Saremo stati qualche decina nella
simbolica occupazione del Borghetto San Carlo, ventidue ettari di terreno
agricolo di proprietà comunale sulla via Cassia fra La Storta e la Giustiniana
a Roma, abbandonato dall’istituzione e rivendicato all’uso pubblico da un
gruppo di cooperative di giovani agricoltori. Ma eravamo virtualmente almeno
diecimila, tante quante le firme che le coop Terra!, da Sud e Coraggio
(Cooperativa romana Giovani Agricoltori) hanno consegnato al sindaco Marino e
agli assessori all’urbanistica e al patrimonio del Comune di Roma.
Gli interventi che si sono
susseguiti nel piccolo spazio di terreno liberato oltre il filo spinato e
dietro il cancello ostinatamente chiuso e arrugginito, hanno sottolineato la
disponibilità espressa dai nuovi rappresentanti delle istituzioni (municipi, comune
e regione sono adesso su una stessa lunghezza d’onda, il clima può cambiare),
il collegamento con altre esperienze vicine (per restare a Roma Nord, quella di
Volusia o quella ormai radicata di Cobragor), e soprattutto l’idea che
riprendere in mano il grande patrimonio delle terre liberi comunale non è solo
un’occasione produttiva, occupazionale e di servizi, ma configura anche una
diversa prospettiva sulla città. Roma, il terzo comune agricolo d’Europa,
l’agricoltura ce l’ha dentro e – come tante metropoli in crisi in tutto
l’occidente – può farne un elemento di ripresa non solo economica ma anche,
forse soprattutto, culturale e ambientale. Se per generazioni i contadini sono
stati i custodi della terra e i creatori e portatori di preziosi saperi (troppo
spesso disprezzati: c’è anche il disprezzo di classe verso i contadini e la
loro fatica fra le ragioni dell’abbandono dell’agricoltura), gli agricoltori di
oggi si sentono pienamente integrati in una cultura urbana in trasformazione…
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