lunedì 30 giugno 2014
sabato 28 giugno 2014
No al commissariamento dell’Agenzia della Conservatoria delle coste della Sardegna
Giovedì 12
giugno 2014 la Giunta Regionale Sarda ha deciso di commissariare l’Agenzia
della Conservatoria delle coste della Sardegna al fine, come si apprende dalla
stampa, di trasferire le sue funzioni all’interno di un assessorato della
Regione.
Tale
decisione, operata nell’ambito della più generale “spending review”, appare
ingiustificata considerato che la Conservatoria delle coste è un ente sano, non
in perdita e capace di risparmiare investire al meglio il denaro pubblico, come
si evince dagli stessi rapporti ufficiali sul suo funzionamento resi pubblici
sul suo sito istituzionale. L’efficienza economica e gestionale dell’Agenzia,
esempio unico in Italia, e la sua capacità di attrarre finanziamenti per la
Sardegna, dimostrano concretamente la validità di investire nelle politiche
ambientali per creare uno sviluppo realmente sostenibile.
In questi
anni la Conservatoria delle coste ha rappresentato uno strumento concreto di
supporto agli enti locali per l’applicazione delle politiche regionali di tutela
e di gestione integrata delle zone costiere della Sardegna. Uno strumento
innovativo al quale s’ispirano tutte le altre regioni italiane costiere.
E’
sufficiente analizzare il processo virtuoso avviato dalla Conservatoria delle
coste per lo sviluppo sostenibile dell’isola dell’Asinara, in applicazione
della Deliberazione della Giunta Regionale del Dicembre 2008, per comprendere
l’utilità di uno strumento come l’agenzia capace di coordinare competenze
diversificate come le azioni di tutela e valorizzazione con la disponibilità
diretta dei beni del patrimonio regionale affermando lo stesso ruolo
istituzionale della Regione Sardegna in un’isola per oltre un secolo di
proprietà dello Stato.
Che fine
farà, ci si chiede, il patrimonio costiero affidato alla gestione dell’Agenzia?
Oltre 6.000 ettari – soprattutto sui litorali di Alghero, Muravera, Buggerru,
Castiadas – ritorneranno, infatti, nella disponibilità delle strutture
regionali “ordinarie”, portando di fatto le lancette dell’orologio indietro di
10 anni, quando le coste della Sardegna venivano gestite in maniera settoriale.
Con la soppressione dell’Agenzia migliaia di ettari di coste, ad alto valore
paesaggistico e ambientale, potranno, inoltre, esser messi in vendita ai
migliori offerenti, pronti a speculare sulle coste sarde, magari con il
pretesto di attrarre investimenti esteri…
“…prevediamo
di dare un nuovo ruolo alla Conservatoria
delle Coste ed all’Arpas, dando piena applicazione alle norme che ne governano il funzionamento”, così ha affermato solo quattro mesi fa Francesco Pigliaru nella sua
vittoriosa campagna elettorale che l’ha portato a divenire Presidente della Regione autonoma della
Sardegna.
“Rimango a
bocca aperta … hanno avuto cinque
anni per fare le cose nel modo corretto, confrontandosi con il governo
secondo le regole. Invece, nell’incapacità di questa Giunta, si è voluto
forzare e di far finta di prendere decisioni che non si sono prese prima,
ostenta disprezzo per le regole”, affermava sempre in campagna elettorale Francesco Pigliaru quando
annunciava che avrebbe spazzato via quella “approvazione di cartone
fatta per fini elettorali”, che ha determinato lo stravolgimento del piano paesaggistico regionale (P.P.R.).
“Faremo
tutto quello che abbiamo detto ai
sardi”, affermava il neo Presidente Pigliaru il giorno della sua elezione.
