Abdallah guarda fisso il canale vuoto. Stupito, nervoso, quasi rassegnato. In questa bella giornata di sole non si aspettava di trovarsi di fronte il torrente dell’infanzia sua e di tanti bambini palestinesi completamente prosciugato. Accanto al canale senza più una goccia d’acqua, sta un’immensa pompa israeliana protetta da reti elettrificate.
“Al Auja era una sorgente, da cui partiva il torrente”, spiega Abdallah Awudallah, 29 anni, del villaggio di Ubbedyia nel distretto di Betlemme. Ha accompagnato un gruppo di internazionali alla scoperta della Jordan Valley, delle sue risorse d’acqua rubate e delle sue terre confiscate. E il tour avrebbe dovuto concludersi alla sorgente di Al Auja. Ma di acqua nella sorgente non ce n’è più.
“In arabo ‘auja’ significa ‘nella direzione opposta’ – spiega Abdallah – Chiamavamo il torrente così perché per lunghi tratti l’acqua correva verso l’alto e non verso il basso. A causa della forte pressione e della velocità, l’acqua riceveva la spinta necessaria a salire verso l’alto”.
Un sito unico che colorava di verde il deserto. “Molte delle scuole della Cisgiordania erano solite portare in gita qui gli alunni, a Gerico e poi ad Al Auja: era il luogo perfetto per passare una giornata tra acqua e pesci e per studiare una delle risorse naturali fondamentali alla vita. Nessuna scuola palestinese può organizzare gite a Tiberiade, nella Palestina ’48, per mancanza dei permessi necessari a entrare in Israele. Così, Al Auja era l’unico luogo in cui venire a contatto con l’importanza dell’acqua”...
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