lunedì 12 dicembre 2011

Doni all'umanità


La manioca, conosciuta anche come cassava, è un arbusto originario del Sudamerica e ha una radice a tubero commestibile.
Coltivata dagli Indiani sudamericani, la radice di manioca è divenuta oggi un alimento d’importanza mondiale. È l’elemento principale della dieta di circa un miliardo di persone in oltre 100 paesi diversi, cui fornisce circa un terzo del fabbisogno calorico giornaliero. Nella sola Africa, lo utilizza quasi l’80% della popolazione.
In generale esistono due varietà di manioca: dolce e amara, entrambe velenose se non vengono preparate adeguatamente. Molte tribù amazzoniche mangiano solo il tipo dolce o solo quello amaro, raramente entrambi. La maggior parte degli Indiani ne coltiva decine di varietà differenti: la sola tribù dei Tucano ne utilizza più di cinquanta.
La manioca cresce nei terreni poveri, non teme la siccità ed è una coltura perenne, che può essere raccolta tutto l’anno. Oggi è utilizzata ovunque anche come mangime per animali.
La manioca ha già salvato innumerevoli vite e, con l’aumentare della povertà, diventerà un alimento sempre più importante.
Il lattice
L’albero della gomma è la fonte principale della gomma naturale e si trova nella parte settentrionale dell’America del sud.
A scoprire e diffondere l’uso del suo lattice – la linfa opaca e resinosa, color latte oppure gialla, che si estrae dall’albero – sono stati gli Indiani sudamericani.
Gli Indiani sapevano come utilizzare il lattice già molto prima che Cristoforo Colombo arrivasse nel “Nuovo Mondo” nel 1492. Lo utilizzavano per impermeabilizzare i loro indumenti e per costruire utensili come perette e siringhe di gomma.
Nel 1736 l’esploratore francese Charles de la Condamine, in missione in Sud America per l’Accademia delle Scienze di Parigi, inviò a casa una lettera in cui descriveva l’uso del lattice: “Gli Indiani fabbricano bottiglie di lattice a forma di pera nel cui collo inseriscono pezzi di legno lunghi e cavi. Schiacciandole, il liquido che contengono cola nella cannuccia, trasformandole in siringhe vere e proprie”. Alcuni oggetti di gomma sono stati ritrovati negli scavi della città maya di Chichén Itza.
Verso la fine del XIX secolo, la scoperta del processo di vulcanizzazione del lattice scatenò il “boom della gomma” che coinvolse tutta l’Amazzonia e sterminò il 90% della popolazione indigena in un’ondata terribile di schiavitù, malattie e cieca brutalità.
Il lattice può essere estratto in modo sostenibile, senza danneggiare gli alberi. Oggi la gomma naturale è usata per realizzare palline rimbalzanti, stivali, palloni e guanti, ed è più indicata della gomma sintetica per gli pneumatici di aerei e navicelle spaziali.
La medicina indigena
Se non fosse stato per le raffinatissime conoscenze botaniche dei popoli indigeni e tribali, in particolar modo di quelli che vivono nelle foreste tropicali, molti dei composti medicinali vitali per l’uomo potrebbero essere ancora sconosciuti.
Si pensa che le piante siano state essenziali nello sviluppo di circa il 50% delle medicine esistenti oggi.
In Sud America, alcuni preparati vegetali usati dagli Indiani come veleni, come il curaro, hanno assunto un’importanza fondamentale nella medicina occidentale. Usati sulle punte delle frecce per immobilizzare la preda, sono stati trasformati in rilassanti muscolari che hanno reso possibili procedure come la chirurgia a cuore aperto.
Anni di sperimentazione con le loro piante, hanno fatto scoprire agli Yanomami del Brasile e del Venezuela che il succo di una vite tropicale, conosciuta anche come “artiglio di gatto”, cura la diarrea; alcuni studi compiuti in Europa hanno rivelato la sua efficacia anche nel trattamento dell’artrite reumatoide.
La famosa aspirina è stata confezionata a migliaia di chilometri di distanza, nel Nord America, a partire dalla corteccia del salice bianco che gli indiani Nordamericani usavano bollire per curare il mal di testa. Il farmaco Taxol invece, un estratto della corteccia e degli aghi del tasso del Pacifico, adottato dagli Indiani Nordamericani per i suoi poteri di rinforzo delle difese immunitarie, è usato oggi per curare i tumori alle ovaie e al seno.

Nell’Africa meridionale il Buchu, una pianta che, ridotta in poltiglia, i Boscimani usano da sempre per curare le piccole ferite, è divenuta oggi una cura per le malattie dei reni e delle vie urinarie (una casa farmaceutica londinese brevettò la pianta nel lontano 1821).

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