e
domenica 30 dicembre 2012
sabato 22 dicembre 2012
dice Hans Herren
dovremmo avere per i contadini
la stessa stima che abbiamo per i medici, e fare in modo che il lavoro agricolo
sia ben pagato e ricompensato al suo giusto valore
da qui
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Hans Herren
Lontano dai pesticidi una vita è possibile
La popolazione mondiale si può nutrire
senza più avvelenarsi. Con l'alleanza fra saperi contadini e consumatori «La
mancanza di stima nei confronti di chi lavora la terra è diffusa ovunque, è una
forma di disprezzo organizzato»
Per l'impegno, il coraggio, e l'ostinazione a considerare il giornalismo
al servizio del bene comune, e per i suoi esiti in questo campo, Marie-Monique
Robin è una figura più unica che rara nel paesaggio audiovisivo francese.
Seguendo le orme di Albert Londres, il padre del giornalismo investigativo (che
affermava: «il nostro mestiere non è di far piacere o di far torto, ma di
mettere la penna nella piaga»), molte sono le piaghe della società
contemporanea, dalle violazioni dei diritti umani ai soprusi ambientali su cui
Robin ha puntato le telecamere in più di vent'anni di lavoro pluripremiato e di
grande impatto nel mondo intero (memorabili Voleurs d'organes, 1993, sul
traffico illegale di organi che, tra gli altri, a portato alla creazione di una
commission inchiesta internazionale, e Escadrons de la mort, l'école française,
2003, che rivela l'influenza della scuola antisovversiva francese sui metodi della
dittatura che insanguinò l'Argentina dal '76 all'83, e ha contribuito, fra le
altre, alla condanna dell'ultimo capo della giunta militare). Tra i suoi 42
documentari (e otto libri complementari di altrettante inchieste), una decina
riguardano i disastri generati dal modello agroindustriale dominante.La sua inchiesta più celebre, Il mondo secondo Monsanto del 2008 (il libro è tradotto in sedici lingue, per l'Italia Arianna Editrice, mentre le traduzioni «militanti» del film non si contano più), ha contribuito in maniera decisiva alla presa di coscienza planetaria del modus operandi del leader mondiale di sementi transgeniche e erbicidi, e al consolidamento dell'opposizione agli Ogm in Europa. Notre poison quotidien (Il veleno nel piatto, Feltrinelli), del 2010, fa luce sulle inconsistenze della regolamentazione dei prodotti chimici che contaminano il nostro cibo quotidiano e sui danni ingenti dell'agricoltura chimica, che ha snaturato le nostre campagne all'indomani della seconda guerra mondiale, con «effetti collaterali» sulla salute degli agricoltori e dei consumatori, e sull'ambiente, che emergono in tutta la loro drammatica gravità proprio in quest'ultimo ventennio.
Un modello agroindustriale dai costi proibitivi, che tutti i paesi «sviluppati» o «in via di sviluppo» hanno adottato con la giustificazione che non ci sono alternative. Ed è proprio su questa mancanza di scelta, che indaga Marie-Monique Robin con il suo nuovo film Les moissons du futur (I raccolti del futuro), trasmesso da Arte (che coproduce) nell'ottobre scorso, e accompagnato, come tutte le sue inchieste più impegnative, da un libro (La découverte/Arte editions) che ne documenta e racconta dettagli e retroscena. Tenendo sullo sfondo i «fallimenti» delle promesse dell'agricoltura industriale e le crisi generate dal nuovo ordine alimentare mondiale, dal Messico al Giappone, passando per Stati Uniti, Francia, Germania, Malawi, Kenya, Senegal, mette a fuoco le esperienze esemplari di un'agricoltura su scala umana, rispettosa dell'ambiente e delle risorse naturali, e fondata su un'inedita alleanza tra saperi contadini e ricerca agronomica: l'agroecologia. Abbiamo incontrato Marie-Monique Robin, in un raro momento di pausa tra un viaggio e l'altro per accompagnare il suo film, proiettato attualmente in tutta la Francia con enorme successo.
Perché quest'inchiesta ?
Volevo rispondere alla domanda ricorrente nei dibattiti sui miei film precedenti sull'esistenza di alternative efficaci al modello agricolo dominante e nello stesso tempo verificare la fondatezza dell'affermazione di molti miei detrattori, sull'impossibilità di nutrire la popolazione mondiale senza pesticidi.
Si tratta della più grande menzogna dell'agroindustria, che sembra non accorgersi della contraddizione col fatto che, oggi, malgrado l'uso dei pesticidi, il mondo non si nutre a sufficienza. Sono, del resto, convinta che se non si è ancora sconfitta la fame nel mondo, è proprio a causa del modello agronomico ed economico incarnato dai pesticidi. Dopo un incontro con Olivier de Shutter, il relatore speciale dell'Onu per il diritto al cibo, che nel suo rapporto propone di abbandonare questo modello per adottare l'agroecologia, ho voluto verificare sul terreno le sue diverse applicazioni. Quello che ho visto in quattro continenti ha superato ogni mia aspettativa. L'alternativa al modello dominante c'è e funziona benissimo, i suoi rendimenti sono ottimi e i contadini che lo applicano sono molto soddisfatti!...
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venerdì 21 dicembre 2012
Equicosmo l'agenzia della fine del mondo - Stefano Benni
Pubblichiamo la seguente
lettera recapitata ieri a duecento capi di Stato del mondo.
Gentili
indigeni dirigenti del pianeta T34678, (nel vostro linguaggio “Terra”). Il
mio nome è Ehy23gbsz44porzkbonalè e sono il direttore generale di Equicosmo,
l’agenzia di riscossione tributi della galassia. Mi duole comunicarvi che
domani scade il termine della cartella esattoriale inviatavi trent’anni fa. In
questo documento si comunicava che siete stati multati per gravi danni
all’equilibrio del sistema solare, evasione alla tassa sui rifiuti spaziali,
occupazione abusiva di orbita e modifica climatica non autorizzata. La multa,
con i diritti di mora, ammonta a:
• 34000 groz (un groz corrisponde al
pil della Cina) per inquinamento e surriscaldamento atmosferico e oceanico;
•
25000 groz per scioglimento ghiacciai;
•
20000 groz per esaurimento riserve idriche, risorse petrolifere e
deforestazione selvaggia;
•
34236 groz per mancanza di politica alimentare e aumento della popolazione non
sfamabile;
•
11210 groz per estinzione di centomila specie ammali e vegetali;
•
342 groz per IMUPP (tassa sul primo pianeta);
•
131 groz per danni causati dai vostri satelliti a quelli che voi chiamate Ufo e
sono invece i nostri autobus;
•
27 groz per schiamazzi galattici, cioè superamento della soglia di rumori
sgradevoli come esplosioni nucleari, MTV e musica negli ascensori;
•
16 groz per spese di cancelleria (i nostri francobolli sono grandi come la vostra
Svizzera);
•
3 groz per shopping non pagato di certa signora Minetti che ha acquistato su
AlphaCentauri cosmetici, abiti e una pelliccia di skuznzelk per conto della
regione Lombardia.
Come
forse sapete, visto i tanti film che avete dedicato alla Fine del Mondo, Equicosmo
prevede in caso di inadempienza, la distruzione del pianeta debitore mediante
lancio di asteroide gigante. Per voi è stato scelto Calcolino, un calcolo
renale di un milione di tonnellate. Ma poiché noi siamo severi ma giusti,
potete ancora rimediare…
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domenica 16 dicembre 2012
martedì 11 dicembre 2012
il calendario della frutta (di stagione)
Acquistare e consumare frutta e verdura di stagione significa
alimentarsi in modo corretto e soprattutto sano e naturale.
Oggi, grazie a moderne tecniche di coltivazione ed alla ricerca, le primizie ed altri frutti fuori stagione si trovano nelle rivendite praticamente tutto l'anno.
Consumare invece frutta e verdura nel momento in cui sono maturi naturalmente, risulta più sano ed anche economico in quanto consente anche di risparmiare sulla spesa quotidiana…
Oggi, grazie a moderne tecniche di coltivazione ed alla ricerca, le primizie ed altri frutti fuori stagione si trovano nelle rivendite praticamente tutto l'anno.
Consumare invece frutta e verdura nel momento in cui sono maturi naturalmente, risulta più sano ed anche economico in quanto consente anche di risparmiare sulla spesa quotidiana…
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il calendario della verdura (di stagione)
Acquistare e consumare verdura e frutta di stagione significa
alimentarsi in modo corretto e soprattutto sano e naturale. Oggi, grazie
a moderne tecniche di coltivazione ed alla ricerca, le primizie ed altri frutti fuori stagione si
trovano nelle rivendite praticamente tutto l'anno.
Consumare invece frutta e verdura nel momento in cui sono maturi naturalmente, risulta più sano ed anche economico in quanto consente anche di risparmiare sulla spesa quotidiana…
Consumare invece frutta e verdura nel momento in cui sono maturi naturalmente, risulta più sano ed anche economico in quanto consente anche di risparmiare sulla spesa quotidiana…
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venerdì 7 dicembre 2012
i commerci di Harlan
Era la fine di gennaio
quando la scoperta dell'arrivo nel nostro Paese di 900 scimmie provenienti da
Cina e Mauritius, divise in lotti da 156 esemplari e avviate alla vivisezione,
scatenava sdegno e opposizioni. Ne era destinataria Harlan, multinazionale dell'allevamento
e della compravendita di animali per i laboratori, nei cui confronti
l'associazione Freccia 45 ha lanciato una raccolta
firme che in pochi giorni ha registrato l'adesione di
quasi dodicimila persone.
