnici hanno rappresentato il metro di riferimento: per svolgere compiutamente un ciclo di studi secondari servono cinque anni, suddivisi in un biennio e in un triennio. L’istituto magistrale e il liceo artistico, dopo un lungo percorso di sperimentazione, hanno conquistato la durata di cinque anni superando l’anno integrativo. Gli istituti professionali, dagli anni ‘60, hanno attraversato diversi cambiamenti: nati come corsi triennali sono definitivamente approdati al percorso quinquennale e nel 2017 hanno assunto una struttura curricolare fortemente innovativa (su cui ci sarebbe molto da discutere) rispetto a quelle degli altri percorsi di scuola secondaria di secondo grado.

La quinquennalità era, dunque, una condizione necessaria nel processo verso una riforma caratterizzata da una maggiore unitarietà dei percorsi. Era presente nel progetto dei nuovi piani di studio Brocca, confermata nella riforma Berlinguer di riordino dei cicli e nella proposta di riforma Moratti. Invece, da alcuni anni, è stata rimessa in discussione con la sperimentazione dei licei di 4 anni e ora con il 4+2 nell’ambito degli istituti tecnici e professionali trasformati in una filiera (sic!) formativa. Ciò rappresenta l’azione più forte sul piano dell’assetto istituzionale/ordinamentale; unita a quelle sul piano culturale (si pensi alla forzatura sull’educazione civica) e alla stretta autoritaria, stravolgerà il senso e il compito della scuola.

In realtà il ministro Valditara fa proprie e cerca, con determinazione, di rendere legge scelte e orientamenti che da anni, trasversalmente, sono attrattivi per un vasto spettro di forze politiche, sindacali e economiche. Per questo motivo non è possibile esaurire la valutazione del provvedimento nell’analisi critica dei singoli contenuti. Sono scelte gravi e pericolose che potranno essere contrastate solo con un livello alto di consapevolezza politica, culturale e pedagogica, all’interno di un’idea di paese e di scuola.

La proposta di legge n. 1739, per la riduzione a 4 anni della scuola secondaria di secondo grado, presentata il 26 febbraio 2024, attualmente in discussione alla Camera dei Deputati e la legge 8 agosto 2024, n. 121, di recente approvazione, che istituisce la filiera formativa tecnologico–professionale non sono semplici interventi innovativi in un quadro strutturale stabile; scardinano l’attuale assetto della scuola per gli adolescenti e allontanano la ripresa di un percorso riformatore verso una scuola per la cittadinanza; orientano la revisione delle Indicazioni nazionali per il primo ciclo e le possibili differenziazioni nella scuola secondaria di primo grado. Essere contrari o favorevoli alla riduzione a 4 anni della scuola secondaria superiore significa incrociare l’alternativa politica di sempre che interessa il senso complessivo dell’esperienza scolastica: da una parte la scuola funzionale al mercato del lavoro (non al “lavoro”, ma all’”impresa”) in una logica neoliberista e dall’altra la scuola per promuovere il pieno sviluppo della persona umana, la libertà e l’eguaglianza dei cittadini e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Si può impedire la riduzione del tempo scuola orientando il ragionamento verso una diversa prospettiva di cambiamento. In una visione alternativa di scuola per l’età dell’adolescenza si devono riprendere, approfondire e attualizzare alcuni snodi che hanno segnato le tappe del mai realizzato processo di rinnovamento; snodi in cui collocare le proposte governative di questi mesi.

Innanzitutto il problema di assumere almeno parte del quinquennio nella scuola per tutti e per ciascuno come estensione dell’esperienza scolastica. È un obiettivo raggiunto formalmente con la legge 27 dicembre 2006 n. 296 (finanziaria 2007) e poi abbandonato, privandolo dei decreti attuativi. La questione del biennio è antica e necessita di un approfondimento specifico: come può essere in continuità con il primo ciclo e come può essere collocato nel percorso della secondaria di secondo grado dovendo comunque rappresentare la chiusura dell’obbligo scolastico?