Risultati:
* la Giunta Pigliaru ha disposto l’annullamento in via di
autotutela, con la deliberazione Giunta regionale
n. 10/20 del 28 marzo 2014, della soladeliberazione n. 6/18 del 14
febbraio 2014 di approvazione definitiva dello stravolgimento del P.P.R.,non sufficiente per tutelare efficacemente coste e paesaggio,
perché la deliberazione
Giunta regionale n. 45/2 del 25 ottobre 2013 di prima adozione è parzialmente produttiva di
effetti (in
ogni caso il Gruppo d’Intervento
Giuridico onlus ha impugnato lo stravolgimento del P.P.R.);
* la Giunta Pigliaru, con deliberazione del
12 giugno 2014 (non presente sul sito webistituzionale), ha
disposto il commissariamento dell’Agenzia della Conservatoria delle costei n vista della successiva
soppressione, nonostante la nutrita serie di attività poste in essere fra mille
difficoltà per la costituzione di un vero e proprio demanio costiero sardo sul
modello del Conservatoire du Littoral francese.
Spending
review?
Revochi i fondi per lo scempio ambientale e finanziario della diga di Monte Nieddu-Is Canargius e
in un colpo solo risparmierebbe centinaia di milioni di euro.
In pochi
mesi già due gravi e pesanti contraddizioni della politica ambientale proposta agli
elettori sardi e premiata dal risultato elettorale.
A che gioco
stiamo giocando?
Solitamente
si tagliano i rami secchi e non i rami sani che portano fiori, frutti e nuovi
semi. E nuovi semi sono quelli
messi a frutto dall’Agenzia della Conservatoria delle Coste: ente
sano, innovativo, non in perdita, ma capace di produrre e attrarre
finanziamenti per il territorio, di moltiplicarne la ricchezza materiale e
immateriale, risparmiando denaro pubblico. Un fiore all’occhiello per la Regione Sardegna e per l’Italia, riconosciuto
anche all’estero per l’altissimo livello di innovazione e con una gestione
esemplare di sostenibilità economica coniugata all’ambiente, il cui
modello dovrebbe far scuola. Non lo dicono le parole, lo si deduce dai fatti e
dai conti economici, dalla concretezza nuda e cruda dei numeri. Appare quindi
incredibile e inspiegabile il suo commissariamento. Perché cancellare un ente
produttivo come la Conservatoria delle Coste, che risulta essere anche dal
punto di vista economico-finanziario l’agenzia più efficiente della Regione
Sardegna? La Conservatoria, gioiello istituzionale preso come esempio virtuoso
persino in Svezia, con la capitale verde d’Europa, emblema mondiale
dell’ambientalismo, viene invece rinnegato e soppresso dal governo sardo.
Preoccupa non aver sentito neppure un politico esprimere la propria opinione in
merito, eccezion fatta per Alessandra
Zedda. Il Governatore Pigliaru disattende
le promesse elettorali che ruotavano intorno alla questione ambientale e
all’importanza della meritocrazia.
Sembra invece che ancora una volta a vincere sia l’appartenenza, piuttosto che la competenza.
Ma la cosa
grave è che non si tratta solo della semplice eliminazione di un ente efficiente,
bensì della soppressione di uno strumento di democrazia partecipata, e quindi di democrazia reale, che ha
consentito ai nostri territori di esprimersi in possibilità e realizzazione di
progetti, e soprattutto di farlo con i tempi snelli richiesti da Comuni e
imprese, con i relativi risparmi di risorse pubbliche. La buona riuscita della
Conservatoria delle Coste si deve a persone di valore e al suo direttore Alessio Satta (appena licenziato)
la cui competenza tecnica e capacità di fare rete di territorio e democrazia
dal basso di altissimo livello, sono lampanti e testimoniate dagli ottimi
risultati ottenuti, conti economici compresi…
mercoledì 25 giugno 2014
Non si “sparano” Balene e Tartarughe marine con l’aria compressa! - Grig
L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha inoltrato (24 giugno 2014) un atto di intervento nel procedimento di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) relativo al progetto di indagine geofisica 2D nell’area dell’istanza di prospezione a mare “d.1 E.P.-SC” da parte della società di ricerche petrolifere Schlumberger Italiana s.p.a. (ENI)in una vastissima area del Mar di Sardegna ampia kmq. 20.922.
