Piuttosto che
affermare a gran voce di conseguire la verità, peraltro difficilmente
conseguibile, la pratica scientifica dovrebbe ammettere incertezza e ignoranza,
esercitare un giudizio etico e una riflessione epistemica, e assicurare per
quanto è possibile che siano i bisogni della società a guidare i progressi
delle scienze, anziché la scienza a presumere di saper condurre la società.
(Jasanoff, 2009)
In questo articolo presento una specie di ‘studio di caso’: si tratta di
una sequenza di decisioni via via modificate nel processo di individuazione –
da parte dell’Unione Europea – di criteri di ‘sostenibilità’ per assegnare
finanziamenti utili alla decarbonizzazione dell’economia. Le riflessioni che
emergono da questa singola storia possono essere applicate a molte situazioni
che si stanno verificando con crescente frequenza a livello nazionale e
sovranazionale, e che riguardano in generale le crisi sanitarie, economiche,
ambientali in cui siamo ormai da tempo coinvolti.
Fin dagli anni ’80 due studiosi, J.Ravetz e S.Funtowicz, avevano scritto
che “non è più possibile per l’élite al potere servirsi degli esperti per
convincere il pubblico che le loro politiche sono vantaggiose, corrette,
inevitabili e sicure”. Negli anni successivi essi proposero una nuova
concettualizzazione della scienza, da utilizzare in situazioni in cui i
fatti sono incerti, la posta in gioco elevata, i valori in conflitto e le
decisioni urgenti. La chiamarono Scienza Post Normale (Post Normal
Science – PNS), sottolineando che questa modalità di indagine non è libera da
valori né eticamente neutrale. La riflessione sulla natura e sulle proprietà di
questo modo di investigare le relazioni tra le azioni umane e gli ecosistemi si
è sviluppata negli ultimi decenni dando
luogo a una vasta letteratura. Anni fa ne avevamo parlato anche nelle pagine del
CSSR.
Un anno fa, il 2 aprile 2020, un breve articolo firmato da un team
internazionale aveva richiamato l’attenzione dei lettori con questo titolo: “Pandemie
post-normali. Perché CoViD-19 richiede un nuovo approccio alla scienza”.
Come per la pandemia, per molte altre situazioni complesse e controverse in cui
siamo ormai coinvolti, l’approccio della scienza post-normale potrebbe
risultare prezioso. A differenza della scienza disciplinare, specialistica e
necessariamente riduzionista, la scienza post-normale richiede la
partecipazione di tutti gli ‘stakeholders’, cioè di tutti coloro che sono
coinvolti nel problema di cui si cercano soluzioni: occorre il contributo di
tante prospettive diverse (studiosi di diverse discipline), e di una varietà di
interessi e visioni (categorie sociali, comunità, associazioni, singoli
cittadini), per affrontarlo in modo democratico.
Leggendo lo ‘studio di caso’che vi propongo qui di seguito risulta
evidenteche il vecchio schema della scienza che ‘dice la verità al potere’ non
funziona più: dal confronto tra esperti di diversa preparazione, e spesso di
diversa ideologia, si arriva spesso a una situazione di paralisi che il più
delle volte si risolve con la ‘vittoria’ di chi ha più potere politico, più
denaro, più controllo dei media… e spesso più capacità di corruzione.
Il caso studio. Come finanziare la transizione ecologica del settore
energetico?
Ben prima che il COVID-19 facesse irruzione nelle nostre vite, in Europa
era iniziato un acceso e articolato dibattito volto a stabilire alcune regole
comuni da condividere per orientare i flussi finanziari verso una
decarbonizzazione dell’economia. Già a maggio 2018 la Commissione Europea aveva
sottolineato che la transizione energetica non poteva essere realizzata solo
con fondi pubblici: occorreva coinvolgere le imprese private, selezionandone le
proposte più ‘sostenibili’. Il 28 marzo 2019 il Parlamento Europeo approvò con
voto una proposta di classificazione delle attività sostenibili, che
escludeva l’energia da gas fossile e quella prodotta da impianti nucleari,
allo scopo di ri-orientare gli investimenti da queste tecnologie, considerate
inquinanti, verso tecnologie ‘pulite’.