Il secondo nodo da dipanare è nel rapporto tra scuola e formazione professionale. La formulazione di “istruzione” e “della istruzione e della formazione professionale” (IeFP) come contenuta nell’articolo 117 della Costituzione, pone non pochi problemi interpretativi e attuativi; in particolare sorgono dubbi su come è stata praticata, da tutti i governi, in questi due decenni. Le scelte di Valditara si collocano proprio nel porre l’istruzione e formazione professionale (agenzie di FP) in alternativa all’istruzione (scuola) subito dopo il primo ciclo e non come complementare all’istruzione dopo il biennio obbligatorio. Si esalta, anche in Italia, la contrapposizione tra la “scuola” (education) e la “scuola vocazionale” (vocational education and training); per l’istituto professionale (e pure per il glorioso istituto tecnico) si allentano i legami con la scuola per la cittadinanza; essi entrano a far parte di una filiera che al capo finale ha direttamente il lavoro verso cui è finalizzata e strutturata anche l’area culturale. La stessa idea-immagine di “filiera” riduce il percorso scolastico a un tratto di un ciclo produttivo che realizza figure professionali compiute e alla cui formazione contribuiscono, già nel tempo scuola, le componenti del futuro lavoro, gli esperti provenienti dal mondo delle professioni.

Anche la riduzione a 4 anni conferma questa tendenza. Si accetta che bastino 4 anni di istruzione in modo da poter completare la formazione alla professione nei bienni specialistici (ITS) liberati dalla zavorra della cultura disinteressata. Del futuro lavoratore la scuola assume l’impegno di formare la dimensione di produttore, marginalizzando la costruzione degli strumenti culturali per l’effettiva partecipazione come lavoratore all’organizzazione politica, economica e sociale del PaeseNon ha lo stesso significato del liceo di 4 anni; qui non c’è uno sconto sulla “quantità” di istruzione, semmai si scambia un anno di scuola con un incremento dello stress da prestazione; ma anche per questa scelta non ci sono coperture pedagogiche o sociologiche , ma solo politico-ideologiche. Il problema del curricolo, se inteso oltre la dimensione prettamente didattica, prevede un lavoro di ricerca e di pensiero che da anni e soprattutto per questa fascia di età non è attivo. Ricordo testi e autori che hanno determinato la mia formazione ormai tanti anni fa e che, drammaticamente, sono incredibilmente ancora utili per stimolare una nuova fase di ricerca: Ausubel, Bertoni Jovine, Manacorda, Chiarante, Codignola, La Porta, Rodotà, Rossi, Pontecorvo, Massa, De Mauro, Bernardini, Cerroni…

Rimane il problema più complesso perché non riguarda solo la scuola: quale rapporto con il lavoro? Esso prevede un approfondimento di ampio respiro tenendo due punti fermi da condividere, verso cui orientare il pensiero e le azioni: l’idea che il miglior servizio che la scuola può fare al futuro lavoro consista nel fare bene il mestiere di scuola e la necessità di attivare politiche del lavoro orientate al riconoscimento e potenziamento della sua dignità. Una scuola come percorso di umanizzazione culturale che possa consegnare i giovani cittadini a un lavoro in cui sia garantita la dignità, avendo acquisito gli strumenti per viverlo con padronanza. Scuola e lavoro come tempi distinti, con distinte responsabilità ma certo non estranei. Nell’esperienza scolastica sono presenti in modo costitutivo i fondamentali elementi che connotano anche l’esperienza lavorativa: la partecipazione ad azioni collettive, il sapere tecnico trasversale, la costruzione di significati e di senso, l’interpretazione/padronanza della realtà (si veda Cidi Torino, La scuola e il lavoro, Impremix edizioni, 2023).

