La popolazione mondiale si può nutrire
senza più avvelenarsi. Con l'alleanza fra saperi contadini e consumatori «La
mancanza di stima nei confronti di chi lavora la terra è diffusa ovunque, è una
forma di disprezzo organizzato»
Per l'impegno, il coraggio, e l'ostinazione a considerare il giornalismo
al servizio del bene comune, e per i suoi esiti in questo campo, Marie-Monique
Robin è una figura più unica che rara nel paesaggio audiovisivo francese.
Seguendo le orme di Albert Londres, il padre del giornalismo investigativo (che
affermava: «il nostro mestiere non è di far piacere o di far torto, ma di
mettere la penna nella piaga»), molte sono le piaghe della società
contemporanea, dalle violazioni dei diritti umani ai soprusi ambientali su cui
Robin ha puntato le telecamere in più di vent'anni di lavoro pluripremiato e di
grande impatto nel mondo intero (memorabili Voleurs d'organes, 1993, sul
traffico illegale di organi che, tra gli altri, a portato alla creazione di una
commission inchiesta internazionale, e Escadrons de la mort, l'école française,
2003, che rivela l'influenza della scuola antisovversiva francese sui metodi della
dittatura che insanguinò l'Argentina dal '76 all'83, e ha contribuito, fra le
altre, alla condanna dell'ultimo capo della giunta militare). Tra i suoi 42
documentari (e otto libri complementari di altrettante inchieste), una decina
riguardano i disastri generati dal modello agroindustriale dominante.La sua inchiesta più celebre, Il mondo secondo Monsanto del 2008 (il libro è tradotto in sedici lingue, per l'Italia Arianna Editrice, mentre le traduzioni «militanti» del film non si contano più), ha contribuito in maniera decisiva alla presa di coscienza planetaria del modus operandi del leader mondiale di sementi transgeniche e erbicidi, e al consolidamento dell'opposizione agli Ogm in Europa. Notre poison quotidien (Il veleno nel piatto, Feltrinelli), del 2010, fa luce sulle inconsistenze della regolamentazione dei prodotti chimici che contaminano il nostro cibo quotidiano e sui danni ingenti dell'agricoltura chimica, che ha snaturato le nostre campagne all'indomani della seconda guerra mondiale, con «effetti collaterali» sulla salute degli agricoltori e dei consumatori, e sull'ambiente, che emergono in tutta la loro drammatica gravità proprio in quest'ultimo ventennio.
Un modello agroindustriale dai costi proibitivi, che tutti i paesi «sviluppati» o «in via di sviluppo» hanno adottato con la giustificazione che non ci sono alternative. Ed è proprio su questa mancanza di scelta, che indaga Marie-Monique Robin con il suo nuovo film Les moissons du futur (I raccolti del futuro), trasmesso da Arte (che coproduce) nell'ottobre scorso, e accompagnato, come tutte le sue inchieste più impegnative, da un libro (La découverte/Arte editions) che ne documenta e racconta dettagli e retroscena. Tenendo sullo sfondo i «fallimenti» delle promesse dell'agricoltura industriale e le crisi generate dal nuovo ordine alimentare mondiale, dal Messico al Giappone, passando per Stati Uniti, Francia, Germania, Malawi, Kenya, Senegal, mette a fuoco le esperienze esemplari di un'agricoltura su scala umana, rispettosa dell'ambiente e delle risorse naturali, e fondata su un'inedita alleanza tra saperi contadini e ricerca agronomica: l'agroecologia. Abbiamo incontrato Marie-Monique Robin, in un raro momento di pausa tra un viaggio e l'altro per accompagnare il suo film, proiettato attualmente in tutta la Francia con enorme successo.
Perché quest'inchiesta ?
Volevo rispondere alla domanda ricorrente nei dibattiti sui miei film precedenti sull'esistenza di alternative efficaci al modello agricolo dominante e nello stesso tempo verificare la fondatezza dell'affermazione di molti miei detrattori, sull'impossibilità di nutrire la popolazione mondiale senza pesticidi.
Si tratta della più grande menzogna dell'agroindustria, che sembra non accorgersi della contraddizione col fatto che, oggi, malgrado l'uso dei pesticidi, il mondo non si nutre a sufficienza. Sono, del resto, convinta che se non si è ancora sconfitta la fame nel mondo, è proprio a causa del modello agronomico ed economico incarnato dai pesticidi. Dopo un incontro con Olivier de Shutter, il relatore speciale dell'Onu per il diritto al cibo, che nel suo rapporto propone di abbandonare questo modello per adottare l'agroecologia, ho voluto verificare sul terreno le sue diverse applicazioni. Quello che ho visto in quattro continenti ha superato ogni mia aspettativa. L'alternativa al modello dominante c'è e funziona benissimo, i suoi rendimenti sono ottimi e i contadini che lo applicano sono molto soddisfatti!...
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