L'obiettivo è chiedere formalmente al Ministero della Salute, Dipartimento della Sanità Pubblica, di non rinnovare a Harlan l'annuale autorizzazione a importare specie da destinare ai test. Ma la protesta non è solo italiana; in tutta Europa infatti si manifesta contro questa mega azienda statunitense, fondata a Indianapolis nel 1931 da Howard P. Harlan e portata avanti da suo figlio, per poi trasformarsi in un gruppo ramificato nei quattro continenti che fornisce agli stabulari della sperimentazione cani, conigli, ratti, topi, criceti, gerbilli, macachi, allevati o acquistati in Stati dove certe specie si prelevano anche in natura. Per contestarne le attività, solo nel 2012 a Udine e Correzzana (in Italia Harlan ha tre sedi fra Lombardia e Friuli: a Correzzana, Bresso e San Pietro al Natisone) si sono svolte tre affollate manifestazioni, altre due hanno avuto eccezionalmente luogo nella rigida Svizzera, mentre i prossimi dissensi popolari sono previsti a Gannat, Francia, il 19 gennaio 2013, e a Brighton, Gran Bretagna, il 9 marzo…
L'obiettivo è chiedere formalmente al Ministero della Salute, Dipartimento della Sanità Pubblica, di non rinnovare a Harlan l'annuale autorizzazione a importare specie da destinare ai test. Ma la protesta non è solo italiana; in tutta Europa infatti si manifesta contro questa mega azienda statunitense, fondata a Indianapolis nel 1931 da Howard P. Harlan e portata avanti da suo figlio, per poi trasformarsi in un gruppo ramificato nei quattro continenti che fornisce agli stabulari della sperimentazione cani, conigli, ratti, topi, criceti, gerbilli, macachi, allevati o acquistati in Stati dove certe specie si prelevano anche in natura. Per contestarne le attività, solo nel 2012 a Udine e Correzzana (in Italia Harlan ha tre sedi fra Lombardia e Friuli: a Correzzana, Bresso e San Pietro al Natisone) si sono svolte tre affollate manifestazioni, altre due hanno avuto eccezionalmente luogo nella rigida Svizzera, mentre i prossimi dissensi popolari sono previsti a Gannat, Francia, il 19 gennaio 2013, e a Brighton, Gran Bretagna, il 9 marzo…
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giovedì 6 dicembre 2012
martedì 4 dicembre 2012
le merendine dei bambini obesi
La
pubblicità del
cibo spazzatura è da tempo nel mirino di chi cerca di individuare le cause
primarie dell’aumento di obesità tra bambini e ragazzi. Un nuovo, recente
studio sostiene chi ritiene gli spot la causa maggiore dei danni e ne chiede,
se non proprio il divieto, almeno una severa limitazione.
I ricercatori dell’Università
del Missouri e del Medical Center dell'Università del Kansas (USA) hanno
dimostrato che la pubblicità fa più danni a chi ne avrebbe meno bisogno: i
ragazzi obesi.
Per realizzare lo studio sono
stati reclutati dieci ragazzi obesi e dieci normopeso, di età compresa tra i 10
e i 14 anni, ai quali hanno fatto vedere 60 loghi di junk food e 60 loghi di
prodotti non alimentari, registrando contemporaneamente la loro attività
cerebrale tramite risonanza magnetica funzionale.
Si è così visto che nei
ragazzi obesi si attivano maggiormente le aree della ricompensa, implicate nei
fenomeni di dipendenza alimentare e non, mentre nei soggetti normopeso si
accendono le aree cerebrali collegate all'autocontrollo.
Le
diverse attivazioni sembrano
dimostrare che i giovani obesi siano molto più vulnerabili al martellamento
delle pubblicità alimentari, e che reagiscano aumentando il consumo di cibi
ricchi di zuccheri e grassi.
Amanda Bruce, la coordinatrice del lavoro studio pubblicato sul Journal of Pediatrics,
ha sottolineato che per aiutare questi ragazzi a perdere peso bisognerebbe
rinforzare il loro autocontrollo, anche con terapie cognitivo-comportamentali.
Lo studio segue
quello realizzato nel 2011 dalla ricercatrice inglese Emma Boyland, in forza
presso l'Università di Liverpool, che ha analizzato le reazioni dei bambini dai
6 ai 13 anni alla visione di spot televisivi sui cibi, trasmessi all'interno di
un cartone animato…
domenica 2 dicembre 2012
sabato 1 dicembre 2012
Guida al Vegetarismo per genitori e ragazzi - a cura di Luciana Baroni
Probabilmente mi stai
leggendo perché tuo figlio o tua figlia ti ha
recentemente comunicato che vuole diventare
vegetariano. E tu? Sei d’accordo? Hai già compiuto la scelta
vegetariana? Sicuramente ti stai interrogando su come
ti devi comportare per non sbagliare.
Ma allora adesso cosa mangia? Sarà solo una fase di transitorio tumulto adolescenziale?
E se poi si ammala?
Tutti questi dubbi, e
molti altri, sono assolutamente legittimi in un
genitore responsabile.
Ebbene, tuo figlio ha
preso una decisione importante, così importante che
può cambiare la sua vita, la tua, quella di molte
altre persone e persino le sorti del pianeta. Anche se
in questo momento ti può apparire solo come
una preoccupazione in più, ti renderai presto conto
di quanto questa scelta sia valida. Si tratta di
una nuova concezione della vita, che, se riuscirà a
mantenere, avrà come conseguenze per la sua salute:
problemi cardiaci di oltre il 30%. Si pensa che ciò sia dovuto alla riduzione dei valori di colesterolo nel sangue e dei valori di pressione arteriosa.
La riduzione del rischio di contrarre certi tipi di tumore di circa il 40%. L’assunzione della carne è fattore di rischio dietetico per i tumori di colon, prostata e pancreas.
La riduzione dei valori di pressione arteriosa: i vegetariani hanno una incidenza sensibilmente più bassa di ipertensione.
La riduzione del rischio di diventare obeso, o semplicemente in sovrappeso, in un Paese dove oltre il 30% della popolazione ha problemi di eccesso ponderale.
I vegetariani assumono molti meno grassi e molte più fibre, per questo riescono a mangiare a sazietà senza rischiare di introdurre più calorie del necessario.
I vegetariani,
inoltre, si ammalano di meno di calcoli, appendicite e
intossicazioni alimentari.
Appare chiaro come l’evidenza
scientifica sia tutta a favore della scelta
vegetariana, e chi è ben informato e si fida del proprio
buon senso ha davanti a sé una possibilità
eccezionale di guadagnare in salute!...
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lunedì 26 novembre 2012
data di scadenza
…Il
latte fresco di alta
qualità per legge scade 7 giorni dopo il confezionamento. Se però viene
conservato bene nel frigorifero domestico, si può tranquillamente bere anche
uno-due giorni dopo senza problemi. Il latte crudo invece va fatto bollire
sempre prima del consumo, soprattutto se destinato ai bambini.
Lo yogurt scaduto
da 7-10 giorni si può ancora consumare se non ci sono rigonfiamenti o muffe
(l'inconveniente è che, dopo i 30 giorni di durata stabiliti dal produttore, i
fermenti rimasti vivi sono davvero pochi e in alcuni casi il gusto può essere
più acidulo).
Per le uova bisogna
stare attenti. La legge fissa la scadenza entro 28 giorni dalla deposizione, ma
i microbiologi consigliano di consumarle 8-10 giorni prima, per evitare
qualsiasi problema. Dopo questa data, le membrane interne cominciano ad
alterarsi e la Salmonella è in agguato.
Se vengono consumate crude o
come ingredienti della maionese o della crema è meglio usare le uova
"extra fresche", classificate così fino a 7 giorni dopo la
deposizione (sono facilmente riconoscibili perché riportano la praola
"Extra" in evidenza sulla confezione)…
…i succhi di frutta hanno
un intervallo variabile da 6 a 12 mesi, da molti considerata troppo generosa.
Conviene consumarli prima visto che dopo 6 mesi le bevande perdono sapore. La
stessa cosa vale per l’olio extravergine di oliva e il caffè macinato, di
solito l’intervallo è di 12-24 mesi, ma dopo un anno il cibo perde parte
dell’aroma, che per questi alimenti ha un'importanza rilevante.
I pomodori pelati e la salsa di pomodoro, il tonno sott'olio,
cetrioli, cipolle e conserve vegetali sottaceto, e altri cibi in scatola, sono
alimenti sterilizzati e possono tranquillamente essere consumati 3-4 mesi dopo
la data sulla confezione.
Conserve sottaceto (2-3 anni) non ci sono problemi anche se
vengono portate a tavola 1-2 mesi dopo.
Conserve pomodoro ( 12-20 mesi) non ci sono problemi anche se
vengono portate a tavola 1-2 mesi dopo.
Per i vegetali sott’olio come carciofini, funghi... (18-24 mesi)
conviene rispettare l’indicazione perché le spore anaerobiche potrebbero essere
ancora attive. Bisogna invece stare molto attenti quando si consumano conserve
vegetali "preparate in casa" per la questione del botulino che
rappresenta sempre un serio problema…
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venerdì 23 novembre 2012
mercoledì 21 novembre 2012
Vertice sull'ultimo dei problemi – Marinella Correggia
Lunedì le Nazioni unite
hanno celebrato la «Giornata mondiale del gabinetto», World Toilet Day. Può
sembrare strano, ai cittadini del Nord globale del mondo (il Nord geografico e
quello sociale): per loro è l'ultimo dei problemi, o meglio: non è affatto un
problema, salvo estemporanei guai d'ordine idraulico (o la sporcizia delle
ritirate sui treni). Ma per 2,7 miliardi di persone nelle aree impoverite, è il
problema in un certo senso «finale»: quello iniziale essendo la disponibilità
di cibo e acqua per i bisogni essenziali.