Sono stati interessati il Ministero dell’ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare(titolare del procedimento), il Servizio valutazione impatti (S.A.V.I.) della Regione autonoma della Sardegna, il Parco nazionale dell’Asinara, il Parco naturale regionale di Porto Conte, l’Area marina protetta del Sinis – Mal di Ventre e i Comuni rivieraschi (Alghero, Bosa, Cuglieri, Magomadas, Narbolia, Porto Torres, San Vero Milis, Sassari, Stintino, Tresnuraghes, Villanova Monteleone).
L’ampia area di mare interessata dal progetto (quasi 21 mila chilometri quadrati) riguarda il ben noto Santuario Pelagos, Santuario per i Mammiferi marini istituito come area marina protetta di interesse internazionalee area specialmente protetta di interesse mediterraneo (A.S.P.I.M.), in base all’Accordo internazionale sottoscritto a Roma il 25 novembre 1999, ratificato con legge n. 391/2001.
Da evidenziare che l’attività di prospezione, secondo quanto riportato nello studio di impatto ambientale (S.I.A.), consisterebbe in“spari” di aria compressa (airgun) per oltre 7.300 km. di tracciato complessivo per un periodo di 10 settimane. Questi “spari” avrebbero una cadenza di uno ogni 5-15 secondi, con intensità sonora variabile fra 240 e 260 decibel, intensità superata in natura solo da terremoti ed esplosioni di vulcani sottomarini.
Al contrario di quanto sostenuto nel S.I.A., il danno alle specie di Cetacei e di Tartarughe marine ben presenti nell’area marina interessata sarebbe devastante, sia sul piano uditivo che sotto il profilo dell’orientamento, come riportato dalla letteratura scientifica Altrettanto potrebbe ipotizzarsi per le specie ittiche, anche di interesse commerciale, con indubbi riflessi negativi sull’economia del settore della pesca…
lunedì 23 giugno 2014
un po' di fracking e un film
Il fracking è il sistema estrattivo del momento, come molti
avranno visto nell'ultima puntata di Report. Quello necessario a tirare fuori
dalla roccia shale gas e petrolio. Ma non mancano rischi per la salute dei
cittadini e l'ambiente, che i governi tendono ad ignorare. A dirlo stavolta,
oltre alle organizzazioni ambientaliste, è un'indagine del Congresso americano.
La notizia, rilanciata dall'Associated Press e comparsa solo su agenzie e
giornali stranieri, ha come sfondo l'impegno del governo Obama per l'export di
gas naturale liquefatto (Gnl). Mentre il partito repubblicano spinge sul
fracking, proponendo di bloccare preventivamente le norme preventive che
potrebbero varare i singoli stati. I giacimenti che il fracking
permette di sfruttare si sono guadagnati l'appellativo di “non convenzionali”,
proprio come è questa tecnica. La fratturazione idraulica consiste nella
perforazione orizzontale, e non verticale, di uno strato roccioso nelle
profondità del terreno (1500-6000 metri), estremamente permeabile e contenente
gas naturale. Per estrarlo, vengono aperte delle fratture tramite piccole
esplosioni, poi allargate pompando acqua e sostanze chimiche a pressioni
elevate. Da lì, il gas confluisce nella condotta del pozzo e arriva in
superficie. Una tecnica costosa, che richiede perforazioni e fratturazioni
continue. E rischiosa a causa di perdite di gas, contamiazione delle falde
acquifere e sismicità indotta, come raccontato dal film del 2012 Promised Land.
