Un sapore intenso e penetrante, grazie ad una
ricetta che si tramanda da generazioni. Il Türk Kahvesi, il caffè turco, è entrato nella lista del
Patrimonio Immateriale dell’Umanità dell’UNESCO. Lo ha deciso qualche settimana
fa la Commissione Intergovernativa UNESCO motivando la scelta proprio con il
riconoscimento per una ricetta d’antica tradizione, scivolata lungo la
storia del Paese che lo sorseggia. Infatti, il caffè turco unisce speciali
tecniche di preparazione e una ricca cultura tradizionale, è celebrato nella
letteratura e nelle canzoni e occupa un’importante funzione in occasione di
incontri e cerimonie.
Si prepara facendo bollire l’acqua in un
particolare bricco dalla forma allungata, tradizionalmente di ottone. Quando
l’acqua bolle, si toglie dal fuoco e si aggiunge il caffè macinato finemente. A
seconda delle varie tradizioni e località, possono essere aggiunte alcune
spezie (opzionali) come il cardamomo. Il caffè così preparato assume una
consistenza “sciropposa” e necessita di qualche minuto di decantazione per far
depositare il sedimento sul fondo delle tazzine. Questo stesso sedimento assume
forme particolari, che possono essere interpretate nella pratica tipicamente
turca della lettura dei fondi di caffè.
Questa bevanda ha anche il suo Museo, che si trova
ad Istanbul, all’interno del Museo statale delle Arti Turche ed Islamiche, a
pochi passi dalla Moschea Blu. Qui, oltre alla degustazione del vero caffè
turco, vengono insegnate le tecniche di preparazione (con tanto di attestato) e
illustrata la storia di questa bevanda: come il caffè giunse nell’impero
ottomano, l’apertura della prima caffetteria e come questa bevanda divenne
popolare in Europa. Da non perdere perché, come dice un detto turco, una tazza
di caffè si ricorda per 40 anni!
Me lo ha insegnato una mia amica di quelle
care, a Gerusalemme. Fare il caffè all’araba, in fondo, è come concedersi una
pausa. Concedersi il lusso del tempo sospeso. Da sola. Te e il tuo bollitore,
di quelli con il manico lungo, una sorta di pentolino alto come lo scaldalatte.
Non ha importanza che siano d’epoca, di rame, di lusso. Bastano quelli di
acciaio povero, made in China. La cosa fondamentale è ritagliarsi il tempo per
farlo, quel caffè. Tostato, macinato fino, con una bella manciata di cardamomo,
anch’esso ridotto in granelli. La ricetta che m’aveva detto un vecchio signore
palestinese, dopo avermi fatto assaggiare una tazzina del suo caffè buonissimo,
non l’ho mai dimenticata. Mezzo classico (medio), mezzo nero, e una bella
manciata di cardamomo.
Lo prendevo alla Città Vecchia, a pochissima distanza dalla Settima Stazione della via Dolorosa, quasi di fronte a uno dei gioiellieri migliori (e più piccoli) della Gerusalemme vecchia. Il viso dei due proprietari della torrefazione, probabilmente fratelli, era di quelli tristi, quasi assente. Stessi gesti, ripetitivi, automatici, gomito a gomito nell’angusto spazio di quella rivendita direttamente sulla viuzza, ormai senza guardare più con attenzione e rispetto i clienti, se non quelli del quartiere, i vecchi affezionati clienti di cui si conosce tutto. Anche i gusti per il caffè, anche le quantità di caffè, i soldi che hanno, le finanze a disposizione. Il fatto è che, di fronte alla torrefazione, i proprietari non hanno visto passare solo i vecchi, affezionati clienti. Hanno visto la cronaca quotidiana di Gerusalemme, la sua decadenza, il suo deterioramento, i suoi cambiamenti, le guerre, le battaglie, i soldati, gli scontri, i turisti, i pellegrini che ti guardano e non ti vedono, quelli che vorrebbero sapere chi sei e quelli a cui interessano solo le sacre pietre e semmai i souvenir (sacri o meno) da riportare a casa. Come succede in qualsiasi città di quelle simboliche…
Lo prendevo alla Città Vecchia, a pochissima distanza dalla Settima Stazione della via Dolorosa, quasi di fronte a uno dei gioiellieri migliori (e più piccoli) della Gerusalemme vecchia. Il viso dei due proprietari della torrefazione, probabilmente fratelli, era di quelli tristi, quasi assente. Stessi gesti, ripetitivi, automatici, gomito a gomito nell’angusto spazio di quella rivendita direttamente sulla viuzza, ormai senza guardare più con attenzione e rispetto i clienti, se non quelli del quartiere, i vecchi affezionati clienti di cui si conosce tutto. Anche i gusti per il caffè, anche le quantità di caffè, i soldi che hanno, le finanze a disposizione. Il fatto è che, di fronte alla torrefazione, i proprietari non hanno visto passare solo i vecchi, affezionati clienti. Hanno visto la cronaca quotidiana di Gerusalemme, la sua decadenza, il suo deterioramento, i suoi cambiamenti, le guerre, le battaglie, i soldati, gli scontri, i turisti, i pellegrini che ti guardano e non ti vedono, quelli che vorrebbero sapere chi sei e quelli a cui interessano solo le sacre pietre e semmai i souvenir (sacri o meno) da riportare a casa. Come succede in qualsiasi città di quelle simboliche…
Turkish coffee combines
special preparation and brewing techniques with a rich communal traditional
culture. The freshly roasted beans are ground to a fine powder; then the ground
coffee, cold water and sugar are added to a coffee pot and brewed slowly on a
stove to produce the desired foam. The beverage is served in small cups,
accompanied by a glass of water, and is mainly drunk in coffee-houses where
people meet to converse, share news and read books. The tradition itself is a
symbol of hospitality, friendship, refinement and entertainment that permeates
all walks of life. An invitation for coffee among friends provides an
opportunity for intimate talk and the sharing of daily concerns. Turkish coffee
also plays an important role on social occasions such as engagement ceremonies
and holidays; its knowledge and rituals are transmitted informally by family
members through observation and participation. The grounds left in the empty
cup are often used to tell a person’s fortune. Turkish coffee is regarded as part
of Turkish cultural heritage: it is celebrated in literature and songs, and is
an indispensable part of ceremonial occasions.
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