Molti non sanno che l'accesso a servizi igienici appropriati è stato dichiarato un diritto umano di base dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 28 luglio 2010. Ma oltre un terzo della popolazione mondiale non gode di questo accesso. E un miliardo e mezzo è ancora costretto a defecare all'aperto. Eppure l'accesso a una decente sanitation non solo gioca un ruolo importante nella lotta contro la mortalità infantile da infezioni (ogni anno 1,5 milioni di piccoli al di sotto dei cinque anni muoiono tuttora di diarrea, che è la seconda causa di morte per quella fascia di età) ed è inoltre un fatto di dignità, riduzione del disagio di vivere. Perfino di parità di genere. Secondo uno studio dell'Onu Plan India, oltre il 20 per cento delle bambine si ritira da scuola non appena raggiunta la pubertà proprio per il disagio di non avere a disposizione toilette adatte.
Così la giornata mondiale delle toilette è stata un'occasione per affrontare un tema poco glamour anche in modo creativo in giro per il mondo…
Molti non sanno che l'accesso a servizi igienici appropriati è stato dichiarato un diritto umano di base dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 28 luglio 2010. Ma oltre un terzo della popolazione mondiale non gode di questo accesso. E un miliardo e mezzo è ancora costretto a defecare all'aperto. Eppure l'accesso a una decente sanitation non solo gioca un ruolo importante nella lotta contro la mortalità infantile da infezioni (ogni anno 1,5 milioni di piccoli al di sotto dei cinque anni muoiono tuttora di diarrea, che è la seconda causa di morte per quella fascia di età) ed è inoltre un fatto di dignità, riduzione del disagio di vivere. Perfino di parità di genere. Secondo uno studio dell'Onu Plan India, oltre il 20 per cento delle bambine si ritira da scuola non appena raggiunta la pubertà proprio per il disagio di non avere a disposizione toilette adatte.
Così la giornata mondiale delle toilette è stata un'occasione per affrontare un tema poco glamour anche in modo creativo in giro per il mondo…
lunedì 19 novembre 2012
Basta il giusto – Andrea Segre
raccomandato per tutti, sopratutto per chi pensa che tanto non si capisce niente, tanto non si può fare niente.
in ogni caso un agile ripasso, per chi ne sa già - francesco
…E' tempo di dire basta e di incamminarsi verso un nuovo civismo, ecologico, etico, economico: questo libro spiega come e perché.
in ogni caso un agile ripasso, per chi ne sa già - francesco
…E' tempo di dire basta e di incamminarsi verso un nuovo civismo, ecologico, etico, economico: questo libro spiega come e perché.
La visione di una società della sufficienza è il
fulcro di questa “lettera” a uno studente che Andrea Segrè indirizza in realtà
a tutti noi.
La logica della crescita e del debito ci ha portato a una crisi economica e ambientale profonda e a disuguaglianze sociali non più tollerabili. Basta il giusto è un vero e proprio manifesto per costruire un nuovo mondo fondato sulla coscienza dei limiti naturali e umani, governato da una rivoluzionaria “ecologia economica” e vissuto -finalmente- da un homo civicus che pratica uno stile di vita sostenibile e responsabile. Un appello alle generazioni future: per passare da un falso ben-essere a un autentico ben-vivere e a un mondo più giusto, per tutti…
La logica della crescita e del debito ci ha portato a una crisi economica e ambientale profonda e a disuguaglianze sociali non più tollerabili. Basta il giusto è un vero e proprio manifesto per costruire un nuovo mondo fondato sulla coscienza dei limiti naturali e umani, governato da una rivoluzionaria “ecologia economica” e vissuto -finalmente- da un homo civicus che pratica uno stile di vita sostenibile e responsabile. Un appello alle generazioni future: per passare da un falso ben-essere a un autentico ben-vivere e a un mondo più giusto, per tutti…
… Andrea Segrè, economista triestino
e preside della facoltà di Agraria all'Università di Bologna, immagina come
sarà l'apocalisse del mondo occidentale, schiavo della triade
crescita-consumo-debito. Lo fa nel suo Basta il giusto (quanto e
quando) (Altreconomia), un libretto sottile
costruito come una lettera a uno studente universitario diciottenne. Quando un
giorno la Terra sarà troppo piccola per tutti, sarà pure troppo tardi. Perciò
bisogna agire adesso, e una strada per Segrè esiste già. Sarà l'ossimoro a
salvare il mondo, a garantire ancora un futuro. La strada delle contraddizioni
apparenti condurrà "lentamente, ma per davvero" a meno benessere e
più ben vivere. A una società con un modello economico in grado di ridurre le
diseguaglianze riducendo il possesso, votandosi alla cultura della sufficienza…
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venerdì 16 novembre 2012
lunedì 12 novembre 2012
sabato 10 novembre 2012
il giuramento di Ippocrate
Ci sono medici, in Spagna, che ogni giorno proteggono i più deboli. Ci sono medici che aggirano le regole per aiutare i propri pazienti. Perché in gioco c’è la sopravvivenza. E se c’è chi non può accedere alle cure a causa di tasse eccessive, ecco che loro riescono comunque a garantirgli il diritto alla Salute. O almeno ci provano. In che modo? Grazie a una rete formata da medici di base, specialisti e personale ospedaliero che in base al problema agiscono dietro le quinte. Senza tener conto delle regole. Potrebbero essere definiti novelli “Robin Hood”, ma forse sono solamente dottori che non «accettano che si abbandonino le persone bisognose di cure».
LA SITUAZIONE- Lo scenario è quello della crisi spagnola. I tagli non hanno risparmiato alcun settore. Dall’istruzione alla cultura. Ad aprile un real decreto (una sorta di decreto-legge) ha cambiato le norme per quel che riguarda la Sanità. «È evidente che si vuole andare verso una privatizzazione totale del settore. Dividendo la popolazione in due categorie: chi si può permettere di pagare e chi no», spiega Maria Bajo, medico di base nella capitale spagnola. Il risultato della nuova legge è stato che «sono state introdotte nuove imposte sui servizi». Per esempio? «Le ambulanze sono diventate a pagamento. Le protesi, interne ed esterne, sono a carico del paziente. Gli anziani devono pagare le medicine in base al reddito. E a Madrid è stata introdotta una nuova tassa: si dovrà pagare un euro a ricetta». La paura è che «presto proveranno a far pagare anche l’aborto». Il sistema prevede che sotto i 25 anni la sanità è inclusa nelle tasse dei genitori. Poi bisogna pagare. Ma la situazione più preoccupante è quella che riguarda i migranti senza permesso. «Se vogliono avere accesso al sistema, anche per il primo soccorso, devono versare oltre 700 euro se minori di 25 anni, dopodiché mille euro». In altre parole: esclusi...
venerdì 9 novembre 2012
martedì 6 novembre 2012
lunedì 5 novembre 2012
Il dilemma dell'onnivoro - Michael Pollan
La prima metà è eccezionale e il libro merita solo per questo.
poi piano piano diventa, per i miei gusti, meno interessante, ma vale certamente la pena leggerlo.
si scopriranno molte cose interessanti, davvero utili e importanti - francesco
poi piano piano diventa, per i miei gusti, meno interessante, ma vale certamente la pena leggerlo.
si scopriranno molte cose interessanti, davvero utili e importanti - francesco
Che cosa mangiamo, e perché? Sono domande che
ci poniamo ogni giorno, convinti che per rispondere basti sfogliare la rubrica
di un giornale, o ascoltare per qualche minuto l'ultimo imbonitore
nutrizionista ospitato in tv. Ma se quelle domande le si guarda un po' più da
vicino, come fa Michael Pollan in questo suo documentato saggio, forse il primo
sull'argomento a non prendere alcun partito, se non quello dell'ironia e del
buon senso, le risposte appaiono meno scontate. Che legga insieme a noi le
strepitose biografie del defunto pollo "biologico" riportate sulla
confezione di petti del medesimo, o attraversi le lande grigie e fangose del
Midwest, dove milioni di bovini nutriti a mais e antibiotici vivono la loro
breve esistenza fra immensi stagni di liquame, Pollan arriva immancabilmente a
conclusioni di volta in volta raccapriccianti o paradossali.
Se ci sono voluti quasi sei mesi per recensire questo libro di Michael Pollan, non lo si deve soltanto alla nostra inveterata pigrizia. Il fatto è che risulta davvero difficile decidere da che parte iniziare a descrivere, o anche soltanto a classificare, un’opera tanto ricca di spunti di riflessione, dibattito e analisi che toccano in profondità l’oggetto del nostro lavoro e della nostra passione: il cibo.
“Il dilemma dell’onnivoro” è, prima di tutto, una lucida e obiettiva inchiesta sui processi produttivi del cibo nella nostra epoca, ma è anche un saggio critico che non si astiene da giudizi, proposte, speranze e utopie per il futuro della nostra alimentazione; è una leggera ma acuta riflessione filosofica sullo strettissimo rapporto (materiale e immateriale) che ci lega alle sostanze di cui ci nutriamo; è, per finire, una concreta esposizione, non viziata dai consueti toni apocalittici e da prese di posizione aprioristiche, delle ragioni per le quali il modello di sviluppo praticato nel mondo occidentale non è, alla lettera, “sostenibile” dalla nostra civiltà. Sotto quest’ultimo aspetto, il libro si sarebbe potuto intitolare senza scandalo “L’uomo è una locusta”, vista la pertinenza con cui affronta la tematica dell’insensato dispendio (e spreco) di risorse che caratterizza l’agricoltura e l’allevamento, ma non solo, nell’epoca contemporanea...
Se ci sono voluti quasi sei mesi per recensire questo libro di Michael Pollan, non lo si deve soltanto alla nostra inveterata pigrizia. Il fatto è che risulta davvero difficile decidere da che parte iniziare a descrivere, o anche soltanto a classificare, un’opera tanto ricca di spunti di riflessione, dibattito e analisi che toccano in profondità l’oggetto del nostro lavoro e della nostra passione: il cibo.