Ma vale la pena, dicono analisti e petrolieri. Perché proprio le risorse
fossili da shale ci permetteranno di utilizzare per decine di anni le fonti
energetiche che credevamo in esaurimento…
continua
qui
domenica 22 giugno 2014
Olocausto animale e ideologia del dominio - Francesco Paniè
La mia ribellione parte da un rifiuto dell’ideologia del
dominio, che pervade e invade gli anfratti del nostro vivere sociale a tutti i
livelli. A partire dal più visibile e lampante, e però tanto difficile da
mettere a fuoco per i nostri occhi spenti: il livello del rapporto
uomo-animale. Solo nel momento in cui prenderemo atto che le relazioni di
potere, la schiavitù, il razzismo, il sessismo, l’omofobia, la ghettizzazione
di ogni devianza originano dalle pratiche di sfruttamento animale, solo allora
potremo agire con radicalità. La volontà di combattere un sistema violento con
le armi dell’astensione da una parte, della sensibilizzazione culturale
dall’altra, è il faro di questa pacifica insurrezione. La liberazione
dell’essere umano passa per quella degli animali, ne è diretta conseguenza.
Abolendo i macelli aboliremo i campi di sterminio, abrogando la domesticazione
coatta negli allevamenti perderà di senso anche la schiavitù, bloccando la
sperimentazione animale cadranno le basi per la legittimazione della tortura.
L’olocausto può finire se tutti, uno dopo l’altro, saremo in grado di
ribellarci.
da qui
sabato 21 giugno 2014
i birrai salveranno il mondo?
La tecnica estrattiva che permette di sfruttare lo shale gas
(impropriamente tradotto come “gas di scisto”) è la fratturazione idraulica o
fracking. Si tratta della perforazione orizzontale, e non verticale, di uno
strato roccioso nelle profondità del terreno (1500-6000 metri), estremamente
permeabile e contenente gas naturale. Per estrarlo, vengono aperte delle
fratture tramite piccole esplosioni, poi allargate pompando acqua e sostanze
chimiche a pressioni elevate. Da lì, il gas confluisce nella condotta del pozzo
e arriva in superficie. Una procedimento complesso, che richiede perforazioni e
fratturazioni continue. E rischioso a causa di perdite di gas, sismicità
indotta e contaminazione delle falde acquifere. Il principio di precauzione ha
fin qui sconsigliato all'Europa di abbracciare questa tecnica, con poche
eccezioni (in primis Polonia e Regno Unito). Ma la crisi ucraina ha evidenziato
le controindicazioni geopolitiche derivanti da una eccessiva dipendenza dalla
Russia. A dover affrontare la sfida maggiore è la Germania, locomotiva del
Vecchio Continente nonché primo cliente di Mosca. E tra le ipotesi al vaglio
c'è anche l'estrazione da shale, che ha reso gli Usa i maggiori produttori
al mondo di gas. Se ne è discusso al G7 Energia e ora il governo di Angela
Merkel sta preparando una proposta di regolamentazione a riguardo. Sia in
Germania che negli stessi Usa le voci contrarie per gli impatti ambientali di
questa tecnica sono molte. E In prima linea ci sono le fabbriche di birra.
È negli Stati Uniti che per la prima volta alcuni birrifici si sono opposti al fracking. La ragione? Sta nei rischi per la qualità dell'acqua, materia prima e ingrediente fondamentale per la fabbricazione della birra, dovuti agli agenti chimici impiegati e a sostante tossiche, come il metano, che si sprigionano dalle rocce fratturate e possono penetrare nelle falde. In diversi stati americani le perforazioni sono già iniziate da tempo e certamente aumenteranno. Non è un caso, dunque, che nel paese pionere dello shale gas l'attenzione sul fracking sia alta e che siano state già molte le manifestazioni di protesta, da ultimo il festival anti-fracking del Colorado. Proprio una fabbrica dello Stato più trivellato d'America, la Colorado's Bew Blegium Brewery si è apertamente schierata contro la fratturazione idraulica, al punto di a finanziare la campagna Frack Free Colorado. Nello stato di New York, invece, a sentirsi minacciate dal fracking sono state la Ommegang Brewery di Middlefield e la Brooklin Brewery, che ha esposto le proprie ragioni nel video qui sotto. Più recentemente, diversi birrifici si sono uniti nella campagna “Brewers for Clean Water”, che ha fatto pressione sull'amministrazione Obama per aggiornare la normativa in sulla tutela delle acque, fornendo delle linee guida relative agli impatti dell'attività industriale per tutti gli Stati federali...