L’obiettivo delle scelte governative è dunque ridurre di un anno il tempo della scuola per anticipare l’ingresso all’università o per rendere più stretto e vincolante lo sbocco lavorativo. In un mondo così complesso e in continua, radicale trasformazione, nella prospettiva di allungamento della vita e del tempo del lavoro attivo che senso ha porsi nella prospettiva di ridurre il tempo in cui le persone costruiscono la propria umanità attraverso l’esperienza culturale non dosata sul futuro mestiere? Il problema della scuola non è che ruba tempo alla vita ma che non riesce a essere un tempo di vita; allora va cambiata radicalmente non ridotta o sostituita, «chiede di essere ricreata e rigenerata, non semplicemente abolita o rinnovata» (Riccardo Massa, Cambiare la scuola, Laterza, 1997).

Ho caricato il tema in discussione con problematiche apparentemente estranee alla legge 8 agosto 2024 n. 121 e ai documenti allegati, ma non è così: se vogliamo essere in grado di contrastare la politica scolastica di Valditara è necessario tenere i singoli aspetti all’interno della visione in cui assumono senso e non ridurre la nostra azione alla dovuta contrapposizione. Prima che diventi senso comune anche tra i protagonisti della scuola, è necessario, fortemente necessario, e urgente, costruire una prospettiva di cambiamento della scuola in una direzione opposta a quella in atto da diversi anni, consapevoli che per cambiare, citando ancora Riccardo Massa, «occorre per prima cosa un esercizio di pensiero. Solo attraverso il pensiero è possibile generare qualcosa di pratico e di concreto».

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venerdì 4 ottobre 2024

La strage silenziosa degli Orsi in Trentino - Grig

 Uccisi, feriti, catturati, investiti, scomparsi.

E’ il destino di ben 68 esemplari di Orso bruno (Ursus arctos) in Trentino nel nuovo millennio.

Ben tredici esemplari negli ultimi venti mesi, grazie anche al clima persecutorio favorito dall’Amministrazione provinciale guidata dal presidente Maurizio Fugatti, incapace conclamata di gestire con buon senso e efficace attenzione scientifica la presenza di quell’Orso che tanto porta in termini turistici al Trentino.

In questa penosa situazione brilla il pavido ruolo del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica.

Una vergogna.

Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)

 

da Trento Today2 ottobre 2024

Avvelenati, investiti o uccisi: la strage di orsi dal 2000 al 2024 in Trentino.

L’elenco di tutti gli orsi uccisi, investiti, feriti, catturati o semplicemente scomparsi, dal 2020 al 2024.

elenco di tutti gli orsi uccisi, investiti, feriti, catturati o semplicemente scomparsi, sono stati elaborati sulla base di dati di Stefania Panozzo e Alessandro Ghezzer. Tutti i dati sono ricavati dai “Rapporti Orso” annuali e comunicati via stampa dalla Provincia di Trento nel suo ultimo aggiornamento di settembre 2024. Qui di seguito l’elenco:

·         Numero 1. Nel 2000 Masun, 4 anni, maschio, è scomparso in Trentino.

·         Numero 2. Nel 2000 Irma, 5 anni, femmina, è morto per valanga in Trentino.

·         Numero 3. Nel 2001 Vida, 3 anni, femmina, è scomparso in Austria.

·         Numero 4. Nel 2005 JJ2, 2 anni, maschio, è scomparso in Svizzera.

·         Numero 5. Nel 2006 è stato trovato morto un giovane orso morto per cause sconosciute in Val di Tovel, Trentino.

·         Numero 6. Nel 2006 è stato trovato morto un cucciolo di orso per cause sconosciute in Val di Algone, Trentino.

·         Numero 7. Nel 2006 è stato trovato morto JJ1, 2 anni, maschio, scomparso in Germania.

·         Numero 8. Nel 2007 Maja, femmina di 10 anni, è scomparsa in Trentino.

·         Numero 9. Nel 2007 Brenta, femmina di 8 anni, è morta per una valanga in Trentino.

·         Numero 10. Nel 2007 Kirka, femmina di 11 anni, è scomparsa in Trentino.

·         Numero 11. Nel 2008 Joze, maschio di 14 anni, è scomparso in Trentino.

·         Numero 12. Nel 2008 KJ2G1, una femmina di due anni e mezzo, è morto annegato durante un tentativo di cattura in Trentino.