“Il dilemma dell’onnivoro” è, prima di tutto, una lucida e obiettiva inchiesta sui processi produttivi del cibo nella nostra epoca, ma è anche un saggio critico che non si astiene da giudizi, proposte, speranze e utopie per il futuro della nostra alimentazione; è una leggera ma acuta riflessione filosofica sullo strettissimo rapporto (materiale e immateriale) che ci lega alle sostanze di cui ci nutriamo; è, per finire, una concreta esposizione, non viziata dai consueti toni apocalittici e da prese di posizione aprioristiche, delle ragioni per le quali il modello di sviluppo praticato nel mondo occidentale non è, alla lettera, “sostenibile” dalla nostra civiltà. Sotto quest’ultimo aspetto, il libro si sarebbe potuto intitolare senza scandalo “L’uomo è una locusta”, vista la pertinenza con cui affronta la tematica dell’insensato dispendio (e spreco) di risorse che caratterizza l’agricoltura e l’allevamento, ma non solo, nell’epoca contemporanea...
…Il manuale subisce poi un picco di
indecenza nel momento in cui, da “manuale dell’onnivoro” qual è, comincia a
diventare un “manuale del vegetariano”.
Dopo aver visto macellare mucche, dopo
aver ucciso lui stesso del polli e dopo aver mangiato di tutto e di più,
improvvisamente Pollan dice “quasi quasi divento vegetariano”.
Questo pensiero dura circa un
secondo.
Già alla pagina successiva, infatti, Pollan
ci spiega perché diventare vegetariani non abbia senso (per lui) e si vanta
persino di essere riuscito e convertire molti vegetariani a mangiare carne (ma
complimenti!).
In un vergognoso capitolo chiamato
“Una buona morte”, Pollan ci racconta di come sia giusto macellare le
mucche perché esse non provano dolore come noi.
O meglio, provano esattamente lo stesso
tipo di dolore che proviamo noi (e proviamo a immaginare se noi venissimo
fucilati, appesi a testa in giù per un gancio, lasciati dissanguare e poi
squartati), ma siccome non hanno consapevolezza della morte e non provano paura
subito prima di morire, allora tutto ciò è giustificato!
Le mucche, infatti, non avendo coscienza
di cosa succede all’interno dei padiglioni adibiti alla macellazione, salgono
senza paura sulle rampe che le porteranno alla morte. E tutto ciò è
giustificato perché è la loro incoscienza può essere concepita come un tacito
assenso alla morte.
Ma che bel ragionamento!
Quindi gli ebrei che venivano scortati
all’interno delle camere a gas meritavano di morire perché, pensando che
fossero docce, acconsentivano ad entrarvi?
È un libro scritto con garbo
e ironia, e più avvincente di un romanzo, ma che fa emergere abissi nei quali
la maggior parte di noi non vuole ficcare lo sguardo. Chi infatti, quando
compra una confezione di uova al supermercato, si chiede come vivano le galline
ovaiole che le hanno prodotte e di quali mangimi siano state nutrite?
Preferisce ignorarlo, fidandosi dei controlli sanitari (che in Italia sarebbero
i migliori del mondo civile - mentre in tutto il resto saremmo al di sotto: un
vero paradosso), e respingendo ogni domanda inopportuna (ad esempio circa il
rispetto dei pretesi “diritti degli animali”). Pollan segue il percorso di una
gallina e di un vitello, e ci fa vedere in che modo prendano forma i prodotti
alimentari industriali che si consumano in un fast food, indaga poi su quello
che chiama il biologico industriale, quindi si immerge nella operosa vita
quotidiana della fattoria Polyface, dove l’intelligenza di Joel Salatin riesce
a sfruttare la terra senza impoverirla, anzi arricchendola con un mirabile
ciclo produttivo in cui piante e animali interagiscono, seppur governati
dall’umano, secondo la propria natura. E infine si fa cacciatore e
raccoglitore, con una immersione nel passato della nostra specie che gli fa
riscoprire quale sia il sapore di un pranzo totalmente creato dalle sue mani.
Il testo di Pollan è ricchissimo di spunti su cui riflettere. Anzitutto sui limiti entro i quali la natura delle singole specie animali e vegetali può essere forzata senza ripercussioni a catena dalla portata catastrofica. Impressionanti, in questo senso, le pagine sul mais, che più della soia è diventato il vero signore e padrone della nostra catena alimentare. La sua sovrapproduzione ha effetti a cascata. I suoi derivati sono onnipresenti, anzitutto nei mangimi per animali. Ma mentre un pollo può benissimo essere allevato a mais, un bovino ne soffre. Il suo organismo è stato selezionato dalla natura per nutrirsi di erba, e il mais lo fa ingrassare rapidamente, ma male, soprattutto per il suo fegato. Quindi farmaci a gogò (peraltro diffusi in tutti gli allevamenti intensivi anche da noi), e alleanza tra il mais e la chimica, che fornisce anche i concimi necessari alla monocultura di massa.
Il testo di Pollan è ricchissimo di spunti su cui riflettere. Anzitutto sui limiti entro i quali la natura delle singole specie animali e vegetali può essere forzata senza ripercussioni a catena dalla portata catastrofica. Impressionanti, in questo senso, le pagine sul mais, che più della soia è diventato il vero signore e padrone della nostra catena alimentare. La sua sovrapproduzione ha effetti a cascata. I suoi derivati sono onnipresenti, anzitutto nei mangimi per animali. Ma mentre un pollo può benissimo essere allevato a mais, un bovino ne soffre. Il suo organismo è stato selezionato dalla natura per nutrirsi di erba, e il mais lo fa ingrassare rapidamente, ma male, soprattutto per il suo fegato. Quindi farmaci a gogò (peraltro diffusi in tutti gli allevamenti intensivi anche da noi), e alleanza tra il mais e la chimica, che fornisce anche i concimi necessari alla monocultura di massa.
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domenica 4 novembre 2012
Shock Shopping - Saverio Pipitone
L’ipermercato, i punti vendita (store), il cinema
multisala, i ristoranti e i pub, la palestra e il centro benessere, sono tutti
inglobati nello stesso complesso, situato strategicamente vicino all’uscita
autostradale e alla stazione ferroviaria; al suo interno vi è un residence e a
pochissimi chilometri - facilmente raggiungibili - ci sono altre grosse
strutture commerciali come Carrefour, Ikea, Castorama, Comet: in questo
contesto, il classico centro commerciale si evolve in un vero e proprio
“distretto commerciale”.
Molti esempi di questa nuova realtà riempiono l’Emilia-Romagna: da Savignano sul Rubicone ai Lidi ferraresi, da Rimini a Ravenna a Ferrara.
E non solo. Madrid offre piscina e pista di sci dentro uno shopping village. A Vienna, una muraglia di insegne s’affaccia sull’autostrada formando un quartiere commerciale che attira il consumatore, proponendogli anche un museo e molti altri tipi di intrattenimento: concerti, arte di strada, lezioni di ballo, giochi per bambini, feste e mostre, per un totale coinvolgimento emotivo e culturale. Nei paesi dell’Europa dell’est, le scritte della propaganda comunista sono state sostituite da giganteschi cartelloni pubblicitari che indirizzano verso queste cittadelle del consumo fast, easy e low cost.
La prima conseguenza di un siffatto fenomeno mercantilista è una trasformazione: il “cittadino del centro storico” diviene “consumatore del centro commerciale”; tale mutamento è stato colto, fra gli altri, anche dal settimanale Economist, che ha posto la questione se il carrello della spesa abbia preso il posto della cabina elettorale. L’esposizione prosegue poi con una descrizione delle diverse forme distributive utilizzate dal moderno commercio organizzato e una breve esposizione della storia, del pensiero e dei fatti che hanno caratterizzato - e caratterizzano tutt’ora - i principali marchi della GDO, quali Coop, Esselunga, Auchan, Carrefour, Mediaworld, Lidl, McDonalds, Wal-Mart, IKEA e tanti altri; procedendo fra gli shopping center, gli outlet, i mall, e i village retail che li ospitano, viene proposta un’analisi critica di questi templi del consumo, oggi assurti al ruolo di protagonisti egemoni del panorama commerciale nazionale.
In Italia, infatti, si contano attualmente circa 850 centri commerciali, a cui se ne aggiungono altri 50 in corso di realizzazione o in fase di apertura nei prossimi cinque anni, con una forte concentrazione al centro e al sud, nelle periferie e nei centri storici. In questi luoghi, la grande distribuzione organizzata è conduttrice di rigide logiche capitalistiche, lavoro precario, soppressione delle piccole attività locali o di prossimità, danni ambientali e disintegrazione dei tradizionali legami comunitari.
Al riguardo, il sociologo Renato Curcio, nei suoi tre libri Il consumatore lavorato, Il dominio flessibile e L’azienda totale, denuncia azioni di sfruttamento e licenziamento praticate dalla GDO, in particolare dalla catena Esselunga. Qualche anno fa quest’ultima insegna, per rilanciare la sua immagine sociale, stipulò un accordo commerciale con CTM-Altromercato per la fornitura di prodotti appartenenti al circuito del commercio equo e solidale, tra cui banane provenienti dall’Equador. L’intesa, tuttavia, durò solo pochi mesi, dato che Esselunga decise all’improvviso di tagliare gli ordini in quanto la logica della competitività, delle strategie aziendali di breve periodo e del profitto prevalsero aggressivamente sull’economia solidale.
Ma la GDO non si limita ad assumere semplicemente le sembianze ingannatrici dell’azienda socialmente responsabile; una componente fondamentale della sua politica dell’immagine si basa sulle innumerevoli e incessanti iniziative volte a conquistare l’affezione dei clienti, per indurli ad acquistare sempre di più attraverso carte fedeltà, sconti, premi, raccolte punti, “paghi 1 prendi 2”, carrelli più grandi, merchandising, prezzi low cost, percorsi prestabiliti e molte altre trovate pubblicitarie inibitrici della capacità critica dei consumatori.
Questi ultimi sono poi sorvegliati da telecamere onnipresenti, che hanno il compito di individuare eventuali ladruncoli – certo – ma soprattutto di spiare e analizzare il comportamento della clientela effettiva e potenziale.