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È negli Stati Uniti che per la prima volta alcuni birrifici si sono opposti al fracking. La ragione? Sta nei rischi per la qualità dell'acqua, materia prima e ingrediente fondamentale per la fabbricazione della birra, dovuti agli agenti chimici impiegati e a sostante tossiche, come il metano, che si sprigionano dalle rocce fratturate e possono penetrare nelle falde. In diversi stati americani le perforazioni sono già iniziate da tempo e certamente aumenteranno. Non è un caso, dunque, che nel paese pionere dello shale gas l'attenzione sul fracking sia alta e che siano state già molte le manifestazioni di protesta, da ultimo il festival anti-fracking del Colorado. Proprio una fabbrica dello Stato più trivellato d'America, la Colorado's Bew Blegium Brewery si è apertamente schierata contro la fratturazione idraulica, al punto di a finanziare la campagna Frack Free Colorado. Nello stato di New York, invece, a sentirsi minacciate dal fracking sono state la Ommegang Brewery di Middlefield e la Brooklin Brewery, che ha esposto le proprie ragioni nel video qui sotto. Più recentemente, diversi birrifici si sono uniti nella campagna “Brewers for Clean Water”, che ha fatto pressione sull'amministrazione Obama per aggiornare la normativa in sulla tutela delle acque, fornendo delle linee guida relative agli impatti dell'attività industriale per tutti gli Stati federali...
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giovedì 19 giugno 2014
mercoledì 18 giugno 2014
sabato 14 giugno 2014
il decalogo proposto da Clean Clothes per i lavoratori tessili in tutto il mondo
Riuscire, in una frazione di secondo, a distinguere con chiarezza ciò
che si nasconde sotto la globalizzazione selvaggia, senza regole. Succede a
Dacca, la capitale del Bangladesh, il 24 aprile del 2013 alle 8:45 del mattino.
E succede grazie a un'esplosione: il Rana Plaza - un
edificio di otto piani al cui interno ci sono diverse fabbriche tessili che
producono per l'élite della moda occidentale - crolla su se stesso. Implode,
portandosi dietro 1129 morti, duemila feriti. Quasi tutti operai: sottopagati,
costretti a straordinari obbligatori e a condizioni di lavoro definibili, in
modo eufemistico, "pericolose". Scatta l'indignazione, scattano le
promesse, scattano gli impegni, solenni: "non succederà più", si
dice. Falso. Succede ancora: quei "panni sporchi", quelle condizioni
di lavoro sono a un passo da noi. Qui, in Europa. Un buco nero dove i diritti
scompaiono. Un buco nero sfruttato anche da aziende italiane…
…Ecco il decalogo proposto da Clean Clothes:
1- Integrare il concetto di salario dignitoso nella policy aziendale.
2 - Rispettare la libertà di associazione; informare in modo chiaro i lavoratori del loro diritto alla libertà di associazione e alla contrattazione collettiva.
3 - Instaurare un dialogo con le organizzazioni sindacali e con i gruppi a sostegno dei diritti dei lavoratori.
4- Impegnarsi pubblicamente ad adottare il parametro del salario dignitoso: l'Asia Floor Wage (AFW) e il salario dignitoso minimo stimato secondo le indicazioni del presente rapporto.
5- Modificare le politiche d'acquisto (per esempio, analizzare e correggere le strutture dei prezzi e i tempi di consegna per permettere ai fornitori di pagare gli aumenti progressivi pianificati verso il salario dignitoso).