Ma i sostenitori dei combustibili fossili e del nucleare non
si diedero per vinti, e a più riprese reinserirono nuove proposte per far
accogliere l’industria basata su queste fonti tra le opzioni ‘verdi’ da
finanziare.
La tassonomia UE
La classificazione delle attività economiche in grado di favorire la
transizione ecologica ha preso il nome di ‘tassonomia UE’.
Il 9 marzo 2020 è stato pubblicato il report finale che individua le attività economiche
sostenibili, redatto dopo oltre un anno di lavoro dal Technical Expert
Group on Sustainable Finance (TEG), un gruppo di esperti – 35 membri e oltre 100 consulenti – incaricati dalla
Commissione Europea di fornire le loro raccomandazioni sulle nuove normative
per una finanza sostenibile.
Il loro compito era di individuare le attività economiche in grado
di contribuire a raggiungere l’obiettivo emissioni zero entro il 2050 e i
relativi criteri di selezione. Questo “vocabolario” della
sostenibilità ambientale doveva essere un riferimento per molti soggetti: per
il mondo della finanza responsabile, al fine di indicare quanto sostenibile
fosse effettivamente un investimento; per i governi, per stabilire gli
incentivi ad aziende green; per le aziende, cui si richiedeva l’impegno a
dichiarare il proprio impatto sull’ambiente.
Il 18 giugno 2020 la Commissione Europea ha approvato il Regolamento sulla tassonomia,
e a dicembre 2020 – a integrazione di questo Regolamento – è stata
pubblicata sul sito della Commissione europea una bozza di
‘Atti delegati’, redatta da una piattaforma di esperti creata a settembre dalla
Commissione europea, che contiene i criteri tecnici per attribuire il
bollino di attività sostenibile.
La consultazione sulle bozze degli Atti delegati si è conclusa il 18
dicembre 2020. La Commissione europea ha dichiarato che avrebbe valutato entro
il 31 dicembre i feedback ricevuti, prima di finalizzare l’adozione degli atti
delegati. La bozza dovrebbe poi essere soggetta all’esame del Parlamento
europeo e del Consiglio dei ministri che rappresentano i 27 Stati membri
dell’UE e – una volta adottata, si applicherà dal 1 ° gennaio 2022.
All’assalto della tassonomia verde
Prima il gas fossile….
Il 22 marzo 2021 il sito francese Contexte rende pubblica una bozza
di documento inviato
dalla Commissione Europea ai 27 Paesi della UE, in cui propone importanti
modifiche nei criteri di accesso alla tassonomia dello sviluppo sostenibile, in
particolare nel settore energetico. La nuova proposta elaborata
dalla Commissione prevede che il gas fossile possa entrare
nella tassonomia come investimento verde, se la nuova centrale a gas rispetta
una serie di condizioni. Secondo questa proposta, un’attività è
sostenibile se fornisce un contributo sostanzialeallamitigazione
del cambiamento climatico oppure all’adattamento al cambiamento
climatico, e se non danneggia in modo rilevante gli
altri obiettivi ambientali della tassonomia, come la tutela
della biodiversità e la riduzione dell’inquinamento.
Il 25 marzo il WWF, insieme a scienziati, istituzioni finanziarie e
ONG, lancia l’allarme su
questa proposta, che permetterebbe ai combustibili fossili di entrare nella
Tassonomia UE sugli Investimenti Sostenibili.