Inoltre, con il sistema del self-service - dal montaggio del mobile con brugola e cacciavite alla prezzatura in tempo reale degli acquisti tramite i dispositivi salvatempo – l’utente del supermarket è diventato un lavoratore non retribuito e produttore di plusvalore per l’azienda.
Di sicuro, con la GDO è già pronto un futuro fatto di totalizzanti tecniche di controllo e di fidelizzazione. Ad esempio, Wal-Mart ha munito il suo impero di un sistema bancario proprio, utilizzato per i rapporti con i fornitori, e ha intenzione di aprire 2000 ambulatori low cost dove infermieri professionali saranno in grado di fornire assistenza medica per le piccole patologie e consigliare i farmaci da acquistare all’ipermercato. Coop dispone già di diverse farmacie all’interno dei punti vendita e di sportelli per gestire il risparmio e - mediante la Telecom - è entrata nel mercato della telefonia mobile con il marchio CoopVoce. Oggi all’Iper è possibile acquistare anche l’automobile SUV DrMotor all’imbattibile prezzo di 16.000 euro oppure stipulare contratti per la fornitura di energia elettrica o il pieno di benzina. Banca, petrolio, farmaci, telecomunicazioni ed energia sono i nuovi obiettivi della moderna distribuzione, che avanza puntando verso tutto quello che può diventare consumo di massa. In Italia, le liberalizzazioni sancite dalla legge Bersani agevolano decisamente queste tendenze che, se a una prima occhiata sembrano avvantaggiare il consumatore, in ultima analisi fanno spudoratamente il gioco delle lobby commerciali e dei gruppi di potere.
Nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, Karl Marx scriveva: «Ogni uomo s’ingegna a procurare all’altro uomo un nuovo bisogno, per costringerlo a un nuovo sacrificio, per ridurlo a una nuova dipendenza e spingerlo a un nuovo modo di godimento e quindi di rovina economica».
Lo slogan “lavora, consuma, crepa” si adatta perfettamente alla situazione odierna di un consumatore che acquista beni indotti, di scarsa utilità e provenienti da paesi distanti migliaia di chilometri, come la Cina comunista - che paradossalmente è diventata la “classe operaia” dell’opulento occidente. Per rendere l’idea degli sprechi causati da questa catena, basti dire che un carrello con 26 prodotti alimentari percorre quasi 250.000 chilometri e produce 80 chili di gas serra prima di giungere al consumatore finale.
continua qui
Molti esempi di questa nuova realtà riempiono l’Emilia-Romagna: da Savignano sul Rubicone ai Lidi ferraresi, da Rimini a Ravenna a Ferrara.
E non solo. Madrid offre piscina e pista di sci dentro uno shopping village. A Vienna, una muraglia di insegne s’affaccia sull’autostrada formando un quartiere commerciale che attira il consumatore, proponendogli anche un museo e molti altri tipi di intrattenimento: concerti, arte di strada, lezioni di ballo, giochi per bambini, feste e mostre, per un totale coinvolgimento emotivo e culturale. Nei paesi dell’Europa dell’est, le scritte della propaganda comunista sono state sostituite da giganteschi cartelloni pubblicitari che indirizzano verso queste cittadelle del consumo fast, easy e low cost.
La prima conseguenza di un siffatto fenomeno mercantilista è una trasformazione: il “cittadino del centro storico” diviene “consumatore del centro commerciale”; tale mutamento è stato colto, fra gli altri, anche dal settimanale Economist, che ha posto la questione se il carrello della spesa abbia preso il posto della cabina elettorale. L’esposizione prosegue poi con una descrizione delle diverse forme distributive utilizzate dal moderno commercio organizzato e una breve esposizione della storia, del pensiero e dei fatti che hanno caratterizzato - e caratterizzano tutt’ora - i principali marchi della GDO, quali Coop, Esselunga, Auchan, Carrefour, Mediaworld, Lidl, McDonalds, Wal-Mart, IKEA e tanti altri; procedendo fra gli shopping center, gli outlet, i mall, e i village retail che li ospitano, viene proposta un’analisi critica di questi templi del consumo, oggi assurti al ruolo di protagonisti egemoni del panorama commerciale nazionale.
In Italia, infatti, si contano attualmente circa 850 centri commerciali, a cui se ne aggiungono altri 50 in corso di realizzazione o in fase di apertura nei prossimi cinque anni, con una forte concentrazione al centro e al sud, nelle periferie e nei centri storici. In questi luoghi, la grande distribuzione organizzata è conduttrice di rigide logiche capitalistiche, lavoro precario, soppressione delle piccole attività locali o di prossimità, danni ambientali e disintegrazione dei tradizionali legami comunitari.
Al riguardo, il sociologo Renato Curcio, nei suoi tre libri Il consumatore lavorato, Il dominio flessibile e L’azienda totale, denuncia azioni di sfruttamento e licenziamento praticate dalla GDO, in particolare dalla catena Esselunga. Qualche anno fa quest’ultima insegna, per rilanciare la sua immagine sociale, stipulò un accordo commerciale con CTM-Altromercato per la fornitura di prodotti appartenenti al circuito del commercio equo e solidale, tra cui banane provenienti dall’Equador. L’intesa, tuttavia, durò solo pochi mesi, dato che Esselunga decise all’improvviso di tagliare gli ordini in quanto la logica della competitività, delle strategie aziendali di breve periodo e del profitto prevalsero aggressivamente sull’economia solidale.
Ma la GDO non si limita ad assumere semplicemente le sembianze ingannatrici dell’azienda socialmente responsabile; una componente fondamentale della sua politica dell’immagine si basa sulle innumerevoli e incessanti iniziative volte a conquistare l’affezione dei clienti, per indurli ad acquistare sempre di più attraverso carte fedeltà, sconti, premi, raccolte punti, “paghi 1 prendi 2”, carrelli più grandi, merchandising, prezzi low cost, percorsi prestabiliti e molte altre trovate pubblicitarie inibitrici della capacità critica dei consumatori.
Questi ultimi sono poi sorvegliati da telecamere onnipresenti, che hanno il compito di individuare eventuali ladruncoli – certo – ma soprattutto di spiare e analizzare il comportamento della clientela effettiva e potenziale.
Inoltre, con il sistema del self-service - dal montaggio del mobile con brugola e cacciavite alla prezzatura in tempo reale degli acquisti tramite i dispositivi salvatempo – l’utente del supermarket è diventato un lavoratore non retribuito e produttore di plusvalore per l’azienda.
Di sicuro, con la GDO è già pronto un futuro fatto di totalizzanti tecniche di controllo e di fidelizzazione. Ad esempio, Wal-Mart ha munito il suo impero di un sistema bancario proprio, utilizzato per i rapporti con i fornitori, e ha intenzione di aprire 2000 ambulatori low cost dove infermieri professionali saranno in grado di fornire assistenza medica per le piccole patologie e consigliare i farmaci da acquistare all’ipermercato. Coop dispone già di diverse farmacie all’interno dei punti vendita e di sportelli per gestire il risparmio e - mediante la Telecom - è entrata nel mercato della telefonia mobile con il marchio CoopVoce. Oggi all’Iper è possibile acquistare anche l’automobile SUV DrMotor all’imbattibile prezzo di 16.000 euro oppure stipulare contratti per la fornitura di energia elettrica o il pieno di benzina. Banca, petrolio, farmaci, telecomunicazioni ed energia sono i nuovi obiettivi della moderna distribuzione, che avanza puntando verso tutto quello che può diventare consumo di massa. In Italia, le liberalizzazioni sancite dalla legge Bersani agevolano decisamente queste tendenze che, se a una prima occhiata sembrano avvantaggiare il consumatore, in ultima analisi fanno spudoratamente il gioco delle lobby commerciali e dei gruppi di potere.
Nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, Karl Marx scriveva: «Ogni uomo s’ingegna a procurare all’altro uomo un nuovo bisogno, per costringerlo a un nuovo sacrificio, per ridurlo a una nuova dipendenza e spingerlo a un nuovo modo di godimento e quindi di rovina economica».
Lo slogan “lavora, consuma, crepa” si adatta perfettamente alla situazione odierna di un consumatore che acquista beni indotti, di scarsa utilità e provenienti da paesi distanti migliaia di chilometri, come la Cina comunista - che paradossalmente è diventata la “classe operaia” dell’opulento occidente. Per rendere l’idea degli sprechi causati da questa catena, basti dire che un carrello con 26 prodotti alimentari percorre quasi 250.000 chilometri e produce 80 chili di gas serra prima di giungere al consumatore finale.
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martedì 30 ottobre 2012
La giornata self service ventiquattro ore fai-da-te - Ettore Livini
"Inserire la chiavetta". Bip. "Credito: 2,53 euro, selezionare il numero". Bip. Il buongiorno - nell'era della vita self-service - si vede dal mattino. Le tecnologie - diceva quel povero illuso di John Maynard Keynes - libereranno l'uomo dalla schiavitù del lavoro ("massimo 15 ore alla settimana") regalandogli una ricca vita di relazioni. Ha sbagliato in pieno: oggi produciamo in 9 ore quello che nel 1950 si faceva in 40. In ufficio però ci restiamo di più. E quanto alle relazioni, la novità è solo una: abbiamo imparato a farne a meno.