6- Condurre programmi pilota con il coinvolgimento dei fornitori, delle organizzazioni sindacali e dei gruppi a sostegno dei diritti dei lavoratori.
7- Sostenere pubblicamente la richiesta della società civile e delle organizzazioni sindacali a favore dell'innalzamento dei salari minimi legali in vigore nei paesi produttori fino a un livello dignitoso; rilasciare dichiarazioni pubbliche rivolte a rassicurare i governi dei paesi produttori che l'aumento del salario minimo legale non comporterà la cessazione dei rapporti commerciali con i fornitori.
8 - Operare in modo trasparente.
9- Collaborare con gli altri stakeholder.
10 - Presentare un piano d'azione con tempi di programmazione certi per l'introduzione del salario dignitoso.
1- Integrare il concetto di salario dignitoso nella policy aziendale.
2 - Rispettare la libertà di associazione; informare in modo chiaro i lavoratori del loro diritto alla libertà di associazione e alla contrattazione collettiva.
3 - Instaurare un dialogo con le organizzazioni sindacali e con i gruppi a sostegno dei diritti dei lavoratori.
4- Impegnarsi pubblicamente ad adottare il parametro del salario dignitoso: l'Asia Floor Wage (AFW) e il salario dignitoso minimo stimato secondo le indicazioni del presente rapporto.
5- Modificare le politiche d'acquisto (per esempio, analizzare e correggere le strutture dei prezzi e i tempi di consegna per permettere ai fornitori di pagare gli aumenti progressivi pianificati verso il salario dignitoso).
6- Condurre programmi pilota con il coinvolgimento dei fornitori, delle organizzazioni sindacali e dei gruppi a sostegno dei diritti dei lavoratori.
7- Sostenere pubblicamente la richiesta della società civile e delle organizzazioni sindacali a favore dell'innalzamento dei salari minimi legali in vigore nei paesi produttori fino a un livello dignitoso; rilasciare dichiarazioni pubbliche rivolte a rassicurare i governi dei paesi produttori che l'aumento del salario minimo legale non comporterà la cessazione dei rapporti commerciali con i fornitori.
8 - Operare in modo trasparente.
9- Collaborare con gli altri stakeholder.
10 - Presentare un piano d'azione con tempi di programmazione certi per l'introduzione del salario dignitoso.
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venerdì 13 giugno 2014
povera Enel, senza le dighe del Cile
Il governo cileno ha rigettato la valutazione
d'impatto ambientale relativa alle cinque grandi dighe che sarebbero dovute
sorgere sui fiumi della patagoni Pascua e Baker. Il progetto del consorzio Hidroaysen, guidato con
una quota maggioritaria dalla controllata Enel
Endesa, viene di fatto
cancellato dopo oltre sei anni di proteste e campagne nazionali e internazionali, cui molte realtà della società
civile italiana -tra cuiRe:Common, che due settimana fa aveva presentato il
rapporto "Killing Patagonia"-
hanno partecipato sin dalle prime battute.
Il nuovo esecutivo guidato da Michelle Bachelet, subentrato a quello di Sebastian Piñera, che nel 2011 aveva dato un parziale nulla osta all'opera, ha motivato la sua decisione sulla base di una serie di questioni di carattere ambientale non risolte, nonché problematiche legate al reinsediamento delle popolazioni locali.
Il progetto aveva un costo stimato di circa sette miliardi di dollari. Nonostante la stessa Bachelet durante il suo primo mandato presidenziale (2006-2010) avesse mantenuto una posizione alquanto ambigua, se non proprio favorevole, nella campagna elettorale dello scorso autunno si era dichiarata contraria. Che per gli impianti idroelettrici in Patagonia tirasse una brutta aria lo aveva compreso anche Endesa Cile che, secondo quanto riportato dal quotidiano di Santiago El Mercurio, nel suo documento bimestrale agli investitori a fine 2013 aveva depennato le dighe di HidroAysén dalla lista dei progetti prioritari…
Il nuovo esecutivo guidato da Michelle Bachelet, subentrato a quello di Sebastian Piñera, che nel 2011 aveva dato un parziale nulla osta all'opera, ha motivato la sua decisione sulla base di una serie di questioni di carattere ambientale non risolte, nonché problematiche legate al reinsediamento delle popolazioni locali.