Greenpeace denuncia che «Dopo mesi di intense pressioni a
Bruxelles, una serie di industrie – dal gas alla bioenergia, all’aviazione e al
nucleare – sono pronte a incassare grazie alla nuova bozza della cosiddetta
tassonomia della Commissione europea».uestas
Il 29 Marzo 2021, in una lettera aperta
indirizzata alla Commissione europea, questi scienziati,
esperti e ONG ambientaliste hanno messo nero su bianco i loro timori di fronte
alla proposta di includere fra le attività di transizione ammesse dalla
Tassonomia Ue anche quelle relative allo sfruttamento del gas di origine fossile,
e hanno chiesto ai massimi vertici dell’esecutivo di Bruxelles di non dare
seguito a una simile ipotesi. I firmatari della lettera ricordano come
l’inclusione di impianti a gas fossile vada apertamente contro le
raccomandazioni, basate su studi e analisi scientifiche, del Technical Expert
Group (il TEG).
… poi il nucleare!
Si pensava che l’opzione dell’energia nucleare, soprattutto a causa degli
enormi investimenti richiesti, ai molti anni necessari per la realizzazione, e
a causa dei problemi irrisolti sullo smaltimento delle scorie radioattive,
sarebbe rimasta definitivamente fuori dalla lista delle iniziative sostenibili.
Invece, dopo pressioni politiche molto forti e azioni concordate delle lobbies
nucleari, ecco spuntare un’ulteriore proposta di modifica della tassonomia
UE: il 29 marzo l’industria nucleare ha chiesto alla Commissione Europea
di accelerare la pratica di inclusione dell’energia nucleare nella Tassonomia
UE sulla finanza sostenibile, accompagnando la richiesta con un documento nel quale
si legge:
Le analisi non hanno messo in luce alcuna evidenza scientifica che
l’energia nucleare arrechi più danni alla salute umana o all’ambiente rispetto
ad altre tecnologie di produzione di elettricità già incluse nella tassonomia
come attività a sostegno della mitigazione del cambiamento climatico.
Questa è infatti la conclusione di un Report redatto dal Joint Research
Centre (JRC), la cui missione ufficiale è quella di
sostenere le linee di condotta dell’UE con prove indipendenti durante l’intero
processo decisionale.
Le reazioni sono immediate: a esprimersi sono sia le organizzazioni
pro-nucleari (Quarante-six
organisations pronucléaires demandent à la Commission d’intégrer l’atome dans
la taxonomie verte) sia quelle che chiedono
conferma dell’esclusione (Une large
coalition demande l’exclusion des énergies nucléaires et fossiles de la
directive ENR). Purtroppo gli articoli
di cui ho riportato i titoli non sono accessibili al pubblico, e non ho potuto
‘comparare’ il peso (scientifico? politico?) dei due schieramenti contrapposti.
Come finirà? Per il 29 aprile è in programma un evento pubblico
organizzato dalle Authority di
vigilanza europee…
Per saperne di più… su scienza,
politica, potere
Nelle grandi questioni in cui si dibatte la società mondiale, la politica
continua a rivolgersi alla ‘scienza’ e agli ‘esperti’ per giustificare le
proprie scelte di fronte al pubblico. Ma le modalità, gli strumenti, e persino
i fini per indagare la realtà sono profondamente mutati, nell’ultimo secolo.
Persiste ancora, nell’immaginario collettivo e – purtroppo – nel nostro sistema
educativo, l’idea che la scienza sia una grandiosa impresa sociale che descrive
e spiega il mondo oggettivo dei fatti, (ben separato dal mondo soggettivo degli
affari umani e dei valori), liberandoci dalla visione primitiva e carica di
superstizioni dei nostri antenati.
In un articolo pubblicato pochi anni fa – Science on the verge [1] –
alcun* studios* hanno provato a richiamare l’attenzione sull’esistenza di
alcuni aspetti preoccupanti nell’attuale uso della scienza per la ‘governance’,
cioè per l’esercizio delle scelte politiche da parte delle istituzioni
pubbliche. Il libro esplora le dimensioni etiche, epistemologiche,
metodologiche e persino metafisiche della crisi in cui si trova la scienza, che
ha perso il carattere di comunità autonoma di pari, auto-governata e
disinteressata, in grado di ‘dire la verità al potere’. Nella progressiva
‘ibridizzazione’ della scienza con la tecnologia, e nello sviluppo della ‘big
science’, sempre più si incontrano problemi che emergono dall’applicazione
stessa della tecnoscienza, e che non possono più trovare risposte nella scienza
intesa in senso tradizionale.