Dal cappuccino delle sette al distributore automatico nel metrò - "Erogazione conclusa, ritirare la bevanda. Credito residuo 2,08 euro". Bip - fino alla cena, dal matrimonio fino alla toelettatura del cane, nel terzo millennio va di moda l'esistenza fai-da-te. Le macchine ci hanno liberato dal più faticoso degli esercizi, quello del rapporto con il resto del genere umano. E oggi, volendo, si possono vivere 24 ore da sogno (senza privarsi di nulla) interloquendo solo con display azzurrognoli, schermi di computer e consulenti - per l'anima e per il cuore - del tutto virtuali. Il glorioso "Time" l'aveva predetto nel 2008: "Le nuove tecnologie faranno del mondo un gigantesco self-service". Ci ha preso più di Keynes. La macchina del cappuccino da 0,45 euro nel mezzanino del metrò - la qualità è quella che è, per carità - è solo la punta dell'iceberg...
continua qui
Dal cappuccino delle sette al distributore automatico nel metrò - "Erogazione conclusa, ritirare la bevanda. Credito residuo 2,08 euro". Bip - fino alla cena, dal matrimonio fino alla toelettatura del cane, nel terzo millennio va di moda l'esistenza fai-da-te. Le macchine ci hanno liberato dal più faticoso degli esercizi, quello del rapporto con il resto del genere umano. E oggi, volendo, si possono vivere 24 ore da sogno (senza privarsi di nulla) interloquendo solo con display azzurrognoli, schermi di computer e consulenti - per l'anima e per il cuore - del tutto virtuali. Il glorioso "Time" l'aveva predetto nel 2008: "Le nuove tecnologie faranno del mondo un gigantesco self-service". Ci ha preso più di Keynes. La macchina del cappuccino da 0,45 euro nel mezzanino del metrò - la qualità è quella che è, per carità - è solo la punta dell'iceberg...
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Morrissey (The Smiths) - Meat is Murder
versione per chi non mangia carne
versione per chi mangia carne
Le grida delle Mucche sembrano grida umane
Si avvicina il coltello che urla
E questa bellissima Creatura deve morire
Di una morte senza motivo
E la morte senza motivo è Assassinio
E la carne che voi così fantasiosamente friggete
Non è succulenta, gustosa o gradevole
E' morte senza motivo
E la morte senza motivo è Assassinio
E il vitello che affettate con un sorriso
E' Assassinio
E il tacchino che festosamente tagliate
E' Assassinio
Lo sapete come muoiono gli Animali?
Gli aromi di cucina non sono molto accoglienti
Non è confortante, allegro o piacevole
E' sangue che frigge, e l'odore empio dell'Assassinio
Non è naturale, normale o gradevole
La carne che così fantasiosamente cucini
La carne dentro la tua bocca
Mentre assapori il gusto dell'Assassinio
No, No, No, è un Assassinio!
No, No, No, è un Assassinio!
E chi ascolta quando gli Animali piangono?
versione per chi mangia carne
Le grida delle Mucche sembrano grida umane
Si avvicina il coltello che urla
E questa bellissima Creatura deve morire
Di una morte senza motivo
E la morte senza motivo è Assassinio
E la carne che voi così fantasiosamente friggete
Non è succulenta, gustosa o gradevole
E' morte senza motivo
E la morte senza motivo è Assassinio
E il vitello che affettate con un sorriso
E' Assassinio
E il tacchino che festosamente tagliate
E' Assassinio
Lo sapete come muoiono gli Animali?
Gli aromi di cucina non sono molto accoglienti
Non è confortante, allegro o piacevole
E' sangue che frigge, e l'odore empio dell'Assassinio
Non è naturale, normale o gradevole
La carne che così fantasiosamente cucini
La carne dentro la tua bocca
Mentre assapori il gusto dell'Assassinio
No, No, No, è un Assassinio!
No, No, No, è un Assassinio!
E chi ascolta quando gli Animali piangono?
qui canta Claudia Pastorino
domenica 28 ottobre 2012
la mucca pazza nel 1923 - Rudolf Steiner
Già nel 1923, in una conferenza tenuta a Dornach, Rudolf Steiner mise in guardia sulle conseguenze di un regime alimentare a base di
carne peri bovini (1).
Andrebbe
certamente perduta un'enorme quantità di forza. La forza
che però va perduta nel corpo animale non si può semplicemente
perdere. Il bue viene alla fine del tutto riempito di
questa forza, che compie in lui qualcosa di diverso dal produrre carne
dalle sostanze vegetali.
Questa
forza rimane in lui, c'è di fatto, e compie qualcos'altro. E ciò
che essa compie genera in lui ogni sorta di putridume. Invece di
venir prodotta carne si generano sostanze nocive. Se il bue
iniziasse quindi lmprovvisamente a comportarsi come
un carnivoro, si riempirebbe di ogni sorta di
sostanze
nocive. Si riempirebbe cioè di acido urico e dei suoi sali.
Ora,
questi sali dell'acido urico hanno pure una loro particolare caratteristica,
che
è
quella di ingenerare una debolezza proprio a carico del sistema
nervoso e del cervello. Se
il bue si cibasse direttamente di carne, in lui verrebbe a prodursi
un' enorme quantità di sali urici; questi andrebbero al
cervello
e il bue impazzirebbe.
Se
noi potessimo fare un esperimento: alimentare di punto in
bianco una mandria di buoi con dei colombi, quel che otterremmo
sarebbe una mandria di buoi completamente pazzi. Questo
è quello che accadrebbe. Nonostante i colombi siano cosìmiti,
i buoi impazzirebbero ..."
(1) - Rudolf Steiner, "Salute e malattia.
Linee fondamentali per una teoria dei sensi alla luce della scienza dello spirito" (Conferenze per gli operai del
Goetheanum), non pubblicato in italiano.
da qui
grazie ad Antonella per avermelo segnalato
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domenica 21 ottobre 2012
sabato 20 ottobre 2012
Solo la zappa potrà salvare questo mondo - Carlo Petrini
C’è la pancia di Fiorito intasata di ostriche e quella dei contadini africani svuotata dalle grandi multinazionali, che come la Nestlè e la Danone, hanno confiscato loro ottanta milioni di ettari. C’è questo mondo e quell’altro negli occhi e nell’esperienza di Carlin Petrini, fondatore di Slow Food. “Guardo l’Italia dall’Africa e mi sento disperato. L’umore non cambia se la miro dalle finestre della mia casa di Bra. Resisto allo sconforto rileggendo Edgard Morin, il più lucido pensatore del Novecento e anche di questo nuovo secolo: “Quando credi che sia impossibile uscirne nota i rivoli di energie che come un fiume carsico spuntano di qua e di là. Sono forze liberatrici anarcoidi, gente che in tutto il mondo si allerta e smuove il mondo”. Questa gente è a mani nude e si trova di fronte eserciti insuperabili. Ma il mondo si cambia a mani nude!
L’intelligenza può dove l’ingordigia non riesce a infilarsi.
E in Italia accadrà lo stesso: la terra è il centro del problema, come la accudiamo, come la consumiamo, cosa ci facciamo con la terra. La terra è la questione capitale, non la legge elettorale. Tu campi solo se mangi. Per avere un chilo di carne c’è bisogno di 15 mila litri di acqua: lo capisci o no che non è pensabile continuare così...
L’intelligenza può dove l’ingordigia non riesce a infilarsi.
E in Italia accadrà lo stesso: la terra è il centro del problema, come la accudiamo, come la consumiamo, cosa ci facciamo con la terra. La terra è la questione capitale, non la legge elettorale. Tu campi solo se mangi. Per avere un chilo di carne c’è bisogno di 15 mila litri di acqua: lo capisci o no che non è pensabile continuare così...
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venerdì 19 ottobre 2012
Ecuador 1 e 2
Di notte a Quito, che sta a 2800
metri, il freddo ti investe appena si spalanca la porta automatica
dell'aeroporto. Ma se la mattina dopo di buon'ora, assieme all'incaricato di Oxfam
Italia , señor Jesus, si percorrono un centinaio di
chilometri verso nord sulla Panamericana, si arriva nella provincia andina
dell'Imbabura, a Cotacachi, dove il sole alle 8 picchia già forte, mentre si
arrampica su un cielo di un azzurro accecante e irraggiungibile, senza rendere
mai l'aria torrida. Neanche a mezzogiorno.
"Perché siamo qui". Lungo il percorso, Jesus con voce garbata, la sua faccia antica e gentile da indigeno radicato serenamente nella sua terra, anticipa con parole semplici il lavoro di Oxfam Italia qui in Ecuador. Dove i difficili progetti di cooperazione sono ispirati al grande tema della sovranità alimentare. Il diritto cioè dei popoli della Terra, sempre meno rispettato, che ha molto a che fare con il cibo quotidiano, che si vorrebbe salubre, compatibile con le tradizioni, i gusti maturati attraverso millenarie abitudini gastronomiche. Ma soprattutto è un diritto che afferma il potere inalienabile di produrre cibo con i propri sistemi agricoli, senza le imposizioni e le pressioni dell'oligopolio del sistema alimentare, che orientano la qualità, la quantità e il commercio dei prodotti. Pressioni e imposizioni che, qui in Ecuador, sembrano addirittura incoraggiate dal governo di Rafael Correa, il giovane presidente ecuatoriano che nella campagna elettorale del 2009 aveva invece promesso tutt'altro, e cioè di voler favorire il ritorno all'agricoltura familiare, oltre che il recupero e la tutela delle colture tradizionali…
"Perché siamo qui". Lungo il percorso, Jesus con voce garbata, la sua faccia antica e gentile da indigeno radicato serenamente nella sua terra, anticipa con parole semplici il lavoro di Oxfam Italia qui in Ecuador. Dove i difficili progetti di cooperazione sono ispirati al grande tema della sovranità alimentare. Il diritto cioè dei popoli della Terra, sempre meno rispettato, che ha molto a che fare con il cibo quotidiano, che si vorrebbe salubre, compatibile con le tradizioni, i gusti maturati attraverso millenarie abitudini gastronomiche. Ma soprattutto è un diritto che afferma il potere inalienabile di produrre cibo con i propri sistemi agricoli, senza le imposizioni e le pressioni dell'oligopolio del sistema alimentare, che orientano la qualità, la quantità e il commercio dei prodotti. Pressioni e imposizioni che, qui in Ecuador, sembrano addirittura incoraggiate dal governo di Rafael Correa, il giovane presidente ecuatoriano che nella campagna elettorale del 2009 aveva invece promesso tutt'altro, e cioè di voler favorire il ritorno all'agricoltura familiare, oltre che il recupero e la tutela delle colture tradizionali…
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Chevron vuole gabbare
l'Ecuador - Paola Desai
Una nuova sconfitta legale per Chevron: la
Corte suprema degli Stati uniti ha rifiutato di considerare il suo ricorso
contro il giudizio emesso la scorsa settimana da un tribunale di New York, che
a sua volta respingeva un ricorso presentato dalla compagnia petrolifera.