·         Numero 13. Nel 2008 JJ3, un maschio di 2 anni e mezzo è stato abbattuto in Svizzera.

·         Numero 14. Nel 2010 Jurka, femmina di 13 anni, è stata imprigionata in Germania.

·         Numero 15. Nel 2011 DJ1, femmina di 7 anni è stata trovata morta per cause sconosciute in Trentino.

·         Numero 16. Nel 2011 DJ3, femmina di 16 anni, è stata imprigionata al Casteller e poi trasferita in Germania.

·         Numero 17. Nel 2011 M5, maschio di 4 anni, è stato abbattuto in Slovenia.

·         Numero 18. Nel 2012 M12, maschio di 3 anni, è stato ucciso a seguito di un investimento da parte di una macchina in provincia di Bolzano.

·         Numero 19. Nel 2012 M14, maschio di 2 anni, è stato ucciso a seguito di un investimento da parte di una macchina in provincia di Bolzano.

·         Numero 20. Nel 2012 JJ5, è stato ucciso durante un tentativo di cattura da parte del corpo forestale della provincia di Trento.

·         Numero 21. Nel 2012 DJ1G1, maschio di 5 anni e mezzo, è morto per cause sconosciute.

·         Numero 22. Nel 2012 F10, femmina di 2 anni e mezzo, è morta per cause sconosciute  in Trentino.

·         Numero 23. Nel 2013 M2, maschio di 5 anni, è stato ucciso da bracconieri a colpi di fucile in Trentino.

·         Numero 24. Nel 2013 M11, un maschio di 2 anni, è scomparso in Trentino.

·         Numero 25. Nel 2013 M13, maschio di 4 anni, è stato abbattuto in Svizzera.

·         Numero 26. Nel 2014 Daniza, femmina di 19 anni, è stato ucciso durante un tentativo di cattura da parte del corpo forestale della provincia di Trento.

·         Numero 27. Nel 2014 Gasper, maschio di 15 anni, è stato trovato morto in circostanze misteriose in Trentino.

·         Numero 28. Nel 2014 M27, un orsetto maschio di 6 mesi, è stato trovato morto in circostanze misteriose in Trentino.

·         Numero 29. Nel 2015 F22, femmina di un anno, è stata uccisa da un altro orso, in Val di Tovel, Trentino.

·         Numero 30. Nel 2015 M33, maschio di un anno, è stato ucciso da un altro orso, in Val di Tovel, Trentino.

·         Numero 31. Nel 2015 M6, maschio di 8 anni, è stato avvelenato in Val di Non, Trentino.

·         Numero 32. Nel 2015 BJ1, femmina di 10 anni, è stata uccisa con i suoi cuccioli da un altro orso, in Val di Tovel, Trentino.

·         Numero 33. Nel 2015 M25, un maschio è scomparso in provincia di Sondrio.

·         Numero 34. Nel 2015 M3, maschio di 7 anni, è scomparso senza lasciare traccia.

·         Numero 35. Nel 2015 M26, maschio di 3 anni, è morto per cause sconosciute in Trentino.

·         Numero 36. Nel 2016 M32, maschio di 2 anni e mezzo, è stato ucciso a seguito di un investimento da parte di una macchina in Svizzera.

·         Numero 37. Nel 2016 F5, femmina di 7 anni e mezzo,  è stata avvelenata in Val di Non, Trentino.

·         Numero 38. Nel 2016 F5, femmina di 7 anni e mezzo,  è stata avvelenata in Val di Non, Trentino.

·         Numero 39. Nel 2017 KJ2G2, maschio di 11 anni, è stato ucciso a seguito di un investimento da parte di una macchina (da confermare) in Austria.

·         Numero 40. Nel 2017 F39, femmina di 5 anni, è stata per cause sconosciute in Trentino.

·         Numero 41. Nel 2017 KJ2, femmina di 15 anni, è stata abbattuta dalla provincia di Trento.