Il progetto aveva un costo stimato di circa sette miliardi di dollari. Nonostante la stessa Bachelet durante il suo primo mandato presidenziale (2006-2010) avesse mantenuto una posizione alquanto ambigua, se non proprio favorevole, nella campagna elettorale dello scorso autunno si era dichiarata contraria. Che per gli impianti idroelettrici in Patagonia tirasse una brutta aria lo aveva compreso anche Endesa Cile che, secondo quanto riportato dal quotidiano di Santiago El Mercurio, nel suo documento bimestrale agli investitori a fine 2013 aveva depennato le dighe di HidroAysén dalla lista dei progetti prioritari…
È
stata una notte di grandi festeggiamenti nella regione cilena dell'Aysén. Dopo
sei anni di lotte, delusioni, proteste e repressione finalmente è stato
raggiunto il risultato che i gruppi locali e della società civile
internazionale auspicavano: le cinque grandi dighe che sarebbero dovute sorgere
sui fiumi patagoni Pascua e Baker non vedranno mai la luce. Il progetto del
consorzio Hidroaysen, guidato con una quota maggioritaria dalla controllata
Enel Endesa, è stato di fatto bocciato dal comitato ministeriale chiamato a
esprimersi sulla valutazione di impatto ambientale, dichiarata inadeguata. Il
nuovo esecutivo guidato da Michelle Bachelet, subentrato a quello di Sebastian
Piñera, che nel 2011 aveva dato un parziale nulla osta all'opera, ha motivato
la sua decisione sulla base di una serie di questioni di carattere ambientale
non risolte, nonché problematiche legate al reinsediamento delle popolazioni
locali. Il progetto aveva un costo stimato di circa sette miliardi di dollari.
Nonostante la stessa Bachelet durante il suo primo mandato presidenziale
(2006-2010) in merito avesse mantenuto una posizione alquanto ambigua, se non
proprio favorevole, nella campagna elettorale dello scorso autunno si era
dichiarata contraria...
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mercoledì 11 giugno 2014
Conservare frutta e verdura in frigorifero, a volte è peggio
I prodotti freschi, raccolti dall’orto o dal frutteto, ma anche quelli acquistati al mercato, vanno incontro ad un naturale processo che li porta a degradarsi, in tempi che possono essere diversi per specie e varietà. Se non consumati subito quindi è necessario mettere in atto delle strategie che li mantengano “freschi” il più a lungo possibile.
Ma cosa succede a un ortaggio o a un frutto una volta raccolto? Continua a vivere! Un complesso di processi biochimici infatti, senza che ce ne accorgiamo, lavora alacremente consentendo ai tessuti di respirare e produrre energia. Questo comporta non solo un’alterazione nell’aspetto e nella consistenza dei tessuti, ma anche una perdita del valore nutrizionale, varia il contenuto vitaminico, in particolare i gruppi C, A e B, zuccherino e proteico.
Lo strumento più efficace per rallentare il processo di senescenza di ortaggi e frutta è senza dubbio il controllo della temperatura, che a casa nostra si chiama frigorifero.
Il freddo è così importante perché rallenta i processi biochimici vitali permettendoci di posticipare il suo invecchiamento.
Il freddo è così importante perché rallenta i processi biochimici vitali permettendoci di posticipare il suo invecchiamento.
Attenzione però, a volte serve trovare un buon compromesso tra la durata del prodotto e la sua qualità, perché non tutti i prodotti freschi vengono agevolati dalla conservazione in frigorifero, alcuni addirittura ne possono venir danneggiati.
