mercoledì 9 luglio 2014

La faccia triste del Brasile - Tano Siracusa

Nella foresta amazzonica brasiliana ci sono 77 gruppi umani ‘isolati’: così li definisce il FUNAI, l’ente governativo preposto alla protezione degli indios. Si tratta di gruppi a volte di poche decine di individui, che hanno deciso di isolarsi nella foresta, sopravvissuti alle stragi degli allevatori e delle compagnie del legname, alle malattie contratte attraverso il contatto con i coloni bianchi, come la polmonite.

Sono quelli che tirano le frecce contro gli elicotteri che li sorvolano. Alcuni gruppi rimangono nomadi, altri sono più stanziali. C’è ancora territorio a sufficienza: il FUNAI di recente ha delimitato un territorio per un individuo solo, sopravvissuto a chissà quale catastrofe abbattutasi sul suo gruppo, che rifiuta in modo assoluto qualunque tipo di contatto. E poi ci sono ancora quei gruppi che non sanno che fuori dalla foresta c’è un altro pianeta, che non sanno che esistiamo.

Queste poche persone, al massimo qualche migliaio, sono le uniche che in Brasile non vedranno i campionati del mondo di calcio. Gli Arawete invece li stanno seguendo.
In ciascuno dei loro sei villaggi lungo il fiume Kingsu c’è infatti il gruppo elettrogeno e un televisore che guardano la sera, seduti o sdraiati per terra davanti una capanna o in uno spazio comune.
La città, Altamira, è a qualche ora di navigazione lungo il fiume, e adesso che una compagnia privata ha regalato a molti arawete una barca con il motore i rapporti con la città si sono intensificati, provocando anche numerosi incidenti dovuti all’imperizia e al loro modo spericolato di guidare le imbarcazioni.

Soprattutto vi si recano spesso i giovani, che si aggirano poi spaesati fra le case basse della città, nei posti dove si può comprare una maglietta del Brasile con il numero 10, dove si può bere coca cola o comprare l’alcol, che fino a quattro anni fa non bevevano e la cui diffusione preoccupa molto il personale del FUNAI perché ha già disastrato diverse etnie.
Gli arawete sono circa 400, hanno una loro lingua ma ormai parlano anche un po’ il portoghese, perché oltre a fornire il televisore il governo brasiliano ha istituito una scuola in ogni villaggio. Gli insegnanti, che condividono la vita degli indios – meglio, che ne condividono il tempo libero, non essendo né cacciatori né pescatori – stanno molto attenti a non contribuire alla ulteriore disgregazione della loro cultura.
Nel 2010 una coppia di insegnanti brasiliani, pastori di una delle tante chiese cristiane, non diceva nulla agli indios né del cristianesimo né della sfericità della terra. E neppure avevano voglia di parlare con estranei dell’infanticidio gemellare che gli arawete praticano, probabilmente inorriditi dalla duplicazione, da quel perfetto mimetismo del doppio studiato da René Girard e attestato da molti etnologi in varie parti del mondo…

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