Nella pratica della scienza non possono più essere ignorati né il mondo
soggettivo di emozioni e passioni né il mondo esterno dei valori sociali,
politici ed economici. Nell’interazione della tecnoscienza con il mondo
reale dei sistemi sociali ed ecologici emergono rischi, incertezze e
complessità che non possono più essere esternalizzate, e rendono impossibile
separare fatti e valori.
Due sono le soluzioni che vengono proposte per gestire questo nuovo
scenario, che in qualche misura sono antagoniste tra loro: c’è chi ritiene
ancora (grazie alla scienza) di poter controllare e misurare le situazioni di
incertezza riducendole a ‘rischi’ statisticamente quantificabili; chi invece
sente l’esigenza di discutere apertamente i problemi accettando la prospettiva
che non esista UNA soluzione, e attivando quindi processi democratici per
arrivare a decisioni condivise.
Daniel Sarewitz, co-direttore del Consorzio for Science, Policy &
Outcomes, nell’introduzione al libro[2] da
cui è tratto l’articolo sopra citato, scrive:
“La comunità scientifica continua a concepirsi come un’impresa
auto-correttiva e autonoma, ma la conoscenza che crea non è più contenibile
all’interno di laboratori, pubblicazioni tecniche e brevetti. […]
Molte istituzioni e pratiche moderne sono state progettate nell’aspettativa
che la scienza fosse una sorta di ‘macchina della verità’ che potesse aiutare a
superare le condizioni fondamentali di incertezza e disaccordo. La
dolorosa lezione degli ultimi decenni, tuttavia, è che la vera scienza non
costruirà mai un’immagine unica, coerente e condivisa delle complesse sfide del
nostro mondo e che la ricerca in tal senso promuove invece la corruzione dell’impresa
scientifica, e l’incertezza e il sospetto tra i decisori e i cittadini
impegnati (esemplificati nei dibattiti sugli OGM o sull’energia
nucleare). Nella migliore delle ipotesi, tuttavia, la scienza può fornire
una molteplicità di intuizioni che possono aiutare le società democratiche a
esplorare le opzioni per affrontare le sfide che devono affrontare”.
La battaglia che da decenni il Movimento NOTAV sostiene
contro la linea ad Alta velocità Torino Lione, e la costruzione dal basso di un
progetto di ‘società
della cura’ sono due esempi di fruttuosa applicazione di un
approccio post-normale alla scienza: gli esperti sono coinvolti in riflessioni
e dibattiti ai quali partecipano – con uguale diritto di parola e di ascolto –
cittadini e cittadine di competenze, situazioni economiche, esperienze e
visioni molto diverse.
La natura dei problemi richiede un cambiamento dei criteri di qualità e di
verità della scienza tradizionale, e il riconoscimento di una molteplicità di
interpretazioni tutte ugualmente rispettabili.
Note
[1] Benessia,
A., Funtowicz, S., Giampietro, M., Guimarães Perei-ra, Â., Ravetz, J.,
Saltelli, A., Strand, R., and van der Sluijs, J. P. 2016. The Rightful
Place of Science: Science on the Verge. Tempe, AZ: Consortium for Science,
Policy & Outcomes.
[2] Benessia,
A., Funtowicz, S., Giampietro, M., Guimarães Perei-ra, Â., Ravetz, J.,
Saltelli, A., Strand, R., and van der Sluijs, J. P. 2016. The Rightful
Place of Science: Science on the Verge. Tempe, AZ: Consortium for Science,
Policy & Outcomes.
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