Quello che Chevron sta cercando (finora invano) di ottenere è che sia bloccata
la condanna a suo carico emessa nel febbraio scorso dal tribunale di Lago
Agrio, cittadina dell'Ecuador: dopo un processo durato ben 8 anni, i giudici
ecuadoriani hanno infatti ritenuto la multinazionale americana responsabile di
aver provocato gravi danni ambientali, condannandola a pagare un sostanzioso
risarcimento - 18,2 miliardi di dollari - alle popolazioni danneggiate. Da
quando la sentenza è stata emessa Chevron le ha tentate tutte. Il suo primo
ricorso è stato respinto dalla Corte d'appello di Lago Agrio, che ha ratificato
il giudizio di primo grado «in tutte le sue parti, inclusa la sentenza per
risarcimenti morali», ovvero quei 18 miliardi di dollari. Allora, urlando che
la decisione del tribunale ecuadoriano è un «chiaro esempio della
politicizzazione e corruzione della magistratura dell'Ecuador», Chevron si è
rivolta alla magistratura degli Stati uniti. Qui però una corte d'appello di
New York ha obiettato che «imputati delusi da un giudizio emesso all'estero»
non possono chiedere alla giustizia americana di «delegittimare il sistema
legale» di un altro paese.
Il caso Chevron versus la popolazione del distretto di Lago Agrio, nell'amazzonia ecuadoriana, è una battaglia cominciata ormai vent'anni fa, nel 1993, quando circa trentamila abitanti dei villaggi di quella regione amazzonica, sostenuti da alcune organizzazioni ambientaliste, hanno fatto causa contro Texaco al tribunale di New York. L'accusavano di aver scaricato nella foresta 18,5 milioni di galloni di rifiuti oleosi (circa 68 milioni di litri), buttati in centinaia di fosse aperte nella zona di sua concessione, oltre a 16 milioni di galloni (64 milioni di litri) dispersi da pozzi e oleodotti…
Il caso Chevron versus la popolazione del distretto di Lago Agrio, nell'amazzonia ecuadoriana, è una battaglia cominciata ormai vent'anni fa, nel 1993, quando circa trentamila abitanti dei villaggi di quella regione amazzonica, sostenuti da alcune organizzazioni ambientaliste, hanno fatto causa contro Texaco al tribunale di New York. L'accusavano di aver scaricato nella foresta 18,5 milioni di galloni di rifiuti oleosi (circa 68 milioni di litri), buttati in centinaia di fosse aperte nella zona di sua concessione, oltre a 16 milioni di galloni (64 milioni di litri) dispersi da pozzi e oleodotti…
giovedì 18 ottobre 2012
mercoledì 17 ottobre 2012
Il latte della Mauritania - Marina Forti
Una «favoletta» che viene dalla Mauritania: illustra come i sussidi agricoli, concessi con larghezza dall'Unione europea ai suoi produttori, siano una concorrenza sleale che soffoca le economie locali altrui. Nel villaggio di Ari Hara, nella Mauritania meridionale, una cooperativa formata da donne ha avviato con successo una produzione di latte e prodotti caseari: trasformano il latte in yoghurt dolce che poi vendono nella vicina città, Boghé, 350 chilometri a sud-est della capitale Nouakchott. Quella è sempre stata una zona di pastori e coltivatori, e da quando le donne hanno formato la cooperativa nel 2009 hanno garantito alle loro famiglie un piccolo reddito stabile e cibo assicurato anche nei periodi di siccità, riferisce Irin news, il notiziario on-line dell'Ufficio Onu per gli affari umanitari (in un dispaccio del 1 ottobre). Certo, la cooperativa potrebbe aumentare la rete di vendita se avesse la possibilità di raggiungere mercati più distanti, ma per questo servirebbero strade migliori e furgoni frigorifero. Un'organizzazione non governativa locale, l'Association mauritanienne pour l'auto-développement (Associazione mauritana per l'auto-sviluppo, Amad) aveva aiutato la cooperativa nella fase di avvio con 30mila dollari di finanziamento, ma non ha fondi per aiutarle a espandersi.
Strade e furgoni però sono solo una parte del problema. C'è un ostacolo ancora più insormontabile, per le donne di Ari Hara: è che il mercato della Mauritania è invaso da latte e latticini importati a basso costo dall'Europa. Pensate: il 60% della popolazione mauritana vive direttamente o indirettamente dell'allevamento (inclusa la produzione casearia), settore che contribuisce circa il 13% del Prodotto interno lordo del paese. Eppure la Mauritania importa il 65% del latte che consuma, sottolinea un rapporto congiunto dell'Associazione mauritana Amad, Oxfam e Acord. In parte è un retaggio del passato recente: ancora negli anni '80 nei mercati delle città mauritane era impossibile trovare latte fresco, c'era solo quello in polvere o a lunga conservazione importato (di solito dall'Europa). Poi però si è sviluppata anche in Mauritania un'industria casearia, che distribuisce latte Uht, yoghurt, panna e così via. Irin ricorda Tiviski, la prima azienda casearia avviata a Noouakchott nel 1987 da una britannica sposata con un mauritano: aveva cominciato a comprare il latte di cammello da produttori delle campagne circostanti, buon latte fresco che poi pasteurizzava e distribuiva in città...
Strade e furgoni però sono solo una parte del problema. C'è un ostacolo ancora più insormontabile, per le donne di Ari Hara: è che il mercato della Mauritania è invaso da latte e latticini importati a basso costo dall'Europa. Pensate: il 60% della popolazione mauritana vive direttamente o indirettamente dell'allevamento (inclusa la produzione casearia), settore che contribuisce circa il 13% del Prodotto interno lordo del paese. Eppure la Mauritania importa il 65% del latte che consuma, sottolinea un rapporto congiunto dell'Associazione mauritana Amad, Oxfam e Acord. In parte è un retaggio del passato recente: ancora negli anni '80 nei mercati delle città mauritane era impossibile trovare latte fresco, c'era solo quello in polvere o a lunga conservazione importato (di solito dall'Europa). Poi però si è sviluppata anche in Mauritania un'industria casearia, che distribuisce latte Uht, yoghurt, panna e così via. Irin ricorda Tiviski, la prima azienda casearia avviata a Noouakchott nel 1987 da una britannica sposata con un mauritano: aveva cominciato a comprare il latte di cammello da produttori delle campagne circostanti, buon latte fresco che poi pasteurizzava e distribuiva in città...
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domenica 14 ottobre 2012
ricordo di Thomas Sankara - Marinella Correggia
Ecologia, femminismo, fame
e povertà zero, cultura, altermondialismo, il credito e non il debito
dell'Africa. A 25 anni dall'assassinio di Thomas Sankara, la rivoluzione del
giovane presidente del Burkina Faso è ancora più che attuale «Lo supplicavo di
proteggersi la vita, gli dicevo che un eroe morto non serve a niente. Adesso
però penso che un eroe morto serva da riferimento». Così il giornalista
malgascio Sennen Andriamirado, nella biografia postuma Il s'appelait Sankara
sottolineava il lascito di quel Che Guevara africano diventato nel 1983
presidente rivoluzionario del poverissimo Alto Volta, rinominato Burkina Faso
ovvero «paese degli integri». Una vicenda luminosa e breve come un lampo.
Sankara fu ucciso a soli 38 anni in un colpo di stato cruento. Interessi
interni di risicati ceti privilegiati saldati a quelli di poteri regionali e
internazionali ebbero la meglio su un'esperienza scomoda e potenzialmente
contagiosa, ma al tempo stesso ancora solitaria, perciò debole. Era il 15
ottobre 1987: venti anni e una settimana dopo l'assassinio del Che. Come una
parola d'ordine Quattro anni sono troppo pochi perché una rivoluzione
sopravviva alla scomparsa violenta della sua guida, soprattutto se di tutta la
testa superiore agli altri politici. E tuttavia Sankara, eroe senza corona e
senza privilegi, rimane un mot de passe , una specie di parola d'ordine. Un
richiamo a ideale e pratiche locali e internazionali adatti al futuro. «Se ci
fosse ancora Sankara», si intitolò un convegno a Torino, nel 2007. Non c'è
angolo che la rivoluzione burkinabè al tempo di Sankara non abbia esplorato:
«Vogliamo essere gli eredi di tutte le rivoluzioni del mondo». Una sfida
enorme, in quel «concentrato di tutte le disgrazie del mondo» (aspettativa di
vita di 40 anni, 98% di analfabetismo, poca acqua, tanta fatica) nel quale però
«donne, bambini e uomini hanno deciso di prendere in mano il proprio destino«
(dal discorso all'Assemblea dell'Onu nel 1984, v. Thomas Sankara, i discorsi e
le idee , edizioni Sankara). Ma ecco un popolo, fatto al 90% di contadini e
donne oppresse, tentare la fuoriuscita dalla miseria, sulla via di uno sviluppo
autonomo, partecipato, egualitario, ecologico per necessità. Il paradigma
sociale e culturale della rivoluzione sankarista era proiettato nel futuro.