Ecco allora la lista di ortaggi e frutti che per la loro conservazione non conviene o non serve riporre in frigorifero:
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Ecco allora la lista di ortaggi e frutti che per la loro conservazione non conviene o non serve riporre in frigorifero:
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Portoscuso, catena alimentare ‘spezzata’ dai veleni
A Portoscuso la catena alimentare potrebbe essere
definitivamente compromessa. Lo denuncia Stefano Deliperi, del Gruppo di intervento giuridico,
sulla base di una relazione (leggi il documento originale) firmata dal direttore
generale della Asl di Carbonia Maurizio
Calamida. “La
situazione esposta – si legge in una nota firmata da Deliperi – frutto di
analisi e monitoraggi che si protraggono da lunghi anni, appare decisamente
orientata verso gli scenari peggiori. In poche parole, a Portoscuso non si può
vendere il latte ovicaprino né fare allevamento ovicaprino, non si possono
raccogliere mitili e crostacei, non si possono vendere frutta, verdura e vino,
chi li consuma lo fa a proprio rischio e pericolo”.
Gli esiti dei monitoraggi sono ora all’attenzione anche del
ministero dell’Ambiente, della Regione, della Commissione europea, dell’Arpas e
della Procura di Cagliari. A fare le rilevazioni, oltre alla Asl, anche
l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale e l’Istituto
superiore di sanità. Una volta raccolti ed esaminati i dati, è partita la
“richiesta al sindaco del Comune di Portoscuso di adottare provvedimenti
urgenti”, scrive Calamida. Tra le decisioni assunte, il divieto di commercializzare e
conferire il latte ovicaprino,
ma anche movimentare e macellare i capi, a causa dei livelli fuori norma di diossina e Pcb (Policlobifenili) riscontrati durante i controlli.
Eppure, come ricorda Deliperi, già nel 1993 era stato
approvato un piano speciale per il risanamento del territorio. “Obiettivo, a quanto pare, miseramente
fallito – scrive
l’esponente del Grig – tant’è che sono risultate in seguito molto negative le
caratteristiche qualitative del fondo naturale delle acque e dei suoli”. E i
soldi dove sono finiti? Nelle casse delle “medesime industrie responsabili
dell’inquinamento dell’area”, aggiunge Deliperi.
“Di fatto è sempre peggiore la situazione ambientale e sanitaria
di Portoscuso. In un ambiente ormai fortemente degradato e contaminato – si
legge nella nota del Grig – tanto da vantare record poco lusinghieri, anche nel
campo del deficit cognitivo infantile e della piomboemia: già nel 2008 l’Università di Cagliari,
nel corso di una ricerca condotta da Plinio Carta e Costantino Flore, affermò
chiaramente la sussistenza di deficit cognitivi in un campione di bambini di
Portoscuso, dovuto a valori di piombo nel sangue superiori a
10 milligrammi per decilitro.La letteratura medica, infatti,
indica un’associazione inversa statisticamente significativa tra concentrazione
di piombo ematico e riduzione di quoziente intellettivo, corrispondente a 1.29
punti di QI totale per ogni aumento di 1 µg/dl di piomboemia”.
“A Portoscuso – ricorda Deliperi – si va dai fumi di acciaieria, che vedono il centro sulcitano
diventarne la pattumiera d’Europa, al bacino dei fanghi rossi e al relativo
inquinamento, dagli sversamenti in mare di inquinanti alle discariche illecite
di rifiuti tossico-nocivi, alle nubi di fluoro, ai traffici illeciti di rifiuti
industriali. E le preoccupazioni per la qualità dell’ambiente e della salute
pubblica, giustamente, si estendono ai Comuni vicini, come Carloforte”.
da
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mercoledì 4 giugno 2014
Moral behavior in animals - Frans de Waal
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