·         Numero 42. Nel 2019 M56, maschio di 1 anno, è scomparso.

·         Numero 43. Nel 2019 F20, femmina di 7 anni, ha subito l’amputazione della zampa posteriore sotto al ginocchio, in Trentino.

·         Numero 44. Nel 2020 M49, maschio di 4 anni e mezzo, è stato imprigionato al Casteller, in Trentino.

·         Numero 45. Nel 2020 M57, maschio di 2 anni e mezzo, è stato imprigionato al Casteller, in Trentino, prima di essere trasferito in Ungheria.

·         Numero 46. Nel 2021 un orso ignoto è stato vittima di una predazione da parte di un altro orso nella valle dei Laghi, in Trentino.

·         Numero 47. Nel 2021 M50, maschio di 5 anni,  è stato vittima di una predazione da parte di un altro orso sul monte Peller, in Trentino.

·         Numero 48. Nel 2021 M71, maschio giovane, è stato vittima di una predazione da parte di un altro orso in Trentino.

·         Numero 49. Nel 2021 F9, femmina di 11 anni, è stata uccisa a seguito di un investimento da parte di una macchina in Trentino.

·         Numero 50. Nel 2021 un orso ignoto, è stato trovato morto a Casèt a Tione, Trentino.

·         Numero 51. Nel 2022 M83, è stata vittima di una predazione da parte di un altro orso a Poz in Val Novella, in Trentino.

·         Numero 52. Nel 2022 F71, cucciola femmina di 7 mesi, è stata uccisa a seguito di un investimento da parte di una macchina a Vermiglio, Val di Sole, in Trentino.

·         Numero 53. Nel 2022 F43, femmina di 4 anni, è stata uccisa durante un’operazione di cattura a Malga Trat, Val di Concei, in Trentino.

·         Numero 54. Nel 2023 M89, cucciolo di 4 mesi, è stato trovato ferito gravemente in Val d’Algone (Trentino) curato e mai più rilasciato in natura.

·         Numero 55. Nel 2023 un orsetto di sei mesi, è stato trovato morto in Val di Sole, in Trentino.

·         Numero 56. Nel 2023 M62, maschio di 5 anni, è stato vittima di una predazione da parte di un altro orso a Molveno, in Trentino.

·         Numero 57. Nel 2023 JJ4, femmina di 18 anni, è stata catturata sul Monte Peller e imprigionata al Casteller, a Trento.

·         Numero 58. Nel 2023 un orso sconosciuto è stato trovato morto sul monte Peller.

·         Numero 59. Nel 2023 F56, femmina di 3 anni, è stato vittima di una predazione da parte di un altro orso a Cavedago, in Trentino.

·         Numero 60. Nel 2023 F36, femmina di 6 anni, è stato ucciso per bracconaggio in Val Bondone, in Trentino.

·         Numero 61. Nel 2023 MJ5, maschio di 18 anni, è stato ucciso per bracconaggio in Val del Bresimo, in Trentino.

·         Numero 62. Nel 2024 F12, femmina di 13 anni, è stata trovata morta insieme a un cucciolo nella Valle dei Laghi, a Covelo, in Trentino.

·         Numero 63. Nel 2024 un cucciolo di orso è stato trovato morto nella Valle dei Laghi, a Covelo, in Trentino.

·         Numero 64. Nel 2024 un orso è stato trovato morto per cause sconosciute a Borgo d’Anaunia, in Trentino.

·         Numero 65. Nel 2024 M90 un maschio di 2 anni e mezzo è stato abbattuto della Provincia di Trento in Val di Sole.

·         Numero 66. Nel 2024 un cucciolo di orso è stato trovato morto per cause sconosciute a Garniga.

·         Numero 67. Nel 2024 KJ1, femmina di 20 anni, è stato abbattuto della Provincia di Trento a Padaro, Valle dei Laghi, in Trentino.

·         Numero 68. Nel 2024 un cucciolo di orso di 6 mesi è stato ucciso dopo essere stato investito da un’auto ad Andalo, in Trentino.

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