Cos'è infatti il buen vivir (o vivir bien ) ora rivendicato da diversi paesi
latinoamericani se non la ricerca di un semplice benessere per tutti, nel
rispetto della natura e dei beni comuni, da raggiungere con strumenti quali
democrazia diretta, economia popolare, risorse endogene? «La nostra rivoluzione
avrà valore solo se, guardando intorno a noi, potremo dire che i burkinabè sono
un po' più felici grazie ad essa», disse il presidente a Bobo Dioulasso il 2
ottobre 1987. Sovranità alimentare nel Sahel L'obiettivo era immenso e immane
in quel contesto. La prova del nove fu superata: risultati materiali inauditi
in poco tempo e quasi senza mezzi. Tutto all'insegna del motto di Sankara:
«Contare sulle proprie forze». Coltivare e irrigare con poche risorse per
garantire due pasti e dieci litri d'acqua al giorno a ognuno. La sovranità
alimentare: «Produrre e consumare burkinabè». «Operazioni commando di
alfabetizzazione» degli adulti. I progetti «un villaggio un bosco, un villaggio
un ambulatorio, un villaggio una scuola». Le «tre lotte contro il deserto» per
un commovente Burkina verde. Il faso dan fani , abito di cotone locale lavorato
artigianalmente. La «battaglia per la ferrovia». L'informazione partecipata con
la «radio entrate e parlate». I lavori comunitari anche per i funzionari (un
tentativo di redistribuzione della fatica). La cultura, inventare il Festival
del cinema africano, le proiezioni nei villaggi, lo sport di massa per la
salute... E i soggetti. La mobilitazione tentata a tutti i livelli nei comitati
rivoluzionari. Al centro di tutto, i contadini e le donne, anche contro i capi
villaggio e gli sfruttatori della tradizione. Presidente femminista, un otto
marzo dichiarò: «Se perdiamo la lotta per la liberazione della donna avremo
perso il diritto di sperare in una trasformazione positiva. (...) Una società
come la nostra deve lottare contro l'escissione e ridurre anche i lunghi
tragitti che la donna percorre per andare a cercare l'acqua, la legna . Non
possiamo parlare di liberazione della donna senza parlare del mulino per
macinare il grano, dell'orto, del potere economico» (da Thomas Sankara. I
discorsi e le idee , edizioni Sankara). Un presidente senza privilegi Per
investire tutto nei bisogni di base Sankara impose una spending review
all'osso: «Non possiamo essere i dirigenti ricchi di un paese povero». Senza
accettare imposizioni dal Fondo Monetario internazionale (che «va oltre il
controllo di bilancio e persegue un controllo politico»), l'austerità fu
autogestita: stipendi modestissimi a presidente e ministri, niente sprechi di
rappresentanza, vendute le auto blu, aboliti gli eventi di lusso, rimpicciolita
ogni spesa amministrativa. Ma non riuscì a Thomas Sankara la lotta contro la
corruzione, e contro gli abusi di potere nei Comitati rivoluzionari. L'impegno
antimperialista fra i non allineati e a fianco delle esperienze rivoluzionarie.
La lotta contro il debito estero e per il disarmo. Nel suo discorso di fronte
ai capi di stato africani, alla Conferenza dell'allora Organizzazione per
l'Unità Africana (Oua) ad Addis Abeba, 29 luglio 1987, Sankara ripeteva
l'invito fatto al Movimento dei paesi non allineati tre anni prima a New Delhi:
«Non possiamo rimborsare il debito perché non abbiamo di che pagare. Non
possiamo rimborsare il debito perché non ne siamo responsabili. (...) Abbiamo
il dovere di creare il Fronte unito contro il debito». Ma al tempo stesso tutta
l'Africa doveva farla finita con la corruzione, i privilegi e le spese per le
armi. Le risorse liberate erano necessarie alla fuoriuscita dalla miseria e
all'integrazione regionale (sul modello dell'attuale Alleanza bolivariana Alba
in America Latina): «Facciamo sì che il mercato africano sia davvero il mercato
degli africani. Produrre in Africa, trasformare in Africa e consumare in Africa
(...) È per noi il solo modo di vivere liberamente e degnamente».
sabato 13 ottobre 2012
le balene di plastica
Quando si nuota, trovare uno shopper o un altro oggetto di plastica galleggiante dà fastidio. Ma quando la plastica non si vede può essere anche peggio. Lo prova una ricerca, condotta dall'università di Siena, appena pubblicata dal Marine Pollution Bulletin: l'invasione di frammenti di plastica nel Santuario dei cetacei - l'area protetta situata tra la Corsica, la Costa Azzurra e la Toscana - mette in pericolo la sopravvivenza delle balene.
Nelle microparticelle di plastica sono infatti presenti - spiega Maria Cristina Fossi, la biologa che ha coordinato lo studio finanziato dal ministero dell'Ambiente - gli ftalati e altri distruttori endocrini. Sono le sostanze che alterano gli ormoni sessuali, creando una tendenza all'ermafroditismo che può mettere in pericolo la sopravvivenza dei grandi gruppi di cetacei.
Questa minaccia chimica è consistente perché le micro plastiche inferiori a 5 millimetri, prodotte dalla degradazione di sacchetti e di altri oggetti e da attività industriali, nel Mediterraneo hanno una concentrazione simile a quella delle aree del Pacifico in cui, a causa di un particolare gioco di correnti, si formano le grandi isole di plastica galleggianti.
La ricerca mostra per la prima volta il rapporto tra questo inquinamento diffuso e gli effetti sui grandi mammiferi del mare dimostrando che i distruttori endocrini sono assunti in dosi rilevanti: ai test sulle balene spiaggiate si sono aggiunti quelli condotti sui cetacei in libertà (con un dardo modificato è possibile catturare un piccolo frammento di pelle, sufficiente per le analisi)...
continua qui
Nelle microparticelle di plastica sono infatti presenti - spiega Maria Cristina Fossi, la biologa che ha coordinato lo studio finanziato dal ministero dell'Ambiente - gli ftalati e altri distruttori endocrini. Sono le sostanze che alterano gli ormoni sessuali, creando una tendenza all'ermafroditismo che può mettere in pericolo la sopravvivenza dei grandi gruppi di cetacei.
Questa minaccia chimica è consistente perché le micro plastiche inferiori a 5 millimetri, prodotte dalla degradazione di sacchetti e di altri oggetti e da attività industriali, nel Mediterraneo hanno una concentrazione simile a quella delle aree del Pacifico in cui, a causa di un particolare gioco di correnti, si formano le grandi isole di plastica galleggianti.
La ricerca mostra per la prima volta il rapporto tra questo inquinamento diffuso e gli effetti sui grandi mammiferi del mare dimostrando che i distruttori endocrini sono assunti in dosi rilevanti: ai test sulle balene spiaggiate si sono aggiunti quelli condotti sui cetacei in libertà (con un dardo modificato è possibile catturare un piccolo frammento di pelle, sufficiente per le analisi)...
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mercoledì 10 ottobre 2012
a volte i vegetariani non vengono capiti
il film è bellissimo (e si trova in italiano)
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martedì 9 ottobre 2012
olio fritto
Buttarlo nel wc o nel lavandino è una
pessima abitudine che provoca gravi danni all'ambiente. Tramite processi
di trattamento e riciclo, dall’olio usato si possono ottenere svariati
prodotti. Ecco come sbarazzarsene in maniera ecologica
Patatine e verdure, carne e pesce. E
l'olio utilizzato per le fritture dove va a finire? Quella di buttarlo nel wc o
nel lavandino è una pessima abitudine che provoca gravi danni all'ambiente.
Quando si frigge, infatti, l'olio
vegetale raggiunge temperatute elevate che possono arrivare fino a 200° C. A
queste condizioni l'olio (definito "esausto") subisce una
trasformazione chimica diventando un fluido denso, appiccicoso, di colore
rosso-bruno o giallo e con un odore sgradevole. Si stima che ogni anno oltre
200.00 tonnellate di olio fritto finiscano nell'ambiente. E pensare che con un
litro di olio di frittura una famiglia potrebbe contribuire a far camminare uno
scuolabus per circa 15 chilometri.
Dalla padella al lavandino. Le
conseguenze
L'acqua di scarto di gabinetti, lavandini o pozzetti attraverso le tubature finisce nella rete fognaria e poi nel depuratore. In presenza di scarti non degradabili come l'olio, però, il depuratore non funziona correttamente.
L'acqua di scarto di gabinetti, lavandini o pozzetti attraverso le tubature finisce nella rete fognaria e poi nel depuratore. In presenza di scarti non degradabili come l'olio, però, il depuratore non funziona correttamente.
Si aggrava il carico da depurare quindi
si ha una depurazione meno efficiente e più costosa (serve più energia
elettrica per garantire una migliore depurazione). Le acque che arrivano ai
fiumi e al mare, a questo punto, non sono pulite come dovrebbero.
Danni
In acqua. L'olio, più leggero, galleggia sull'acqua formando una barriera traslucida e impermeabile che impedisce il normale scambio di ossigeno tra aria e acqua compromettendo la sopravvivenza di flora e fauna.
In acqua. L'olio, più leggero, galleggia sull'acqua formando una barriera traslucida e impermeabile che impedisce il normale scambio di ossigeno tra aria e acqua compromettendo la sopravvivenza di flora e fauna.
Nel suolo. L'olio che finisce direttamente nel suolo impedisce alle radici di
assorbire le sostanze nutritive necessarie alla sopravvivenza delle piante,
uccidendole.
Falde. L'olio potrebbe raggiungere
direttamente le falde acquifere, inquinandole irrimediabilmente. Un litro di
olio mescolato a un milione di litri d'acqua basta ad alterarla e a renderla non
potabile…
…Consigli
per la raccolta
Una volta terminata la frittura, è opportuno aspettare che l'olio si raffreddi prima di metterlo nei contenitori appositi oppure in semplici bottiglie di plastica.
Una volta terminata la frittura, è opportuno aspettare che l'olio si raffreddi prima di metterlo nei contenitori appositi oppure in semplici bottiglie di plastica.
Se pentole e padelle sono unte o sporche di grasso prima di
metterle a lavare, è buona norma strofinarle con un tovagliolo di carta che poi
andrà buttato nell'umido o nella comune spazzatura…
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